Donne, è arrivato il maschio performativo

Tote bag, Birkenstock Boston, jeans giapponesi, auricolari a filo, in mano una tazza di matcha e un libro, meglio se di Sally Rooney o bell hooks: è la divisa del performative man, che dovrebbe essere l'antidoto al maschio tossico. Ma che rischia di essere pure peggio.

01 Settembre 2025

In E Unibus Pluram: Television and U.S. Fiction (saggio contenuto in Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più) edito da Minimum Fax) David Foster Wallace sosteneva che presto sarebbero arrivati quelli che lui definiva gli anti-ribelli, ovvero persone capaci di distaccarsi dallo sguardo ironico, obsolete, troppo sincere, esposte alla disapprovazione del postmodernismo. Da quando Wallace ha reso popolare il concetto di New Sincerity sono passati più di trent’anni. L’autore è morto, la New Sincerity non sembra essersi mai imposta, e ironia e cinismo sono le pietre angolari dei social media. 

L’impossibilità di avere la New Sincerity ai tempi nostri è confermata dall’ultimo fenomeno che sta spopolando sui social: il maschio performativo. Da Seattle a Jakarta sono nate gare per giudicare chi è il miglior “performative male”: raduni di ragazzi con tote bag, Birkenstock Boston o mocassini, jeans giapponesi cimosati, collana Vivienne Westwood, auricolari a filo (possibilmente con Clairo nelle orecchie), un libro in mano, meglio se di Sally Rooney o bell hooks. Durante queste competizioni, un plotone di ragazzi dai baffi sottili, orecchini, piercing al naso e bicchiere di matcha in mano, combatte per il titolo di maschio performativo a colpi di vinili rari e affermazioni femministe (tra le più gettonate c’è comunicare una disperazione profonda per il dolore che le donne provano durante il ciclo mestruale). 

I nuovi poser

Questo universo di simboli dà vita a un’estetica che dovrebbe rendere i maschi più appetibili alle donne progressiste, come sottolineato dal New York Times. È un codice performativo che è stato associato al poser degli anni Novanta e inizio anni Duemila, con la differenza che questa versione più recente di performatività maschile include il desiderio femminile nell’equazione: il poser performava avendo come obiettivo ultimo l’approvazione degli altri maschi, mentre il maschio performativo vuole attirare l’attenzione della donna. Ma nonostante il desiderio femminile (o meglio, l’idea di desiderio femminile) sia stato inserito nell’equazione dandole una parvenza più progressista ed equa, questo fenomeno sembra danneggiare sia gli uomini che le donne. 

Come scrive Bramley sul Guardian, la definizione di maschio performativo si riferisce a una specifica proiezione della mascolinità in pubblico. E anche se queste estetiche nascono da chi in modo genuino le ha adottate come proprie, sono ormai diventate sinonimo del maschio manipolatore, che si mimetizza dietro a simboli apprezzati dalle donne per raggiungere secondi fini. Per questo i social straripano di video ironici di ragazzi che giocano a performare un tipo specifico di maschio, in una meta-performatività che calza a pennello con la tendenza della Generazione Z a memificare ed estetizzare tutto, dalle guerre alle difficoltà che si possono incontrare nelle relazioni.

Leggere Sally Rooney sulla tomba di Kierkegaard

Alcuni giorni fa, distesa nell’erba nel cimitero dov’è sepolto Kierkegaard, mi sono trovata a parlare di libri con un ragazzo. Ha una tote bag di tela, dentro ci tiene Martyr! Di Kaveh Akbar. Mi dice che gli piace Sally Rooney, soprattutto Intermezzo. Lo dice con un sorriso gentile e ironico e mi ritrovo a sorridere anch’io, siamo entrambi consci del significato che ha assunto quel libro. Mi spiega che a lui piace davvero leggere indisturbato al bar, ma questa sua abitudine ha subito un processo di risignificazione, ed è diventata un’attività se non sospetta, di sicuro da guardare con ironia. Forse, senza i maschi performativi, avremmo parlato di Intermezzo, dei suoi personaggi e della complessità del linguaggio scelto dall’autrice, invece che discutere dell’universo intricato di simboli che i social ci hanno ricamato intorno, muovendoci nel  nero territorio dell’ironia, sicuro e distaccato. 

Ma allora cosa ne è dei maschi che leggono e che sostengono davvero istanze progressiste? Cosa possono fare, quando scelte e abitudini vengono estetizzate e ri-significate, e da estetica in antitesi a l’uomo tossico, sono diventate sinonimo dell’uomo manipolatore, ancora più pericoloso? Cosa succede quando ogni scelta dei maschi è compartimentata e incasellata, guardata con ironia e disincanto? E io, come donna, mi chiedo: cosa ne è del desiderio femminile, quando questa ironizzazione impedisce che gli atteggiamenti ed estetiche favorevoli alle donne progressiste vengano presi seriamente? 

O tossico o performativo

Il fenomeno del maschio performativo sembra prendere lo sguardo femminile per trasformarlo in un archetipo immobile e inoffensivo, filtrato da strati di ironia e dalla ripetizione nauseante dei contenuti social. A sua volta, il maschio si trova sempre più spaesato: seppur il genere sia sempre un atto performativo, come ci ha insegnato Judith Butler in Questione di genere, questo ultimo fenomeno aggiunge un livello di complessità nella definizione dell’identità di un uomo. In più (nonostante The will to change di bell hooks infilato dentro alla tote bag) l’ironia col quale è affrontato dà la possibilità agli uomini di non cambiare: qualsiasi scelta presa sarà sempre giudicata male, quindi perché cambiare? 

Due sono le opzioni rimaste agli uomini, ennesima prova delle dicotomie asfittiche di cui si cibano i social: o sei un uomo tossico oppure sei un uomo performativo. Non c’è spazio per le zone grigie, non c’è spazio per gli uomini che stanno nel mezzo, o in nessuna categoria. E non c’è neanche spazio per le donne di immaginare e sperare in una zona franca, avulsa da tassonomie febbrili e gerarchie di potere e definizioni. Di questo spazio sempre più costrittivo ha parlato Ocean Vuong in un’intervista recente per ABC News, sottolineando come la cultura di sorveglianza di internet ci abbia resi molto più insicuri di noi stessi e della percezione che gli altri hanno di noi. Il cinismo viene scambiato per intelligenza e la sincerità è diventata imbarazzante. 

Ma nonostante tutto questo, là fuori siamo in tante a credere come Wallace, senza ironia e con penosa speranza, che da qualche parte, nelle zone indefinite tra mondo digitale e realtà, ci siano ancora “quelli disposti a rischiare lo sbadiglio, gli occhi alzati al cielo, il sorriso freddo, le gomitate nelle costole, la parodia del bravo ironista.” Aspetta e spera, direte voi. E noi, sedute al bar con un libro in mano, aspettiamo e speriamo.

La popolarità delle bevande a base di matcha ha prosciugato le riserve mondiali

La matcha mania mette in seria difficoltà i produttori giapponesi, mentre la preziosa polvere verde viene spesso usata in modo improprio. 

Intermezzo è il miglior romanzo di Sally Rooney

Un grande libro sul futuro delle relazioni sentimentali e la mascolinità. Il più complesso e ambizioso della sua carriera.

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