Hype ↓
09:32 venerdì 20 giugno 2025
Skims sta inviando soldi via PayPal a centinaia di clienti senza dare alcuna spiegazione Tutto è cominciato con un tiktok, a cui ne sono seguiti decine e decine. Adesso, gli investigatori di internet stanno cercando di svelare il mistero.
La storia della chiusura del Museo del Fumetto di Milano non è andata proprio come si era inizialmente raccontato Un articolo di Artribune ha svelato che nella chiusura c'entrano soprattutto mancati pagamenti e gestione inefficace, non la cattiveria del Comune.
David Fincher vuole salvare Mindhunter trasformandola in una trilogia di film Lo ha rivelato l'attore Holt McCallany, uno dei due protagonisti della serie. A suo dire, ci sarebbero degli sceneggiatori già al lavoro.
Una delle analisi più sensate della guerra tra Israele e Iran l’ha fatta Jafar Panahi su Instagram Il regista ha postato un lungo messaggio, in cui condanna sia il governo israeliano che il regime iraniano.
La Juventus era nello Studio Ovale mentre Trump parlava dei destini del mondo La visita della squadra alla Casa Bianca probabilmente verrà ricordata come una delle scene più surreali della storia del club italiano.
Netflix trasmetterà in streaming TF1, il canale televisivo più seguito in Francia È il primo accordo di questo tipo firmato dalla piattaforma streaming. Non sarà l'ultimo, visti i recenti cambiamenti nella politica aziendale di Netflix.
Nel Regno Unito c’è la moda di andare a farsi le punturine di filler nei bagni pubblici Sempre più persone prendono appuntamento via social per un ritocchino low cost nelle toilette pubbliche, con rischi enormi per la salute.
Nanni Moretti ha raccontato i primi dettagli del suo prossimo film Si intitolerà Succederà questa notte, sarà un adattamento di una raccolta di racconti di Eshkol Nevo e i protagonisti saranno Jasmine Trinca e Louis Garrel.

Femministe col burqa

Il New York Times scopre che la first lady egiziana è brutta. Vuoi vedere che gli islamisti avevano ragione?

04 Luglio 2012

A me piace chiamarle “le femministe col burqa”. Anche se quasi nessuna porta il burqa, optando per una versione molto più soft del velo islamico, e alcune non indossano neppure quello. Banalmente, è un termine con cui, per mera comodità e necessità di sintesi, mi riferisco a tutto un filone di pensiero secondo cui il velo – e, più in generale, uno stile di abbigliamento modesto, con i centimetri di pelle esposta ridotti al minimo indispensabile – è una forma di liberazione della donna, non un simbolo della sua oppressione.

Ribadisco: è una sintesi estrema, che non fa giustizia alla complessità di una scuola di pensiero assai variegata, zeppa di distinguo, sfumature e dibattiti interni. C’è chi identifica nel velo uno strumento di ribellione davanti a un mondo, tutto maschile, che vede le femmine come un bene di consumo – qualcuno ricorderà la vignetta, divenuta un meme lo scorso anno, in cui una ragazza in bikini e occhiali da sole incrociava una con il niqab, o velo integrale: “Poverina, è tutta coperta tranne gli occhi, che orrenda cultura maschilista!”, pensava la prima; “Poverina, è tutta scoperta tranne gli occhi, che orrenda cultura maschilista!”, pensava la seconda. Poi ci sono teorie più sofisticate. Per esempio quella di Lila Abu-Lughod, celebre antropologa americana di origine palestinese (l’ultima volta che ho controllato, non indossava alcun copricapo e si vestiva come una qualsiasi professoressa universitaria), che ha scritto che il burqa è uno strumento di autoaffermazione per le donne afgane, in quanto forma di “isolamento portatile.” La spiegazione? Visto che la separazione netta tra i sessi (purdah, in hindi/urdu) è parte integrante della cultura locale, se non altro il burqa permette alle donne di uscire di casa, mentre se non ci fosse sarebbero relegate in casa.

Ora, con tutto il rispetto – e, in alcuni casi, anche ammirazione intellettuale – nei confronti di donne come Abu-Lughod, non mi hanno mai convinto. Non ho particolari idiosincrasie nei confronti velo islamico e non lo considero necessariamente uno strumento di oppressione. Però quando sento teorie sull’abbigliamento occidentale che sarebbe una forma di umiliazione femminile, non posso fare a meno di pensare che c’è qualcosa che non va. Mentre scrivo questo articolo, in redazione, ho una camicetta senza maniche: la cosa non mi fa sentire un “burattino del patriarcato”, a Milano fa un caldo pazzesco, punto. E, sofismi a parte, sfido chiunque a dimostrarmi che le donne in Afghanistan se la passano meglio che a Saint-Tropez. Suvvia.

È più forte di me: tutta questa storia mi sa un po’ di slogan orwelliano, del tipo “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.

Tutto questo, per dirvi che i casi in cui mi è capitato di domandarmi se le “femministe col burqa” avessero ragione sono estremamente rari, ma proprio tanto (e alla, comunque, fine mi rispondo: no).

Esistono circostanze, tuttavia, in cui non ho potuto fare a meno di chiedermelo. Come, per esempio, la scorsa settimana. Quando ho letto sul New York Times un profilo della nuova first lady egiziana.

Per chi non seguisse le vicende mediorientali: in giugno l’Egitto ha eletto, per la prima volta in modo democratico, un nuovo presidente; è Mohamed Morsi, legato al gruppo islamista dei Fratelli Musulmani, prima c’era Hosni Mubarak, che era un dittatore, nonché laico. La moglie di Mubarak, Suzanne, veste all’occidentale (sua madre era occidentale, gallese per la precisione), con tailleur di buon taglio, gioielli, ed è sempre truccata: insomma, si tiene bene. Per contrasto la moglie di Morsi – Naglaa Ali Mahmoud, che non ha preso il cognome del marito e rifiuta il titolo di first lady – indossa il khimar, una variante del velo islamico piuttosto severa, lungo fino alle ginocchia. Porta grandi occhiali fuori moda, nemmeno un velo di fondotinta e, bestemmia!, si è fatta fotografare con un orribile foruncolo e i pori dilatati bene in vista.

La sto mettendo giù un po’ pesante, ma una delle considerazioni che emergono dal ritratto del New York Times (ok, non l’unica), è: la moglie di Morsi è proprio brutta, non si sa tenere, potrà fare la first lady? Del resto che cosa ci si poteva aspettare dalla moglie del candidato dei Fratelli Musulmani, gruppo che non brilla certo per il rispetto delle donne…

Rileggo il pezzo una seconda volta, per assicurarmi che davvero vada a parare lì. Non sono l’unica ad averlo notato, su Twitter c’è già qualcuno che sta protestando. E questi qui vorrebbero dare lezioni sul rispetto delle donne? Con un articolo che insinua che una tizia potrebbe essere inadatta a ricoprire una carica pubblica in quanto, be’, bruttina? Cacchio, mi sono detta, quasi quasi sono meglio i Fratelli Musulmani. La cosa tra l’altro mi ha ricordato un’orrida puntata di The Young Turks, lo show filo-Democrat, che sfotteva Ahmadinejad perché sua moglie era coperta da capo a piedi. Ma soltanto dopo un breve dibattito sul tema “Hillary Clinton è scopabile?”. Chapeau, questo sì che è il modo migliore per demolire l’ayatollah-pensiero secondo cui non appena una donna mostra un centimetro di pelle viene percepita come un trancio di cotechino. (Prima o poi seguirà articolo sul tema: The Young Turks in realtà è il prodotto di un genio del male prezzolato dal Grand Old Party per spostare voti a destra).

Poi mi sono ricordata che alcuni membri dei Fratelli Musulmani sostengonopromuovono attivamente la mutilazione genitale femminile (anche se l’organizzazione non si è mai pronunciata ufficialmente su questa pratica, che peraltro non ha basi coraniche e in Egitto è diffusa anche tra i cristiani), e ho pensato che menomare con un coltello da cucina il corpicino di una bimba è infinitamente più odioso che scrivere un articolo un po’ maschilista.

Ok, i Fratelli Musulmani sono molto peggio del New York Times, scoperta dell’acqua calda. Ma per un momento, e soltanto per un momento, leggere quel ritratto della first lady egiziana mi ha spinto a domandarmi se le femministe col burqa non avessero in qualche modo ragione a sostenere che gli islamisti hanno più rispetto delle donne. Con o senza pori dilatati.

Articoli Suggeriti
Meglio essere turisti o mete turistiche?

Voli low cost e affitti brevi hanno contribuito alla democratizzazione del turismo. Poi qualcosa è cambiato, viaggiare è diventato costoso, difficile, dannoso. Ma il turismo non è diminuito, anzi. Un pezzo dal nuovo numero di Rivista Studio, "Gran Turismo", appena arrivato in edicola.

Nel Regno Unito c’è la moda di andare a farsi le punturine di filler nei bagni pubblici

Sempre più persone prendono appuntamento via social per un ritocchino low cost nelle toilette pubbliche, con rischi enormi per la salute.

Leggi anche ↓
Meglio essere turisti o mete turistiche?

Voli low cost e affitti brevi hanno contribuito alla democratizzazione del turismo. Poi qualcosa è cambiato, viaggiare è diventato costoso, difficile, dannoso. Ma il turismo non è diminuito, anzi. Un pezzo dal nuovo numero di Rivista Studio, "Gran Turismo", appena arrivato in edicola.

Nel Regno Unito c’è la moda di andare a farsi le punturine di filler nei bagni pubblici

Sempre più persone prendono appuntamento via social per un ritocchino low cost nelle toilette pubbliche, con rischi enormi per la salute.

A causa del caldo (e dell’overtourism), in futuro ferie e chiusure aziendali potrebbero essere spostate in primavera

Sta già succedendo, in realtà: chi può parte quando le temperature sono ancora sopportabili, i luoghi meno affollati e i prezzi più accessibili.

di Studio
Ma Rexal Ford esiste davvero?

I quotidiani dicono che il regista a cui il presunto assassino di Villa Doria Pamphilj ha rubato l'identità esiste, ma basta fare una rapida ricerca online per verificare che le prove della sua esistenza sono davvero minime (e strane).

Tra Italia, Spagna e Portogallo si è tenuta una delle più grandi proteste del movimento contro l’overtourism

Armati di pistole ad acqua, trolley e santini, i manifestanti sono scesi in piazza per tutto il fine settimana appena trascorso.

Lo sapevate che siamo tutti ipernormalizzati?

È una parola vecchia che però sta tornando attuale per descrivere la straniante sensazione che tutti proviamo ormai da un pezzo: quella di dover continuare a funzionare come individui mentre il sistema attorno a noi crolla, tra guerre e crisi economiche.