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La chiusura della più famosa sauna di Bruxelles è un grosso problema per la diplomazia internazionale A Bruxelles tutti amano la sauna nella sede della rappresentanza permanente della Finlandia. Che ora però resterà chiusa almeno un anno.
C’è un cardinale che potrebbe non partecipare al conclave perché non si riesce a capire quando è nato Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo emerito di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, ha 80 anni o 79? Nessuno riesce a trovare la risposta.
La Corte europea ha vietato ai super ricchi di comprarsi la cittadinanza maltese Per la sorpresa di nessuno, si è scoperto che vendere "passaporti d'oro" non è legale.
Una nuova casa editrice indipendente pubblicherà soltanto libri scritti da maschi Tratterà temi come paternità, mascolinità, sesso, relazioni e «il modo in cui si affronta il XXI secolo da uomini».
Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.
Microsoft ha annunciato che dal 5 maggio Skype “chiude” definitivamente L'app non sarà più disponibile, chi ancora si ricorda le credenziali potrà usarle per accedere a Teams.
Alexander Payne sarà il presidente della giuria alla prossima Mostra del cinema di Venezia Il regista torna sul Lido dopo un'assenza di otto anni: l'ultima volta ci era stato per presentare il suo film Downsizing.
I fratelli Gallagher si sono esibiti insieme per la prima volta dopo 16 anni In un circolo operaio a Londra.

La strana idea di Martin Eden

Sulla carta il film Pietro Marcello sembrava una follia, eppure funziona.

26 Settembre 2019

È una scelta curiosa quella di Pietro Marcello, mosso nel 2019 dalla misteriosa urgenza di ripescare Martin Eden e il positivismo di Herbert Spencer, per di più traslandone le vicende da San Francisco a un improbabile contesto campano, e contaminandole a intervalli regolari con esercizi di stile spuri, estranei. Ma che a Marcello piacesse rischiare lo sapevamo già. Proviamo tutti insieme a invitare un amico al cinema per Bella e perduta, la sua prima opera di fiction, di quattro anni fa: «Ti porto a vedere Pulcinella che pasce un cucciolo di bufalo parlante per la nostra bell’Italia, sentirai che retrogusto così squisitamente pasoliniano…». Siamo cioè a un totale di due scelte curiose, le probabilità di andare al cinema da soli sembrano sempre medio/alte, ma a partire da adesso non sarà più così: Pietro Marcello ha completato un cursus honorum che comincia vincendo a Torino, prosegue impressionando Locarno e si conclude andando a premi sia a Venezia che a Toronto, ed è tutto giusto. Ora anche i nostri amici più diffidenti vedranno le sue strane idee farsi alchimia perfetta, piangeranno con Pulcinella e il suo bufalino, soffriranno con Martin nel suo lungo dialogo tra sordi con socialisti e alta borghesia. Non lo avremmo davvero mai detto, ma Napoli e Jack London vanno d’accordissimo.

Come avvicinarsi, dunque, alla materia ostile del “period movie”, incubo di ogni frequentatore di Festival assetato di neorealismo rumeno e splatter asiatici? Una buona idea può essere lavorare sul concetto di period, e qui Marcello fa qualcosa di francamente mai visto. Qualcosa di più complesso dell’accodarsi alla scia di Buz Luhrmann e del suo Romeo + Juliet, quella tendenza che da un paio di decenni ci ha convinti che portare Boccaccio nella Germania nazista o Ibsen su Marte sia davvero una buona idea. Qualcosa di diverso anche dall’epoca ibrida di La La Land, in cui Emma Stone sfoggia l’ultimo modello di iPhone in una città che per molti versi si comporta come negli anni Cinquanta. Nel film di Marcello il concetto di tempo, semplicemente, non esiste. Martin oscilla tra il primo Dopoguerra e gli anni Settanta-Ottanta senza darci punti di riferimento, i suoi nipotini guardano i cartoni animati mentre in piazza siamo in pieno Biennio Rosso, i suoi ricordi di bambino si svolgono davanti ai flipper della nostra infanzia. I nostri tentativi di orientamento non portano a nulla di buono. Ed è proprio allora, quando siamo pronti ad abbandonare i nostri calcoli e cedere allo straniamento, che fanno capolino sullo schermo i grandi intrusi: spezzoni di repertorio, scene di vita bucolica, citazioni pittoriche e altri corpi estranei a Jack London. Sembra incredibile, ma funziona: lo spettatore, docile e mansueto, non può fare altro che arrendersi.

La seconda buona idea è telefonare a Luca Marinelli e chiedergli se ha qualche mese libero. Nessuno è più adatto di lui per un personaggio che dà nuovo vigore a concetti come individualismo e darwinismo sociale: Martin Eden è assetato di conoscenza, di prestigio, di sangue, è rissoso, sprezzante, incontenibile. Martin Eden è Alain Delon, Zlatan Ibrahimović, Mike Tyson. Ripudiato da un’aristocrazia che poi finisce con l’idolatrarlo, adorato da un proletariato che detesta, frainteso da povero e da ricco, il nostro eroe porta le cicatrici della sua frustrazione nei denti marci, nei capelli bianchi, nel suo spleen perpetuo. L’aderenza fisica di Marinelli al personaggio è qualcosa di mostruoso, la sua resa della parlata napoletana, almeno per chi è cresciuto a diverse centinaia di chilometri di distanza, vicina alla perfezione. Dati alla mano, considerando che Joker ha un Leone d’oro in saccoccia e – Joaquin Phoenix in primis – un’autostrada per gli Oscar asfaltata di fresco, la Coppa Volpi è un riconoscimento naturale. E insomma, mai diffidare delle idee strane: Martin Eden è una perfetta creatura da Festival.

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