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La danzatrice del ventre è diventato un mestiere molto pericoloso da fare in Egitto Spesso finiscono agli arresti per incitazione al vizio: è successo già cinque volte negli ultimi due anni, l'ultima all'italiana Linda Martino.
Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
Trump si è complimentato con il Presidente della Liberia per il suo inglese, non sapendo che in Liberia l’inglese è la prima lingua Joseph Boakai, nonostante l'imbarazzo, si è limitato a spiegargli che sì, ha studiato l'inglese nella sua vita.
Ed Sheeran si è dato alla pittura e ha provato a imitare Jackson Pollock con risultati abbastanza discutibili Ma almeno si è sforzato di tenere "bassi" i prezzi delle sue "opere": meno di mille sterline a pezzo, che andranno tutte in beneficienza.
Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

Zuidas

Il quartiere Zuidas di Amsterdam e l'estetica del business. Progettare spazio pubblico per il "privato"

27 Dicembre 2011

C’è una foto del 1932 dove si vedono degli operai in pausa pranzo, seduti su una trave d’acciaio sospesa su Manhattan, parte di quello che sarebbe diventato il Rockefeller Center. A parte il coraggio e le doti compositive del fotografo (Charles C. Ebbets), nonché l’invidiabile noncuranza dei soggetti, questa vertiginosa immagine colpisce per motivi simbolici. Gli spavaldi grattacieli della Grande Mela rappresentavano il vertice dello sviluppo urbano e capitalistico occidentale, una conquista architettonica ed economica capace anche di elevare uomini dall’aria semplice e polverosa come quegli operai a simbolo immortale dei raggiungimenti tecnici umani. E, sia per gli speculatori che per i terroristi, i grattacieli tutt’ora conservano un forte appeal simbolico.

Ma cambiamo scenario, spostandoci in una città che sicuramente non è famosa per la sua verticalità: Amsterdam. Nell’ultimo decennio, a sud del centro cittadino (ma abbastanza lontano dalla caratteristica “cipolla” dei canali, per non stonare troppo) si è andato sviluppando lo Zuidas, un nuovo business district dove banche e corporation internazionali (come RBS e Accenture) hanno fatto il loro spettacolare nido. Usciti dalla metro, appena sotto il World Trade Center locale, ci si confronta subito con l’estetica dell’opulenza riscontrabile in altre zone della città: i palazzi delle compagnie con le loro trovate architettoniche accattivanti (tipo l‘astronave ING), i blocchi residenziali essenzialmente pratici (per ottimizzare le superfici affittabili), ma rivestiti di texture e colori più vivaci (il condominio della Django).

Ispirato alla Défense parigina e al Canary Wharf londinese, il masterplan dello Zuidas (anche conosciuto come “Financial Mile”) è stato commissionato nel 1998 dal Comune allo studio De Architekten CIE, ma sarà portato completamente a termine solo nel 2023. Il tutto è stato progettato e realizzato secondo le norme di ecosostenibilità europee (assicurandosi che ci siano abbastanza spazi pubblici e verdi) e, visto il risultato che gli stessi architetti hanno ottenuto con altri spettacolari progetti residenziali nella rinascente zona nord-est della città, tutto ciò fa ben sperare.

A camminarci nello Zuidas, però, l’effetto è un po’ straniante. Così come in altre zone recentemente risviluppate, la bellezza dell’architettura distrae dalla mancanza di un tessuto urbano, di una quotidianità indipendente dalle illustri compagnie che vi si sono trasferite. I palazzi residenziali sembrano semivuoti, le attività commerciali a livello di strada sono ridotte a pochi bar. Eppure, lo Zuidas si sta già attrezzando per provvedere a ogni bisogno che i suoi nuovi abitanti potranno avere. Tra questi, si affaccia curiosamente anche l’arte.

Un paio di anni fa ho intervistato l’artista israeliano Tom Tlalim, ospite di un programma di residenze dello Zuidas Virtueel Museum, un’istituzione locale che già si interroga creativamente sull’identità del nuovo quartiere. Secondo lui, nello Zuidas salta più che mai all’occhio il ruolo dell’artista come guardiano di un suolo che sembra pubblico, ma in realtà è privatizzato dalle banche (a questo proposito il critico Jeroen Boomgaard ha curato addirittura un libro su questo caso specifico). Se lo spirito del quartiere non esiste, l’arte può essere un fattore importante nel dare alla scatola vuota quel calore che può renderla più umana e attraente. Oltre al Virtueel Museum, infatti, nella zona stanno sbocciando una serie di altre attività (ad esempio l’iniziativa di urban screens CASZuidas) e si possono già vedere vetrine vacanti con su colorati adesivi che promettono spazi riservati all’arte. E poi c’è Hello Zuidas, una fondazione che mira a influenzare la vivacità culturale della zona per aiutarne il marketing e favorire l’affluenza di business e cittadini cosmopoliti.

Ovviamente perché un ambiente così giovane possa sviluppare un senso di quartiere e comunità ci vorrà del tempo, ma il coinvolgimento di iniziative artistiche già in questo stadio è indicativo. Tradizionalmente gli artisti sono soliti migrare verso ambienti urbani eterogenei, vibranti, dove ci sia già un’atmosfera socialmente e culturalmente vivace. O se no, al limite, verso location postindustriali dove gli scheletri del fordismo facciano da romantico monito per un futuro all’insegna dell’economia creativa. Nel caso dello Zuidas, invece, questa creatività è stata presente programmaticamente e fin da subito, un’inseminazione culturale artificiale che sdogana quello che normalmente avremmo considerato in antitesi con lo spirito artistico. Un’estetica del business.

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