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La danzatrice del ventre è diventato un mestiere molto pericoloso da fare in Egitto Spesso finiscono agli arresti per incitazione al vizio: è successo già cinque volte negli ultimi due anni, l'ultima all'italiana Linda Martino.
Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
Trump si è complimentato con il Presidente della Liberia per il suo inglese, non sapendo che in Liberia l’inglese è la prima lingua Joseph Boakai, nonostante l'imbarazzo, si è limitato a spiegargli che sì, ha studiato l'inglese nella sua vita.
Ed Sheeran si è dato alla pittura e ha provato a imitare Jackson Pollock con risultati abbastanza discutibili Ma almeno si è sforzato di tenere "bassi" i prezzi delle sue "opere": meno di mille sterline a pezzo, che andranno tutte in beneficienza.
Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

Se Escobar va in tv

A metà strada tra una soap opera e Romanzo Criminale, il biopic del più grande narcotrafficante dimostra che la telenovela di qualità è possibile.

29 Novembre 2012

Lunedì 19 novembre, ore 21. Bogotà è deserta. Non c’è traffico in centro, gente nelle piazze o caos nei TransMilenio, i sovraffollati autobus della capitale della Colombia. Molti locali notturni sono chiusi. Nelle strade non c’è nessuno. La pubblicità dell’istituto pubblico di turismo dice che “Bogotà è duemila metri più vicino alle stelle”, ma i sette milioni di abitanti sembrano risucchiati da un buco nero. Sono tutti a casa. Perché? In questa stagione dell’anno la temperatura è mite. Né per il coprifuoco un tempo imposto dalla criminalità nelle città latinoamericane, oggi la città è più sicura. Non gioca la nazionale di calcio, non ci sono risultati elettorali da aspettare al telegiornale. Cosa succede? Stanno trasmettendo in tv, in prima serata, l’ultima puntata della fiction Escobar. El patrón del mal (qui).

Nessuno vuole perdersi l’epilogo della serie. Anche se il finale lo conoscono tutti. È successo quello che accade con tutte le telenovelas: non si tratta di “cosa” raccontano ma il “come” viene raccontato. E, soprattutto, il “chi”. La fine del protagonista, il narcotrafficante colombiano Pablo Escobar, è risaputa: mentre provava a scappare dal tetto della casa dove si nascondeva, è stato colpito in pieno petto dai proiettili della polizia. Il suo corpo, grasso, riuscito a prendere 10 chili nei mesi che ha vissuto da latitante, è stato abbattuto il 2 dicembre del 1993. Ma questa serie, ispirata al libro La parabola di Pablo di Alonso Salazar (Aguila, 2012), ha tenuto incollati alla tv non solo i colombiani, ma gran parte dell’America Latina e degli Stati Uniti. Persino sull’isola di Cuba continuano a seguire attraverso collegamenti clandestini i capitoli che vengono trasmessi in streaming sul web.

La prima puntata è andata in onda il 28 maggio su Caracol tv e si è attestata su uno share del 62,7%. Da allora, ogni giorno, dal lunedì al venerdì, sono stati trasmessi capitoli di un’ora ciascuno. La storia, per i colombiani, è una parabola del male: un uomo comune, ambizioso e senza scrupoli, vuole fare i soldi e per farlo è disposto a camminare sul cadavere di chiunque. Costruisce un impero con il traffico di cocaina. Ma non gli basta. Vuole arrivare al cuore del potere, la politico. Sale il premio, sale il prezzo in sangue. Ma il valore aggiunto della fiction è nella sceneggiatura, scritta da Guillermo Cano e Luis Galán – figlio e nipote di un giornalista, e poi politico, ucciso proprio da Escobar – che hanno raccolto le testimonianze di molte vittime e prodotto una documentazione approfondita. La formula sembra vincente.

Escobar. El patrón del mal è anche e soprattutto un viaggio nel tempo. La biografia nera di un paese intero. Siamo nella Medellin d’inizio anni ’80, i costumi e l’architettura sono ricostruiti perfettamente. Per riuscirci, la produzione ha investito circa 10 milioni di dollari, spalmati su 113 capitoli. Sono stati coinvolti 1300 attori in 450 location diverse, quasi tutte esterne. Le inquadrature sono cinematografiche, linguisticamente complesse e piene di ritmo, nel montaggio, offrono una narrazione chiara, descrittiva, quasi didascalica nel raccontare la storia di Escobar. Ogni capitolo ha una struttura indipendente, come fosse un racconto breve.

Medellin è in mano alla criminalità: regna il sicariato, il traffico di stupefacenti con torture di ogni tipo. Pablo Escobar trasforma il linguaggio colombiano, le dinamiche della politica, l’economia stessa. “Prima di Pablo Escobar nessuno pensava che in Colombia potesse scoppiare una bomba in un supermercato o in un aereo in volo… Pablo Escobar ha scoperto più di ogni altro prima di lui che la morte può essere il più efficace strumento di potere”, scriveva il settimanale colombiano Semana il 3 dicembre del 1993, il giorno dopo la morte del narcotrafficante più famoso al mondo.

L’umanizzazione dell’anti-eroe nella serie ricorda il Libanese in Romanzo criminale.  Escobar e i suoi superano e ridisegnano i limiti. Si sentono intoccabili. Sono intoccabili. Lo spettatore assiste all’ascesa di Escobar, il degrado morale dell’uomo e della capitale del dipartimento di Antioquia. Il degrado di tutta la Colombia. Fino a dove – e a che prezzo – arriverà Pablo Escobar? Le vicende sono note, ma la tensione narrativa è gestita molto bene, mentre il protagonista corre verso il suo epilogo mortale.

La telenovela disegna una cartografia dei sentimenti e delle tensioni sociali del paese, dell’immaginazione culturale e delle aspirazioni segrete ed esplicite della gente. La letteratura su questi fenomeni è vasta in America Latina e mescola la finzione con l’egemonia dell’audiovisivo in un continente dove la tv è molto spesso l’elemento domestico più sacro della casa. Sempre pieno, anche quando il frigo è vuoto.

Gabriel García Márquez, un’intervista dello scrittore ed ex direttore di Le Monde Diplomatique Carlos Gabetta pubblicata sulla rivista Chasqui, sosteneva che la telenovela è una forma di narrazione che si regge su quel melodramma demagogico che sembra fare parte del Dna dei latinoamericani. Escobar. El patrón del mal è stato molto criticato anche per questo aspetto. Per molti è l’apologia di un delinquente. Attraverso il rapporto con le sue donne, la mamma soprattutto e poi la moglie e madre dei suoi figli. Legami carichi di sentimentalismo.

“Ci sono case dove si cambia l’orario della cena per potere vedere le telenovelas – continua Garcia Marquez . È il fascino dei fatti della vita reale. Poter fare questo, con valore e qualità letteraria, sarebbe una meraviglia. Poterli intrappolare, fare in modo che cambino le abitudine per interesse a una favola, dovrebbe essere la maggiore aspirazione di uno scrittore”. Di sicuro el Gabo si guarda Escobar: una riflessione storico-sociale della Colombia attraverso il melodramma di una telenovela (di qualità) che ha vinto. Al di là del bene e del male. Dove si colloca il culto di Escobar.

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