Attualità

Relazione complicata

Intervista agli autori di Noah, corto "ambientato" sullo schermo di un computer. Si parla di grandi sentimenti, masturbazione e Google+.

di Pietro Minto

Una giovane coppia entra in crisi, lui se ne rende conto mentre chiacchiera con lei su Skype. Non è un ragazzo maturo (chi lo è d’altronde?) e la rivelazione lo getta nel panico. Ne parla con un suo amico su Facebook. La conversazione si fa pesante tanto da fargli dimenticare la tab di YouPorn aperta qualche minuto prima, quando i tempi sembravano più felici. Lui comincia a studiare il profilo della ragazza che ormai considera “ex”; vede “mi piace” sospetti piovere sulle di lei foto dal profilo di un ragazzo belloccio, misterioso. Si dispera, torna a confidarsi con l’amico. Poi ricorda di sapere la password dell’account della sua amata. E se provasse a collegarsi al suo profilo per conoscere la Verità?

Noah è un corto presentato la scorsa settimana al Toronto International Film Festival (Tiff) da due giovani studenti di cinema canadesi, Walter WoodmanPatrick Cederberg. Ad attirare una notevole attenzione online è stato inizialmente un particolare: il film è “ambientato” sullo schermo di un computer. La scenografia è composta da finestre, icone, pop up, tab aperte e chiuse; degli attori vediamo solo gli avatar e le loro facce su Skype. Un pezzo di umanità è volutamente sacrificato per indagare il rapporto morboso tra noi e gli altri, la deriva dei legami di coppia in tempi in cui un like sospetto pesa come un amante scoperto in flagrante. Noah è una storia d’amore, fiducia e sospetto infilata in un claustrofobico pezzo di vetro. Eccezionale e banale, quotidiano e incredibile, offre un cast composto da maschere: ci siete voi o il vostro amico un po’ paranoico, c’è la vostra cotta che non se la sente di tarparvi le ali, c’è il “non sei tu, sono io”, c’è l’amico del cuore che è ben disposto a starvi ad ascoltare ma forse accetterebbe più volentieri una partita a Call of Duty.

Per capirci qualcosa di più, abbiamo deciso di contattare i due giovani registi: siamo finiti col parlare di ChatRoulette, Hitler, Google+, gelosia, teenager e amicizia ai tempi di Facebook. A tratti ci siamo distratti e siamo andati fuori tema. Poi siamo rientrati però.

Di seguito il video di Noah (aggiornamento: il video originale risulta oggi “privato” su Youtube ed è stato quindi sostituito con un altro) e il botta e risposta tra chi scrive (Studio), Walter Woodman (W) e Patrick Cederberg (P). L’intervista è stata in parte editata.

(Attenzione: se non avete ancora visto il corto e siete persone suscettibili, sappiate che è un prodotto leggermente NSFW per via di alcune scene “girate” su ChatRoulette in cui si vedono scene di masturbazione maschile).

(Il video è stato rimosso per l’ennesima volta da Youtube. Lo inseriremo appena sarà ripubblicato.)


***

Studio: Pronto?

W: Ehi, ciao.

P: Ciao.

W: Ci siamo appena svegliati.

Studio: Sono le 10 di mattina lì a Toronto, giusto?

W e Pa (unisono): Sì.

Studio: È presto, quindi (risatone). Com’è andato il Toronto Film Festival?

W: Bene, è finito domenica ed è andato alla grande, sono stati probabilmente i migliori dieci giorni della nostra vita.

Studio: Prima di cominciare a parlare di Noah volevo sapere qualcosa di voi: da quanto tempo lavorate in coppia?

W: Tre-quattro anni…

P: Sì, questo è stato il primo film che abbiamo fatto e concluso assieme, anche se il nostro rapporto creativo dura da tre anni. Prima abbiamo scritto qualche copione per dei corsi universitari, abbiamo suonato in una band… quindi è da tempo che ci scambiamo idee.

Studio: Cosa avete studiato?

P: Film e cinema.

Studio: Parliamo di Noah, il vostro corto. Comincerei col chiedervi qualcosa sul vostro rapporto con i social media e il web, giusto per capire quanto il film sia basato su una storia vera.

P: Entrambi siamo usciti da Facebook circa un mese prima di fare il film. Personalmente avevo capito che ne ero diventato dipendente. Ho sprecato i miei anni del liceo su MySpace e quindi quando è arrivato Facebook mi ci sono trasferito subito. Ma ho capito che non mi faceva bene, serviva solo a mettere in mostra il mio ego, puro ego marketing. Ora che abbiamo finito il film ci sono tornato, ma lo uso in modo diverso. Walter invece non è ancora tornato.

W: Ho lasciato Facebook dopo aver fatto un patto con Patrick: “Io smetto di fumare e tu smetti di andare su Facebook, il primo che cede deve girare per strada nudo su un Segway gettando uova sulle finestre delle case”. Il punto è che io sono uscito da Facebook lui non ha mai smesso di fumare.

P: Diciamo che avevo capito che le sigarette e Facebook sono due dipendenze totalmente diverse.

Studio: Quale delle due è più facile da affrontare?

P: Direi Facebook, che è una cosa di puro autocontrollo. Reddit invece dà molta più dipendenza. È tipo l’eroina.

Studio: Come vi è venuta l’idea per Noah? È una storia di pura fantasia oppure ha qualche riferimento alla vostra realtà?

P: È una miscela di cose che avevamo fatto e scritto online. Se al liceo mi fossi trovato nella situazione sentimentale di Noah, temo mi sarei comportato come lui. Specie se penso a quanto impulsivo ed emotivo ero su Myspace in quegli anni. Non l’ho mai fatto davvero ma il film è tipo una strana realtà parallela in cui, per alcuni motivi, ho potuto fare tutte quelle cose.

Studio: Credo che noi tutti da teenager, in tempi in cui si è più immaturo e alle prime armi, avremmo fatto cose simili. Io, per esempio, avrei potuto farlo. Fortunatamente all’epoca non esisteva ancora Facebook. Non so sinceramente come facciano i teenager d’oggi, magari spiano i profili delle loro ex di continuo perché ne hanno la possibilità.

Pa: Ma i teenager d’oggi usano Facebook in modo completamente diverso dal nostro, credo che ogni generazione lo adotti in modo diverso.

W: Ho sentito che un sacco di ragazzi si stanno trasferendo su Google+ perché Facebook è il posto “uncool” della rete.

Studio: Sì, pare che il problema è che i ragazzini considerano Facebook “il sito dove ci sono i miei genitori”.

P: Esatto!

Studio: E forse Google+, essendo un deserto popolato da nerd, è un’ottima soluzione per i ragazzi che vogliono stare da soli.

P: E l’unica cosa che possono fare su Google+  è aggiungere amici.

Studio: Aggiungi degli amici, e poi basta.

Pa: Sì, li puoi contare come fossero Pokemon.

Studio: Il vostro corto tratta delle relazioni a distanza. Come pensate siano cambiate con l’avvento di Skype e i social network?

W: Beh, Internet è uno strumento e dipende quindi da come lo si usa. Ma guardaci: stiamo parlando con una persona in Italia, e la possiamo vedere, e possiamo parlare di un film che abbiamo fatto e messo un sito, e che questa persona ha potuto vedere gratis. È incredibile, non riesco a pensare a niente di più bello. Ma dipende come lo si usa. È tipo una pistola: con una pistola avresti potuto uccidere Hitler ma con una pistola puoi anche uscire e sparare a un passante.

P: Bella analogia.

W: Mmm, allora diciamo che è tipo un martello…

P: Ecco.

W: … col quale puoi spaccare la testa a qualcuno…

P: Hitler?

W: Hitler. Oppure puoi costruirci una casa. Dipende da come usi le cose che ti vengono date. Viviamo comunque in un momento stimolante e non credo si debba avere paura delle novità, bisogna capire come sfruttarle al meglio per vivere bene.

Studio: Non so niente di regia e di come si fa un film, quindi sono curioso di sapere come avete tecnicamente fatto a girare il film “ambientandolo” su uno schermo.

Pa: Cinque o sei mesi prima di registrare il corto abbiamo cominciato a creare questo ecosistema di profili Facebook finti per i personaggi che avevamo creato, pubblicando cose, chiedendo a nostri amici di interagirci. Io seguivo il profilo finto di Noah, per esempio. E alla fine abbiamo registrato utilizzando un programma di screen recording. Tenevamo quattro portatili e qualche smartphone a portata di mano per pubblicare le cose al momento giusto, volevamo girare il tutto in una sola take e quindi ci dicevamo “Manda il messaggio a Amy” o “Scrivi questo a Noah” in tempo reale. Abbiamo fatto qualche prova e in poche notti abbiamo girato tutto, comprese le conversazioni su Skype e ChatRoulette.

Studio: Ho un paio di domande da farvi riguardo la parte su ChatRoulette, ovviamente, ma prima volevo sapere: ce l’avete fatta a fare tutto in una take?

P: È l’insieme di un paio di take: la parte di ChatRoulette l’abbiamo fatta in momenti diversi: abbiamo chiesto a qualche attore di andare sul sito e interagire con gli utenti, dovevano farlo spontaneamente. Oppure andavamo a casa di amici e registravamo le loro reazioni da sole, dicendogli di fare cose tipo fumare un bong, masturbarsi e cose del genere. E abbiamo preso tutto questo e l’abbiamo montato assieme.

Studio: Quindi quelli che si masturbano sono utenti random di ChatRoulett oppure…

W: Non possiamo dirlo per ragioni legali, ci hanno detto di mantenere il segreto.

Studio: E avete avuto problemi con YouTube per quelle scene di masturbazione?

P: Quelli del Toronto Film Festival le hanno caricate su YouTube, che è partner ufficiale del festival stesso, quindi sapevano a cosa andavano incontro. L’avessimo caricato in qualsiasi altro modo o circostanza, sarebbe stato cancellato subito.

W: Al Tiff hanno presentato anche Candy, un corto di Cassandra Cronenberg, figlia di David Cronenberg, in cui si vede una donna fare un pompino, quindi…

P: …E trovi su YouTube anche quello.

W: Ce n’è poi uno che si chiama Foreclosures in cui ci sono tantissimi nudi, è incredibile. Il nostro è dopotutto molto pulito: non c’è nessun nudo femminile, per dire. Non so, credo che in molti sappiano come funziona ChatRoulette; se una persona arriva fino a quel punto di Noah, penso le sia chiaro che quelle immagini hanno un certo senso e non puntano al mero shock.

Studio: Ma infatti lo chiedevo perché è da anni che non vado su ChatRoulette e ricordo solo che era pieno di uomini impegnati in sessioni di masturbazione. È ancora così?

W: No, c’è una nuova tecnologia nel sito che… non lo so se è in grado di captare questo movimento (simula con la mano un certo movimento riferendosi alla masturbazione maschile, Nda) e di riconoscerlo, ma se ci provi ti sbattono subito fuori.

Studio: Tipo un penis-detector.

P: Un erection-detector.

W: Sì e sono molto veloci a capire che lo stai facendo, ti sbattono subito fuori. Assurdo.

Studio: Come e perché avete scelto il nome Noah per il protagonista? Ci sono riferimenti alla Bibbia?

P (rivolto a W): Esatto, perché l’hai scelto? (rivolto a Studio) Stavamo facendo un film su ChatRoulette tempo fa e il suo protagonista si chiamava Noah, che conosceva una ragazza sul sito e poi “usciva” dallo schermo del computer per incontrarla dal vivo. Così abbiamo infilato questa storia dentro il corto Noah, ed è diventata la seconda parte prima del finale.

W: Quel progetto si chiamava Looking for next partner, era una storia d’amore e il titolo riprendeva la frase che compare su ChatRoulette mentre sta caricando il prossimo utente con cui potrai comunicare. Boh, a me è sempre piaciuto il nome Noah, ho sempre detto che avessi un bambino lo chiamerei così… Ma all’inizio doveva chiamarsi Noah Collins, che penso sia il nome di un personaggio di Twilight, e quindi l’abbiamo escluso perché a quel punto ci sembrava un coglione. Alla fine abbiamo optato per Noah Lennox, che è il nome di uno degli Animal Collective (noto anche nella sua carriera solista come Panda Bear, Nda).

Studio: Tornando al vostro film, mi sembra possa essere il sequel di The Social Network. È come se il film di Sorkin abbia raccontato l’origine del mezzo di cui avete mostrato un suo effetto collaterale, il suo vero impatto nella nostra società, nelle relazioni.

P: A me The Social Network è piaciuto molto, e credo sia un film su due amici che tradiscono altri amici, non una storia sulla tecnologia. Il nostro è un film che avremmo potuto fare usando MySpace qualche anno fa e tra pochi anni potremmo rifare con una piattaforma completamente diversa. In ogni caso la sostanza, la storia, sarebbe sempre la stessa. Ad esempio, pare che adesso Google+ sia sulla cresta dell’onda (ride).

W: Il film è piaciuto molto anche a me anche se mi sembra che The Social Network, come la maggior parte dei film, abbia utilizzato il computer in modo non naturale. È raro trovare un film in cui lo schermo sia sfruttato appieno, e anche per questo, facendo Noah, abbiamo scelto di limitarci allo schermo di un laptop. (Breve intervallo in cui si è parlato d’altro) A proposito di privacy e relazioni umane, mi chiedo spesso: se conoscessi la cronologia dell’utilizzo di internet di una persona, la capirei meglio? E se potessi sapere le parole che ha digitato e poi cancellato, se potessi leggere le mail che non ha mai inviato, come vedrei quella persona?

Studio: Mi pare che Google+ (errore dell’autore: era Google Wave, servizio ora estinto, Nda) permetta di visualizzare in tempo reale quello che la persona sta scrivendo in chat.

P: Davvero? Figata.

W: Sì, è tipo Google Docs. Ma fa paura, cazzo.

(Segue ulteriore discussione su Google+, dato per morto e risorto un paio di volte nel giro di pochi secondi. W elogia Google Docs come strumento basato sulla collaborazione e la fiducia – divagazione sulle sue difficoltà in fatto di spelling.)

W: Abbiamo scritto tutto il film usando Google Docs, è stato fighissimo perché il testo è condiviso e cambia in tempo reale davanti ai tuoi occhi. Lo rifarei, perché dai a un’altra persona l’opportunità di leggere quel che hai scritto e cambiarlo. È incredibile.

Studio: Tornando a The Social Network, il suo finale mi ricorda un possibile scenario futuro per Noah: passare ore ed ore ad aggiornare il suo profilo sperando di vedere un segnale di ricongiungimento da parte della sua ex, come fa Mark Zuckerberg con la sua cotta. Sono comunque due storie che dovrebbero essere “social” e invece parlando di perdite, di “cerchie” sociali che si restringono.

W: Beh, è impossibile fare una storia che racconti tutto quello che succede su Facebook ma il modo migliore di parlare di un argomento così vasto come i social media è partire da un’esperienza personale. Sì, c’è il punto in comune della perdita di connessione tra il nostro corto e il film, e credo che ChatRoulette sia il simbolo di tutto questo: è anonimo e in Noah funge un po’ da antidoto a quel che succede nella prima parte del corto. Sono connessioni anonime messe a confronto con… Con…

P: … con disconnessioni nella vita reale.

W: Però non lo so, non saprei dire se il nostro protagonista finirebbe a cliccare “aggiorna” per vedere se la sua ragazza lo ha perdonato. Non lo so. Non so cosa farebbe, no. È una bella domanda.

 

Immagini: fotogrammi tratti da Noah