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Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

La cornetta digitale

Anche nei moderni device, l'iconografia è rimasta quella degli anni '80: cornette telefoniche, cartelle, fogli: la "desktop metaphor" si evolverà?

22 Novembre 2012

Prendete in mano il vostro smartphone – per esempio un iPhone – e cercate il tasto per effettuare una telefonata. Eccola, l’icona verde con al centro una cornetta bianca. Zoomate – mentalmente – su quell’icona. Una cornetta.

Sempre sull’iPhone, cercate quello per mandare una mail. Eccola, ancora, la busta bianca da leccare – però fatta di pixel.

I nostri device tecnologici, siano essi smartphone, tablet o laptop, sono ancora caratterizzati da un’iconografia estremamente vetusta: non lo era, certo, dieci o venti anni fa, lo è soltanto in parte oggi, ma sarà pura archeologia tra non molto. Esempi? Ce ne sono a decine. Folder, cartella: disegnata come un raccoglitore di cartone degli anni ’80 (l’icona, infatti, nasce proprio in quel decennio) è ancora lì. Anzi, è un’icona fondamentale, una delle più importanti e numerose tra le tante presenti nel computer. Ma in quanti ancora riconoscono l’oggetto originale da cui si è generata la metafora iconica? In quanti utilizzano, ancora, dei portadocumenti di cartoncino?

Flashback: come nascono le icone? Possiamo saltare la parte in cui si dice che la parola viene dal greco eikon e significa immagine, eccetera. Sono gli anni ’70, e nei laboratori della Xerox, a Palo Alto, si festeggia la venuta al mondo della cosiddetta “desktop metaphor”, che presenta il computer come una scrivania virtuale sulla quale si posano le controparti anch’esse virtuali dei tipici oggetti da ufficio: cartelle appunto, e documenti, lenti d’ingrandimento, forbici e cestino della carta straccia (che sta, non a caso, in basso a destra). Alla base dell’idea c’è il concept “WYSIWYG” (What You See Is What You Get), che confluisce nello Xerox 8010 Information System (più famoso come Star), del 1981. Commercialmente parlando è un insuccesso completo, ma pone le basi per un’iconografia che in gran parte sopravvive ancora oggi, a trentuno anni di distanza: un rettangolo bianco con un angolo piegato, da quel momento, significa “documento”. Nel 1983 esce Apple Lisa, predecessore del primo Macintosh (1984) che presenta la stessa “desktop metaphor”. Le icone sono disegnate da Susan Kare – che passerà poi a Windows per Win 3.0 del 1990 – e sono un successo: non verrano mai più abbandonate.

Il problema, oggi (ma soprattutto domani) si porrà quando la metafora non sarà più “a doppio senso”. Ovvero: verrà un giorno in cui qualcuno si chiederà il significato intrinseco di quello strano simbolo arcuato che oggi riconosciamo come cornetta. Gli esempi di icone che subiranno, verosimilmente, la stessa sorte, a guardare un normale desktop, sono molti (prendiamo ad esempio un MacBook): il francobollo per il sistema Mail; il calendario da parete con i fogli staccabili giorno per giorno per l’applicazione Calendario; il bloc-notes, giallo a righe, per Note; la rubrica degli indirizzi per Contatti; il pennino e l’inchiostro per Pages; la lente d’ingrandimento per la funzione Cerca; il floppy disk per Salva. Ancora, il già citato telefono analogico, la busta di carta per Gmail, il microfono vintage per le registrazioni vocali. Il concetto alla base delle icone metaforiche è espresso nelle Macintosh Human Interface Guidelines, manuale che accompagnava il primo Mac(intosh) dell’84. La funzione è chiara: chi approcciava un mezzo informatico – allora ancora “nuovo” – poteva trarre vantaggio da conoscenze già consolidate su oggetti della vita quotidiana. Bizzarra è la semiotica delle icone: si riferisce sempre all’oggetto (o al concetto) di una “preistoria tecnologica” per spiegare un altro oggetto (o concetto) tecnologico; ma prima o poi la preistoria finirà, e con lei il rimando a certi significati pre-tecnologici.

Forse, un fattore che risulterà decisivo per la resistenza dei rimandi analogici al versante “concreto” delle nostre vite – e quindi per la continuità della formula metafora – è riassunto nel saggio The myth of the paperless office, scritto da Abigall Sellen e Richard Harper nel 2002, in cui vengono analizzate molte cause del mancato declino del consumo di carta nel mondo occidentale. Non si tratta dell’annosa questione riguardante quotidiani, paywall e futuro-della-stampa, bensì della “vita sociale” dei vari supporti cartacei: nella categoria dei cosiddetti knowledge workers, il consumo di carta è ancora altissimo, anzi, in ascesa. Il mezzo fisico serve, per Sellen e Harper, per “archiviare idee che [i lavoratori della conoscenza] non sono ancora in grado di categorizzare o decidere come usare”, e presenta, intrinsecamente, alcuni vantaggi apparentemente ancora insuperabili: tangibilità, flessibilità spaziale, “tailorability”. Anche questo dimostrerebbe perché dal 1997 al 2002 il consumo di carta nel mondo è salito del 15%, e si è mantenuto più o meno stabile anche negli anni successivi. Questo, però, riguarda la sopravvivenza dei significati di icone come cartella, o documento.

Un problema più interessante si pone con la cornetta telefonica. Se il destino del telefono fisso è una veloce discesa verso il baratro (e la sua forma è oramai quella di cordless), ha senso (o lo avrà) continuare a mantenere quell’icona per indicare il significato di “chiamata”? Per non parlare della busta delle mail o, ancora meglio, del significato di “Cc”: carbon copy, un procedimento a dir poco archeologico che è già ignorato da una buona fetta di popolazione. Se, in linea teorica ma probabile, il futuro della telefonia (e non solo) sarà contenuto esclusivamente in device come gli smartphone, quale sarà il simbolo da utilizzare per comunicare il concetto?

La desktop metaphor, se non del tutto mora, è certamente moribonda: cartelle e documenti esistono ancora, ma non più sotto forma di pura “metafora” di concetto spaziale com’era in origine. L’approccio si sta spostando verso il touch screen e le applicazioni – e quindi loghi, e non più icone – o verso ciò che viene chiamato “windowing environment“.

Ma se non è certo roseo l’avvenire della metafora in senso ampio, in un più stretto senso semiotico è difficile immaginare un’alternativa alle icone: o forse il concetto stesso di icona (e quindi quello di metafora) è destinato a essere soppiantato da quello di logo, che non rimanda a nessuna idea comune? Un utente in un thread nel sito YCombinator esprime in maniera chiara ma efficace il problema: «Se dovessimo modernizzare la nostra iconografia, un’enorme quantità di cose non si potrebbe più facilmente rappresentare con qualcosa di abbastanza distintivo», scrive moocow01, e conclude con una scomoda soluzione: «Icona per un telefono: schermo rettangolare. Icona per una tv: schermo rettangolare. Icona per un tablet: schermo rettangolare. Icona per una macchina fotografica: schermo rettangolare (con un puntino in un angolo)».

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