Attualità

Ferma il tempo

All'indomani di Later That Same Life di Peter Emshwiller, cinque titoli che hanno portato, letteralmente, il passare degli anni sullo schermo.

di Redazione

Parlare con un sé stesso del passato o del futuro, intavolando una discussione fra due stadi di maturazione a cui corrispondono due persone nei fatti diverse fra loro, con storie diverse da raccontare e opinioni diverse su ciò che le circonda. Se non, talvolta, addirittura con nomi diversi. Peter Emshwiller è nato nel 1959 e si è fatto un nome nel campo dell’editoria di fantascienza. Quando aveva diciott’anni si faceva chiamare Stoney. E proprio a quell’età, nel 1977, ha deciso di videoregistrare un’intervista a un sé stesso del futuro. Stoney, all’epoca un ragazzino in giacca marrone, oggi ha cinquantasei anni e si fa chiamare col suo vero nome. A trentotto anni di distanza ha deciso di sedersi per rispondere a quelle domande, creando Later That Same Life, un progetto che ha voluto tentare di realizzare (e realizzerà) con l’aiuto di una campagna di raccolta fondi online.

Per quanto l’idea di Emshwiller sia senz’altro originale e il suo effetto risulti più o meno piacevolmente straniante, il suo film non sarà l’unico a essere ricorso al tempo per dare profondità o un peso significativo alla costruzione narrativa. Abbiamo fatto una lista di esperimenti simili.

Boyhood

Boyhood, di Richard Linklater, è l’esempio recente più famoso di lavoro di questo tipo. Girato in 12 anni ad Austin, in Texas, la pellicola segue l’evoluzione di una famiglia dall’estate del 2002 all’anno scorso. Il regista ha coinvolto lo stesso cast per l’intera durata delle riprese, sostituendo alla stilizzazione tipica della fiction cinematografica la reale crescita/invecchiamento dei protagonisti (interpretati da Patricia Arquette, Ellar Coltrane, Lorelei Linklater ed Ethan Hawke). I due attori adolescenti (Linklater, classe 1994, è la figlia del regista), che non hanno mai avuto la possibilità di vedere il girato prima della premiere del film, a distanza di tempo hanno dichiarato: «Rivedersi attraversare tutti quegli stadi scomodi e bizzarri dell’adolescenza è stata un’esperienza dolorosa e molto strana». Boyhood ha portato in scena la quotidianità, peraltro col pregio non secondario di non estremizzarla.

lecose

Le cose belle

Il documentario di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno è il racconto di un passaggio dall’infanzia all’età adulta che si svolge nell’arco di dodici anni realmente trascorsi. Nel 1999, nella Napoli del “rinascimento” bassoliniano, quattro bambini – Fabio, Adele, Enzo e Silvana – si incontrano per la prima volta nella loro vita, per un servizio commissionato dalla tv pubblica sulla quotidianità dei ragazzi nel capoluogo campano. A distanza di più di dieci anni, dal 2009 al 2012, i registi si sono adoperati per ritrovarli, scoprendo che cos’erano diventati nel frattempo. “Le cose belle” a Napoli è una forma di augurio diffusa, ma la sorte toccata ai quattro non è delle migliori: al loro entusiasmo infantile – i sogi, le speranze – si è inesorabilmente sostituita una disillusione comune a molti giovani italiani, specie al sud. L’affresco di Ferrente e Piperno racconta, in buona sostanza, una storia di aspettative tradite.

 

Up Series

ITV Granada è una storica emittente britannica che trasmette nella zona nordoccidentale dell’Inghilterra. Nel 1964, pochi anni dopo la sua fondazione, affidò ai registi Paul Almond e Michael Apted il compito di realizzare un documentario a puntate che ritraesse la crescita di quattordici bambini inglesi. Il film si compone di sette episodi, girati a distanza di sette anni uno dall’altro, con scene tratte dalla vita quotidiana dei protagonisti, scelti per rappresentare equamente le diverse estrazioni sociali del Paese. All’inizio della prima puntata, titolata “7 Up” perché i bambini scelti hanno sette anni d’età, dichiara i suoi intenti: «Perché abbiamo chiamato a raccolta questi bambini? Perché vogliamo avere uno spaccato dell’Inghilterra dell’anno 2000. Il commesso e il manager del 2000 oggi hanno sette anni».

The First Day of the Rest of Your Life

Il film francese, scritto e diretto da Rémi Bezançon, rappresenta la vita di una famiglia francese, portando in scena una giornata tipo dei suoi cinque membri nel periodo che va dal 1988 al 2000. In questo lasso di tempo la famiglia Duval si trova invischiata nei problemi e le evoluzioni tipici del nucleo familiare medio francese. La pellicola mette in scena una normalità banale e significativa a un tempo: Albert, il figlio più grande, fa medicina, Raphael è un adolescente che deve decidere cosa fare della sua vita e Fleur impara a convivere con la sua femminilità. I genitori, Robert e Marie-Jeanne, sono una coppia di mezza età che deve affrontare i problemi quotidiani di milioni di altre coppie: la casa, i soldi, il lavoro. E i figli, naturalmente.

 

Sorelle Mai

Il film di Marco Bellocchio, uscito nel 2011, è composto da sei episodi girati in altrettanti anni, compresi tra il 1999 e il 2008. Racconta la storia di Elena, una bambina all’inizio del lungometraggio, di fatto abbandonata da una madre con velleità artistiche nella provincia emiliana, dove cresce in compagnia di due anziane prozie, e del rapporto tra due fratelli, Giorgio e Sara (la madre di Elena). Il film è composto da sei spezzoni girati a Bobbio, il paese dov’è ambientato, nell’ambito del corso “Fare Cinema”, tenuto dallo stesso Marco Bellocchio.