Cultura | Cinema
Dovremmo tutti ascoltare Yuh-Jung Youn
Vincitrice dell'Oscar per la Migliore attrice non protagonista per Minari (e fan di Brad Pitt), l'attrice sudcoreana è un personaggio da amare.
Yuh-Jung Youn, courtesy of Getty
«Continuano a chiedermi com’è stato incontrare Brad Pitt», dice l’attrice alla conferenza stampa coreana degli Oscar, poi alza gli occhi al cielo e si mette a sorseggiare il calice di vino bianco che ha in mano. Forse non c’è un’immagine che possa rappresentare in maniera più immediata Yuh-Jung Youn, che domenica scorsa ha vinto la statuetta come Migliore attrice non protagonista per la sua interpretazione in Minari (la prima attrice coreana a vincere un Oscar nella categoria). Di solito non sopporto questa corsa a cercare a tutti i costi somiglianze tra gli attori e i loro personaggi, ma con Yuh-Jung Youn non puoi fare altro. Dal momento in cui è salita sul palco della Union Station a Los Angeles e ha iniziato a parlare, era impossibile non vederci Soon-ja, la nonna coreana di Minari che spiega a un bambino perché il nipote non può andare a dormire a casa sua, «ha il ding-dong (pene, ndr) rotto», o che in chiesa si riprende la banconota da cento che la figlia ha versato nella raccolta delle offerte.
Sono convinta che Yuh-Jung Youn sia una sorta di saggia venuta da un altro tempo e che ogni volta che apre bocca sia sempre capace di pronunciare una verità assoluta edulcorata con un sarcasmo tutto suo. «Non spendere soldi in alcol, droghe o scommesse. Spendere soldi non è intelligente. Principalmente io offro la cena ai miei amici cari, ordiniamo insieme il vino, oppure compro vestiti per me», dice in un’intervista rilasciata dal sito dell’A24, la casa di produzione indipendente che ha distribuito Minari. Il mio aforisma preferito rimane, però, quello sull’amore per il suo letto: «Restare a letto per un giorno è la mia gioia e il mio hobby. Mi piace guardare la televisione o semplicemente sonnecchiare, senza pensare a niente: è tutto quello che voglio fare», poi aggiunge: «Mi dispiace dirlo, ma mi sto proprio godendo la quarantena perché posso riposarmi. Non devo vedere nessuno. Posso stare a casa ventiquattr’ore e stare a letto, nel mio posto preferito». Nessuna pace nel mondo, ma starsene sdraiati nel letto indisturbati. Non è forse il desiderio più condivisibile di tutti? Sì, ma in quanti hanno avuto il coraggio di Yuh-Jung Youn a dirlo così, candidamente, in un’intervista iper istituzionale?
È proprio questa franchezza, che non ti aspetti da una minutissima donna di 73 anni, che nelle foto sorride sempre ammiccante, a caratterizzare l’attrice nello stesso modo del suo personaggio in Minari – e che ha spiazzato tutti alla cerimonia degli Oscar. Appena è salita sul palco ha fatto quello che avremmo voluto fare un po’ tutti: la fangirl di Brad Pitt. L’ha guardato commossa negli occhi e gli ha detto «Signor Brad Pitt, finalmente riesco a conoscerla, dov’era durante le riprese?» (perché Minari è stato prodotto dalla casa di produzione di Pitt, la Plan B Entertainment). Poi si è fatta seria, ha guardato il pubblico, e con la statuetta in mano ha corretto l’attore che ha sbagliato a pronunciare il suo nome – in un certo senso, rivendicandolo. Ha fatto notare come in Occidente si tenda a storpiarlo, facilitandone la pronuncia, quando lei in realtà si chiama in un altro modo. «Ma questa sera vi perdono tutti», ha poi detto col sorriso che aspetti, o auguri, di vedere. In poche e semplici parole pronunciate col sorriso all’attore più conosciuto di Hollywood, Yuh-Jung Youn ha denunciato questo tipo di micro-aggressioni a sfondo razziale.
Non solo, in conferenza stampa ha poi fatto un discorso sul genere e sulla sessualità, appoggiando, velatamente, la causa Lgbtqi+: temi sui quali è raro esporsi in Corea: «Anche un arcobaleno ha sette colori. Il colore non importa, non voglio che ci dividiamo in uomo o donna, nero o bianco, giallo o marrone, gay o etero» e aggiunge, «abbiamo tutti lo stesso cuore caldo». Quello che dice, il suo candore e il modo di fare la rendono subito divertente, e lo sa, ci scherza, senza smettere di essere fortemente seria nemmeno per un secondo.
Soon-ja, il suo personaggio in Minari, è la nonna che si trasferisce, dalla Corea, nelle campagne dell’Arkansas per dare una mano alla figlia e al suocero a crescere i nipoti, mentre loro lavorano duramente per mettere da parte qualche soldo, tra lavori nello smistamento di pulcini e orti casalinghi di verdure coreane. Non sa una parola di inglese e non ha un’idea della cultura americana, alla quale i bambini cercano da sempre di aderire. È la nonna un po’ strana, alla quale il nipotino dice di non essere una vera nonna perché non sa cucinare i biscotti ma bestemmia ogni sera davanti alla televisione mentre scopre il wrestling in t-shirt, boxer, e Mountain Dew in mano.
Come riporta l’Atlantic, l’intenzione del regista Lee Isaac Chung era di rappresentare la storia della sua famiglia senza effettivamente imitare le singole esperienze dei suoi familiari, per rendere il racconto sì, intimo, ma non strettamente personale, e cioè condivisibile anche da tutti, anche da chi non appartenesse alla minoranza asiatica in America. Intervistata dalla National Public Radio, l’attrice Yuh-Jung Youn ha detto che nel personaggio di Soon-ja ci ha messo la sua odiata nonna. «Non mi piaceva perché non era pulita, diceva sempre che non aveva fame e saltava sempre il pranzo» e ha ammesso di aver capito lei e i suoi sacrifici solo quando si è avvicinata alla vecchiaia, «risparmiava tutto il cibo e l’acqua per noi». L’attrice coreana ha poi detto che interpretare la nonnina Soon-ja le ha dato modo di fare i conti con certi brutti ricordi.
L’abbiamo detto che Yu-Jung Youn ama il cibo e dormire. Non solo attrice, ma in Sud Corea ha un reality, che conduce, intitolato Youn’s Kitchen, nel quale attori coreani si sfidano per aprire un ristorante pop-up in posti come Indonesia e Canarie. Doveva esserci anche una terza stagione, ma per il Covid è diventato un altro reality, Youn’s Stay, nel quale i concorrenti devono gestire dei bed & breakfast in Corea in stile Hanok. Nel cast c’era Choi Woo-Shik, attrice di Parasite: chi meglio di lei in un programma sull’ospitalità in casa?
Già biblicamente iconica, nelle sue espressioni e parole, Yuh-Jung Youn ha anche ammesso di non essere molto costante a lavoro. Nel discorso di accettazione ha ringraziato i figli perché «mi fanno uscire di casa e lavorare». Dice di essere diventata attrice a caso, non perché guidata da passioni. In realtà, già prima di arrivare in America era una grande star del cinema sudcoreano (ha esordito da giovane in The Fire Woman e ha recitato nel film di fama internazionale The Housemaid); poi si è sposata, ha lasciato il mondo del cinema, si è trasferita. Dopo qualche anno ha divorziato e, madre single, ha ripreso a recitare, «per sopravvivere e dare da mangiare ai miei due figli ho accettato qualsiasi ruolo».
E poi è arrivato Minari. Ha vinto prima il Bafta, che ha accettato riconoscente «di venire riconosciuta dagli inglesi, conosciuti per essere gente molto snob, e che mi abbiano approvata come una brava attrice»; poi l’Oscar. Quando, intervistata su Skype per promuovere il film si dimentica la telecamera accesa, e una giornalista la vede fumare una sigaretta elettronica con un calice di champagne in mano, lei le risponde «ho più di settant’anni, posso fare quello che voglio a casa mia». E noi, lasciateci invecchiare come Yuh-Jung Youn, per favore.