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01:30 martedì 15 luglio 2025
L’annuncio dell’arrivo a Venezia di Emily in Paris lo ha dato Luca Zaia Il Presidente della Regione Veneto ha bruciato Netflix sul tempo con un post su Instagram, confermando che “Emily in Venice” verrà girato ad agosto in Laguna.
Ancora una volta, l’attore Stellan Skarsgård ha voluto ricordare il fatto che Ingmar Bergman era un ammiratore di Hitler «È l’unica persona che conosco ad aver pianto quando è morto Hitler», ha detto. Non è la prima volta che Skarsgård racconta questo lato del regista.
Superman non ha salvato solo la Terra ma anche Warner Bros. La performance al botteghino dell'Uomo d'acciaio è stata migliore delle aspettative, salvando lo studio dalla crisi nera del 2024. 
Cosa si dice del nuovo sequel di Trainspotting, Men in Love Pare sia molto lungo, abbastanza nostalgico e con dei passaggi notevoli in cui Irvine Welsh si dimostra ancora in forma.
I Talebani hanno fatto un assurdo video promozionale per invitare i turisti americani a fare le vacanze in Afghanistan Il video con la sua surreale ironia su ostaggi rapiti e kalashnikov, mira a proporre il paese come meta di un “turismo avventuroso”.
Justin Bieber ha pubblicato un nuovo album senza dire niente a nessuno Si intitola Swag e arriva, a sorpresa, quattro anni dopo il suo ultimo disco, anni segnati da scandali e momenti difficili.
Damon Albarn ha ammesso che la guerra del Britpop alla fine l’hanno vinta gli Oasis Il frontman dei Blur concede la vittoria agli storici rivali ai fratelli Gallagher nell’estate della loro reunion.
La nuova stagione di Scrubs si farà e ci sarà anche la reunion del cast originale Se ne parlava da tempo ma ora è ufficiale: nuova stagione in produzione, con il ritorno del trio di protagonisti.

Immagini di straordinaria normalità

Da quanto siamo in quarantena è come se tutto quello che c'era prima non ci fosse più. Il World Press Photo ci ricorda di non dimenticare che esiste un mondo oltre il Coronavirus.

17 Aprile 2020

Viviamo in un tempo congelato. Siamo stati trasformati in tanti Ian Solo, cristallizzati nella grafite, come ne L’Impero colpisce ancora di Guerre Stellari. Tutto ciò che ci circonda parla di coronavius, mascherine e quarantena. I virologi monopolizzano la nostra attenzione da ormai due mesi, e quando alla tv spunta la faccia di un Cristiano Ronaldo o di un Carlo Conti qualsiasi ci sembra quasi che arrivino da un passato lontanissimo. Ma, ovviamente, il mondo là fuori scorre. Eccome. La gente continua a scannarsi in Libia e in Siria, i barconi di migranti continuano a sbarcare a Lampedusa. Terremoti, carestie, tifoni e altre calamità purtroppo non sono andate in lockdown. Eppure sembrano non esistere più. A risvegliarci dal nostro torpore, ci pensa il World Press Photo, il più prestigioso premio di fotogiornalismo del pianeta, che poche ore fa ad Amsterdam ha scelto i vincitori del 2020. L’annuncio è stato fatto sui social perché la tradizionale cerimonia è saltata proprio a causa del covid-19.

La giuria internazionale guidata da Lekgetho James Makola ha scelto le immagini dopo una selezione fra 73996 scatti di 4283 fotografi provenienti da 125 Paesi. Quest’anno ha vinto l’immagine del giapponese Yasuyoshi Chiba, dell’agenzia France Press. E’ stata realizzata a Khartoum in Sudan, lo scorso mese di giugno durante le proteste dei manifestanti contro il regime del dittatore Omar Al-Bashir. Al centro della scena c’è un ragazzo. Tutt’attorno è buio, sono giorni di blackout, ma il suo viso è illuminato dalla luce dei telefonini. Urla slogan e recita poesie e chiede un governo democratico dopo trent’anni di oppressione. Bashir è stato deposto dall’esercito in aprile dopo le proteste e sbattuto in una cella perché trovato in possesso di ingenti somme in valuta locale e straniera, senza giustificazione legale.

Il coronavirus ha cristallizzato il nostro passato e annebbiato il nostro futuro. Ma lo scatto di Chiba, 49 anni, casa a Nairobi dal 2007, in pochi istanti ci ha portato a casa: il rumore dei cingolati, le urla del popolo, i colpi di fucile e tutto quel bagaglio di atroce normalità a cui ci eravamo (forse) colpevolmente disabituati. Il presidente Makola, che ha rivoluzionato l’immagine africana grazie al progetto Market Photo Workshop di Johannesburg, ha spiegato quanto sia essenziale avere un’immagine capace di ispirare le persone, «soprattutto nel periodo in cui viviamo, pieno di violenza e conflitti». «Chi si aspetterebbe oggi una insurrezione contro un dittatore», ha aggiunto Makola, «dove nessuno imbracci un’arma. Ma questo ragazzo non spara, non lancia sassi, sta recitando una poesia».

Le giornate, tutte uguali, scandite dal bollettino della protezione civile ci hanno intorpidito. L’ora di cyclette quotidiana non basta per ricordarci che il Nord Africa resta una polveriera e che la primavera araba da queste parti non è mai finita. Lo ha raccontato con un intensissimo bianco e nero il francese Romain Laurendeau nel suo reportage Kho, genesi di una rivolta (dove kho significa fratello) con cui ha conquistato il World Press Photo Story of the Year. Il fotoreporter di Tolosa ci ha svelato per immagini il ruolo che hanno avuto gli studenti algerini nell’ispirare i tumulti del 2019 contro il presidente Abdelaziz Bouteflika che si voleva candidare per un quinto mandato. Lo ha fatto stabilendo con loro una connessione migliore di qualsiasi altro wi-fi e un’intimità commovente. Nel suo lavoro ci sono sì le proteste ma anche attimi di ordinaria normalità. Ci sono ragazzi che amoreggiano sulla spiaggia, tifosi che vanno allo stadio o che vivono nei quartieri operai di Algeri.

Long Term Projects, 1° posto © Romain Laurendeau, France, Kho, the Genesis of a Revolt

Se il nostro nemico oggi è il Covid 19, per il talebano ritratto da Lorenzo Tugnoli per il Washington Post sono ancora gli occidentali. L’uomo immortalato dentro l’auto ha lo sguardo fisso nel vuoto, la faccia sporca e il volto segnato dalla stanchezza. Il quarantunenne di Lugo di Romagna lo ha ritratto nel suo The Longest War, con cui ha vinto il primo premio nella sezione Contemporary Issues, Storie e ha raccontato il conflitto in Afghanistan e le vicende del 2019, durante il quale Stati Uniti e talebani hanno cercato un accordo per la pace.

Contemporary Issues, Storie, 1° premio © Lorenzo Tugnoli, Italia, Contrasto, per il Washington Post, The Longest War

Ve lo ricordate il cambiamento climatico? Il virus ha ovattato anche quello. L’ungherese Esther Horvat per il New York Times ha vinto il premio nella categoria ambiente grazie a un orso polare e il suo cucciolo che gironzolano fra i macchinari degli scienziati della nave Polarstern, che fa parte di una spedizione scientifica che analizza gli effetti del cambiamento climatico dell’Artico.

Ambiente, 1° premio © Esther Horvath, Ungheria, New York Times, Polar Bear and her Cub

Le studentesse in divisa azzurra armate di mascherina ritratte dal danese Nicolas Asfouri, primo premio sezione General News, Storie, e i soldati cileni in strada fotografati da Fabio Bucciarelli per L’Espresso, secondo premio, ci ricordano invece che prima del coronavirus il batterio dei cinesi di Hong Kong era Pechino e quello dei cileni erano le gigantesche diseguaglianze sociali ed economiche.

General News, Storie, 2° posto © Fabio Bucciarelli, Italia, L’Espresso, A Rebellion Against Neoliberalism

Ci guarda invece dritta negli occhi la quindicenne rappresentata dal polacco Tomek Kaczor per Gazeta Wyborcza (primo premio categoria ritratti). Armena, figlia di rifugiati, se ne sta seduta su una sedia a rotelle accanto ai genitori. Ha gli occhi neri giganti, accentuati dal bianco e nero. Si è svegliata da poche ore da uno stato catatonico provocato dalla sindrome da rassegnazione che colpisce più frequentemente bambini, psicologicamente traumatizzati durante i processi migratori. Prima dell’emergenza eravamo bombardati proprio dalle news dei migranti, ma anche da quelle degli incendi in Australia, delle stragi compiute da teenager nelle scuole americane, degli attentati dei terroristi islamici e degli incidenti aerei. C’erano Greta e il Festival di Sanremo. Ci appassionava il campionato di calcio, la Formula Uno e l’Nba. Sembra passato un secolo.

Ritratti, 1° premio © Tomek Kaczor, Polonia, Duży Format, Gazeta Wyborcza, Awakening

Costretti in casa da settimane, abbiamo fame di spazi aperti e voglia di normalità. Per questo l’immagine che forse più di altre rappresenta il nostro desiderio di aria, cielo e infinito è quella del lituano Tadas Kazakevičius, nella serie Between Two Shores. Terzo premio nella sezione ritratti, mostra un uomo con la barba e con gli occhi chiusi. Vive nella penisola di Neringa, una striscia di sabbia di cento chilometri che divide il Mar Baltico dalla laguna dei Curi. Un luogo che per secoli ha attratto artisti, poeti e scrittori. Il reporter trentaseienne ha voluto comunicarci il senso di libertà e di spazio percepito e assorbito con tutti i sensi e non solo con lo sguardo. Per questo ha scelto di fotografare solo soggetti che, dopo aver deciso in che posizione mettersi, hanno chiuso gli occhi. Dovremmo provarci anche noi.

Ritratti, Storie, 3° premio © Tadas Kazakevičius, Lituania, Between Two Shores

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