Hype ↓
23:25 lunedì 20 ottobre 2025
La prima serie tv tratta dal Signore delle mosche l’ha realizzata Jack Thorne, il creatore di Adolescence Con la consulenza degli eredi di William Golding, per garantire la massima fedeltà della serie, prodotta da Bbc, ai temi e alle atmosfere del romanzo.
Il figlio del fondatore di Mango sarebbe sospettato nell’indagine sulla morte del padre Lo riportano i quotidiani El Pais e La Vanguardia: la polizia starebbe verificando delle supposte incongruenze nelle dichiarazioni di Jonathan Andic relative alle circostanze della morte del padre Isak.
È morta Sofia Corradi, la donna che ha inventato l’Erasmus “per colpa” della burocrazia italiana Aveva 91 anni e l'idea dell'Erasmus le venne quando in Italia non le furono riconosciuti degli esami universitari fatti negli Usa.
Persino la ministra della Cultura francese ha ammesso che i ladri che hanno rubato i gioielli dal Louvre sono stati «molto professionali» Una sconsolata Rachida Dati ha dovuto ammettere che i ladri hanno agito con calma, senza violenza e dimostrandosi molto esperti.
Gli addetti stampa della Casa Bianca hanno risposto «tua madre» a una normalissima domanda di un giornalista durante una conferenza stampa Una domanda sul vertice tra Trump, Putin e Zelensky a Budapest, che Karoline Leavitt e Stephen Cheung hanno preso molto male, a quanto pare.
Hollywood non riesce a capire se Una battaglia dopo l’altra è un flop o un successo Il film di Anderson sta incassando molto più del previsto, ma per il produttore Warner Bros. resterà una perdita di 100 milioni di dollari. 
La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli animali sono bagagli e quindi può capitare che le compagnie aeree li perdano Il risarcimento per il loro smarrimento è quindi lo stesso di quello per una valigia, dice una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
È uscito il memoir postumo di Virginia Giuffre, la principale accusatrice di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl e racconta tutti gli abusi e le violenze subiti da Giuffré per mano di Epstein e dei suoi "clienti".

Venezia, red carpet da parrocchia

La premiazione della Biennale di cinema: perché è più simile alla Corrida di Corrado che al Festival di Cannes

12 Settembre 2011

È un luogo comune. È una cosa che ci annoia e ci deprime. È una cosa che ci siamo detti un miliardo di volte. Ma è una cosa verissima e che va spesso ribadita. Noi italiani, in ambito entertainment, facciamo veramente pena. La nostra capacità di sapere prendere un evento mediatico e di trasformarlo in qualcosa di grande, di divertente, di godibile dal punto di vista del fruitore, è nulla. Zero totale. Se escludiamo l’unico ambito in cui ancora nel nostro paese si riesce ad applicare l’epica – ovvero il calcio – siamo un popolo, televisivamente parlando, infantile. Inutile che vi stia a portare esempi come il Superbowl, che poi ci esplode il cervello; pensate molto più banalmente alla differenza tra Britain’s e Italia’s Got Talent. Non c’è gara: se guardate quello della perfida Albione, dopo solo quattro minuti avete pianto, avete riso, vi siete arrabbiati, commossi, avete telefonato a vostra madre per dirle che avete appena compreso l’importanza della vita e che nonostante tutto le volete bene. Dopo quattro minuti di quello italiano, v’è venuto in mente la Corrida di Corrado, siete diventati rossi per l’imbarazzo e avete cambiato canale. Questo è solo l’esempio più facile che m’è venuto in mente: è una cosa che possiamo applicare al 90% di quello che vediamo in televisione. Ma è più vero del vero se applicato alla premiazione del Festival di Venezia.

È chiaro che la nostra idea televisiva di “premiazione legata al mondo del cinema” è una e una sola: la notte degli Oscar. E ok, torniamo al problema del Superbowl: poi ci esplode il cervello. Per onestà bisogna anche dire che il Festival di Venezia equivale a un + 10 di qualità e serietà cinematografica rispetto agli Oscar, dove i premiati sono giustamente i produttori e i blockbusteroni dal budget più alto del p.i.l. dello Zimbawe (e ci mancherebbe altro). Per cui in realtà, il paragone più adeguato dovrebbe essere: premiazione Festival di Venezia vs. Festival di Cannes. Ma il risultato non cambia: ci esplode il cervello. Il problema con il Festival di Venezia è la volontà di risultare in primo luogo come un festival di cinema importante dal punto di vista qualitativo. Ma insieme a questo aspetto, c’è la volontà di sfruttare il glamour dell’evento per far vedere a tutti che anche noi: feste, vip, red carpet, mondanità, eccetera. Conseguenzialmente, la parte più importante di questo Festival, la premiazione, sulla carta è un mega evento. E poi invece, tutti gli anni, ricorda una recita parrocchiale.

Quest’anno, a onor del vero, è stata la più bella e la meglio organizzata a cui abbia mai assistito. E se l’avete vista, se anche voi avete potuto ammirare l’incredibile disastro che è stata, potete immaginare com’erano le altre. Cominciamo con una nota positiva: il presentatore di Rai Movie posto fuori dalla sala Grande, sul red carpet. Parliamo di Livio Beshir: figo, nero, giovane, spigliato e preparato. La persona giusta al momento giusto. Il problema però è già evidente: Beshir è una persona con in mente una chiara idea di spettacolo. Una persona chiamata a svolgere quel lavoro con negli occhi la serata degli Oscar. Ne avrebbe anche le possibilità, ma non è aiutato da tutto quello che lo circonda. Primo problema: sul red carpet non hai Michael Fassbender, ma Robbie Ryan, direttore della fotografia premiato con l’Osella per il miglior contributo tecnico per il suo lavoro su Wuthering Heights. Secondo problema: nessuno sa chi sia Robbie Ryan. Grave? Non particolarmente se siete vi occupate di calcoli statistici o di assicurazioni per autovetture. Un po’ di più se il vostro lavoro è raccontare la premiazione del Festival di Venezia. Il fatto di non conoscere Ryan ha due conseguenze: il regista inquadra una persona che attraversa il red carpet e viene insistentemente chiamata dai fotografi. La voce del presentatore non dice chi stiamo guardando. Ora, io di lavoro non faccio la televisione, ma penso che questo sia un errore. Come penso sia un errore avere i microfoni d’ambiente più alti di quelli delle persone che parlano o vengono intervistate. Come penso sia un errore avere delle inquadrature nonsense di pali della luce. O mostrare un red carpet su cui sembra passare chiunque: poliziotti, fotografi, addetti stampa, gente a vanvera. Da una parte un’idea di spettacolo, dall’altra una resa che è la spiegazione ufficiale del modo di dire “vorrei ma non posso!”.

Ma i veri problemi cominciano all’interno della Sala Grande, dove avviene la vera e propria premiazione. Qui la regia si fa a tratti inguardabile. La maggior parte delle volte si inquadra la cosa sbagliata al momento sbagliato: non c’è nessun tipo di costruzione della suspense, chi sale sul palco non viene mai seguito dalle camere, il pubblico viene mostrato solo quando si ha la certezza che siano tutti fermi immobili, possibilmente sbadiglianti e vecchissimi. Non c’è assolutamente nessun tipo di ritmo, mancano i nomi di coloro che assegnano o ritirano il premio in sovraimpressione. Oddio, adesso che ci penso, per la prima volta nella storia di Venezia, ogni volta che qualcuno saliva sul palco, sullo schermo della Sala Grande c’era scritto chi aveva vinto cosa e per quale film. Ma la regia inquadrava il tutto, giusto perché era lì: non c’era nessuna premeditazione o volontà. C’è una traduttrice in un angolo del palco che non viene mai inquadrata e che, poverina, non sa quando tradurre. E poi c’è il momento del sommo imbarazzo. Funziona così: dopo che qualcuno ha ritirato il premio, dopo che ha fatto il suo discorso, rimane sul palco per almeno un minuto a farsi fotografare. Questo blocca completamente lo spettacolo: mentre – esempio a caso – Deane Yep si fa immortalare con la Coppa Volpi in mano da un esercito di esagitati che urlano “Ah Deaneeeeeeeeeeee!”, la regia allarga e c’è una totale della Sala Grande. Risultato: non viene inquadrato nulla d’interessante. L’addetto all’audio s’è dimenticato di escludere i microfoni della Puccini e di Müller. Risultato: in sottofondo si sente bofonchiare qualcosa di indefinito. Non c’è un commentatore che spieghi quello che sta succedendo, commenti o anticipi quale sarà il prossimo premio. Risultato: c’è un (simil) imbarazzato silenzio e una totale inattività, nel bel mezzo di quello che dovrebbe essere uno spettacolo. Ripeto: non ho biennalizzato l’esame Teorie e Tecniche per Trasformare un Evento in Uno Spettacolo Televisivo Decente, ma qui siamo veramente vicini al ridicolo. Soprattutto per il fatto che, lo ribadisco, l’idea sembrerebbe quella di mostrare lagrandeur del Festival di Venezia. Peccato: raramente come in quest’edizione sono stati premiati dei film belli e importanti. Meritavano tutti un trattamento differente. In primis il Festival e il suo bravissimo direttore artistico.


Leggi anche ↓

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.

Odessa ex città aperta

Reportage dalla "capitale del sud" dell'Ucraina, città in cui la guerra ha imposto un dibattito difficile e conflittuale sul passato del Paese, tra il desiderio di liberarsi dai segni dell'imperialismo russo e la paura di abbandonare così una parte della propria storia.