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12:44 mercoledì 5 novembre 2025
Nel suo discorso dopo la vittoria alle elezioni, il neosindaco di New York Zohran Mamdani ha sfidato Donald Trump Nelle prime dichiarazioni pubbliche e social, il neosindaco ha anche ribadito la promessa di ridisegnare NY a misura di migranti e lavoratori.
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms, la prima serie tv di Wong Kar-Wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.
È morta Diane Ladd, attrice da Oscar, mamma di Laura Dern e unica, vera protagonista femminile di Martin Scorsese Candidata tre volte all'Oscar, una volta per Alice non abita più qui, le altre due volte per film in cui recitava accanto alla figlia.
L’attore e regista Jesse Eisenberg ha detto che donerà un rene a un estraneo perché gli va e perché è giusto farlo Non c'è neanche da pensarci, ha detto, spiegando che a dicembre si sottoporrà all'intervento.
A Parigi c’è una mensa per aiutare gli studenti che hanno pochi soldi e pochi amici Si chiama La Cop1ne e propone esclusivamente cucina vegetariana, un menù costa 3 euro.
Il Premier australiano è stato accusato di antisemitismo per aver indossato una maglietta dei Joy Division Una deputata conservatrice l’ha attaccato sostenendo che l’iconica t-shirt con la copertina di Unknown Pleasures sia un simbolo antisemita.
Lo scorso ottobre è stato uno dei mesi con più flop al botteghino nella storia recente del cinema In particolare negli Stati Uniti: era dal 1997 che non si registrava un simile disastro.

Che cosa sono gli Uber Files pubblicati dal Guardian

11 Luglio 2022

Un’inchiesta del Guardian ha pubblicato oltre 124mila documenti riservati che riguardano varie nefandezze compiute da Uber. Tra queste, limitandosi solo alle più gravi, ci sarebbero aver mentito alle forze dell’ordine, reiterate violenze sui lavoratori e indebite pressioni sui governi nazionali. «La violenza garantisce il successo», sarebbe stato il motto dell’ex Ceo di Uber. L’azienda ha affermato che il suo «comportamento passato non era in linea con i valori attuali», rivendicando di essere oggi un’impresa «diversa». Gli Uber Files includono 83 mila scambi – tra mail e messaggi Whatasapp e iMessages – datati dal 2013 al 2017 che rivelano, per la prima volta, come Uber abbia investito 90 milioni di dollari all’anno per reclutare politici amichevoli e farsi aiutare da loro nella sua campagna per sconvolgere l’industria dei taxi in Europa.

Tra i leader citati, Scholz, l’attuale Cancelliere tedesco, sarebbe l’unico ad aver respinto le pressioni dell’azienda. Quando era sindaco di Amburgo, Scholz riuscì a resistere all’insistente lobbying dell’impresa, affermando in più occasioni che lui avrebbe permesso l’ingresso di Uber nella sua città a patto che quest’ultima avesse garantito agli autisti un salario minimo. Per tutta risposta, i dirigenti di Uber lo definirono, nel loro circolino privato, «un pagliaccio». La Commissione Europea sta pensando di avviare un’indagine sulla sua ex vicepresidente Neelie Kroes, dopo che dai file trapelati si è scoperto che aveva aiutato Uber a fare pressioni sul Primo ministro olandese, Mark Rutte, e una serie di altri politici olandesi. Dagli scambi intercorsi in quel periodo di tempo tra i dirigenti di Uber si capisce come questi ultimi fossero perfettamente consapevoli che le loro azioni fossero ampiamente al di là del confine tracciato dalla legge. Spesso tra di loro scherzavano definendosi «pirati» e descrivendo le loro attività imprenditoriali come «semplicemente illegali, cazzo». 

Ciò che colpisce degli Uber Files è l’accesso che gli executive dell’azienda riuscivano ad avere presso i politici più importanti e potenti del mondo. A quanto si legge nei documenti, quando era Ministro dell’economia e delle finanze, Emmanuel Macron incontrava spesso i vertici di Uber e fece di tutto per favorire l’azienda attraverso le iniziative legislative del governo. Negli anni in cui era il vice Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden si è definito spesso un sostenitore di Uber e del suo modello di gig economy. Travis Kalanick, all’epoca Ceo di Uber, incontrava spesso il Vp americano e mostrava nei suoi confronti un atteggiamento sprezzante: se Biden arrivava in ritardo a un appuntamento, Kalanick ordinava ai suoi collaboratori di fargli sapere che ogni minuto perso era perso per sempre, lui non avrebbe avuto altro tempo da dedicargli. Da quello che si legge nei file, Biden, prima di partecipare al Forum di Davos, cambiò una parte del suo discorso per inserire riferimenti che, anche se non espliciti, rimandavano evidentemente a Uber, definita un’azienda che lasciava ai lavoratori «la libertà di lavorare quante ore vogliono e di gestire la loro vita come preferiscono».

La parte più inquietante degli Uber Files, però, è quella che racconta gli estremi ai quali l’azienda era disposta ad arrivare pur di ottenere una legislazione a lei favorevole e l’ingresso in nuovi mercati. Oltre a “sedurre” politici, accademici e giornalisti in modo tale che producessero dimostrazioni inattaccabili della desiderabilità del suo modello economico, Uber aveva affinato anche un metodo per rispondere alle proteste dei tassisti che hanno sempre accusato la app di concorrenza sleale. Secondo Kalanick, bisognava “invitare” gli autisti di Uber a continuare a guidare in ogni caso, anche nel mezzo di situazioni (cortei, proteste, manifestazioni) che potevano mettere a repentaglio la loro incolumità. Se anche si fossero verificati degli incidenti, l’ex Ceo si mostrava piuttosto tranquillo, persino allettato dall’idea dello scontro frontale: «Ne vale la pena», scriveva. «È una parte normale del lavoro di Uber. Abbracciate il caos. Significa che state facendo una cosa importante».

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