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Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

Tutti chiedono scusa

Da Di Maio per il suo giustizialismo ai francesi per il ruolo avuto in Ruanda, passando per Angelini per il lavoro in nero, non passa giorno che qualcuno si scusi per qualcosa.

04 Giugno 2021

Di sicuro è colpa dell’abbondanza: prendi le scuse di Di Maio, metti le scuse della Francia per il suo ruolo nella guerra in Ruanda e della Germania per il genocidio del popolo Herero nella Seconda guerra mondiale, consideriamo che siamo venuti a conoscenza anche delle scuse di Brusca, e via social il chitarrista Angelini si è scusato per dei modi bruschi avuti sempre via social con una sua, diciamo così, dipendente. Mettiamo che pure io, chissà forse suggestionato o influenzato dal suddetto elenco, a un certo punto mi sono accorto di aver chiesto scusa una decina di volte nell’arco di una giornata.

Insomma, di sicuro colpa dell’abbondanza, ma è difficile in prima battuta capire se stiamo assistendo a una esibizione plateale di scuse, così, a scopo puramente narcisistico impositivo, nonché liberatorio (cazzo devi accettare le mie scuse: un po’ come quando in Pesce di nome Wanda, Otto appende Archie alla finestra, affinché possa fermarsi e ascoltare le sue scuse), oppure è iniziato un serio processo che cambierà alcune narrazioni di potere, dunque il clima di violenza scemerà sempre di più e vivremo in pace.

È difficile per due motivi, il mantello cattolico ci protegge da sempre. Prevede la confessione (che poi sono le scuse a Dio), la successiva richiesta di perdono, nonché atti di riparazioni (in genere preghiere). Un protocollo a cui siamo abituati da millenni e che agisce in default, dunque perdiamo la capacità di analisi dei singoli casi. Il secondo motivo è che il fenomeno in effetti sta nascendo ora e vista la proliferazione e il susseguirsi rapido delle scuse, spesso via social, ci rendiamo conto che nella fretta mancano dei punti di orientamento, utili a capire quando le stesse scuse portano a risultati apprezzabili e seri tra i contendenti, quando invece sono esibizioni momentanee che non tolgono o aggiungono niente alla situazione da sanare. O infine quando le scuse, volente o nolente, diventano uno strumento per cedere potere senza cederlo affatto, insomma mantenere lo status quo, sia di quello che offende sia dell’offeso (con più problemi per l’offeso).

Quelli di noi che sono propositivi ci spingono a sfruttare il fenomeno in atto e volgerlo al meglio. Dunque – ci dicono- è necessario fondare una “episteme” delle scuse, così da separare il grano dal loglio (che poi, tra l’altro, è un’infestante non più pericolosa come un tempo). Soprattutto giungere a un risultato soddisfacente. Grazie alle scuse, sostenute in primo luogo da una presa di responsabilità (e non da chiacchiere e belle parole) nonché da una richiesta di perdono (per responsabilizzare e fa partecipare anche l’offeso: magari non se la sente di perdonare), arrivare sia a prevenire il ripetersi della situazione che ha causato la contesa sia a facilitare una riconciliazione sostenibile. Quindi, in ultima analisi le scuse devono riuscire a trasformare lo status quo o comunque annullare, abbassare di intensità quelle condizioni negative, tossiche e ostili che l’hanno fondato e giustificato (lo status quo).

Non è facile: le scuse e il perdono sono suscettibili di abusi. Le scuse possono essere egoistiche, insincere, controproducenti e inadeguate, pure violente. Si dice: chiedi scusa e sarai perdonato. Tuttavia, questa è una prospettiva di riconciliazione debole e semplicistica, dove si tende a manipolare la vittima. Nel senso che esibire platealmente le scuse e chiedere alla vittima di perdonare l’offesa, può produrre un’accelerazione del processo non voluta: ritieni che la  vittima debba risponderti con la stessa moneta, un perdono esibito. Ciò porta a trascurare i cambiamenti profondi e fondamentali che avvengono dopo un’offesa e che spesso, essendo traumatici, non sono facili da sostenere e definire.

E poi le richieste di perdono possono sorvolare sulla necessità della giustizia. Le scuse devono insomma essere elaborate con cura e con la stessa cura portate avanti: perché non riguardano interamente il passato, ma anche il futuro. Messa in questo modo si capisce che le scuse non sono un evento, mediatico o meno, ma un processo durante il quale ci si chiede, a mo’ di problem solving, cosa è andato storto e quali sono state le condizioni che hanno prodotto il danno a terzi. Prima il processo, poi le scuse, infine l’impegno per la riforma dello status quo.

Poi lo sappiamo, la vita è quasi tutta basata sul senso di colpa. Come lo gestiamo qualifica chi siamo e la qualità della nostra vita. Possiamo condannarci in eterno, organizzare delle sedute di mea culpa ben recitate o fingere che il problema non ci interessi. Ma non c’è dubbio: il senso di colpa va gestito e reso produttivo. Nel libro La separazione del maschio di Francesco Piccolo, il protagonista, quando accompagna la figlia a scuola, si dimentica spesso di darle la merenda. La piccola si lamenta ma lui lotta per non farsi sopraffare dal senso di colpa, ha sbagliato ma non vuole rispondere allo sbaglio esibendo la colpa e offrendole più bene di quanto sia necessario: insomma, non le compra due merendine per riparare. Le scuse sono anche una questione di misura.

Questa scena potrebbe rappresentare il senso di colpa alla greca, per così dire. I Greci furono ossessionati – raccontano gli studiosi – dalla distruzione di Troia. Non per questo smisero di far guerre, anzi, svilupparono o comunque raccontarono benissimo il senso della pietas, un’attenzione ai desideri e alle sofferenze altrui. Se riusciremo a sviluppare questo senso di colpa alla greca, forse, strada facendo impareremo anche a essere gentili, con noi stessi e con gli altri: mica è poco.

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