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La migliore biografia di Tina Turner è il documentario Hbo Tina

«Come si fa a ritirarsi con discrezione, a sparire e basta?», chiedeva e si chiedeva Tina Turner in Tina, il documentario Hbo del 2021 che tanti, dopo la notizia della sua morte, stanno invitando a vedere descrivendolo come la sua migliore biografia. “Anche se conoscete la storia di Tina Turner, dovreste comunque guardare Tina“, è il titolo di una bellissima recensione pubblicata da Vulture nel marzo del 2021 e riproposta in queste ore come ultimo omaggio alla Queen of Rock and Roll. Come scrive Jen Chaney nel suo pezzo, la storia di Turner è stata raccontata tante volte: in una famosissima intervista a People del 1981, in cui raccontava le violenze subite nei sedici anni di matrimonio con Ike Turner; nell’autobiografia I, Tina, e poi nel film che da quel libro fu tratto, What’s Love Got to Do With It (a interpretate Turner in quel film era Angela Bassett, una delle prime a omaggiarla con una dichiarazione a Variety: «Come si può dire addio a una donna che è diventata la padrona del suo dolore e dei suoi traumi e li ha usati per cambiare il mondo?»). Ma il documentario Hbo resta il miglior racconto della vita e della carriera di Turner: perché è lei a raccontare se stessa, «guardando dritta nelle cinepresa».

Quasi metà del film racconta il matrimonio con Ike Turner, dal quale Turner scappò all’inizio degli anni Ottanta. Scappò in senso letterale: lasciò il marito in una stanza di un albergo di Dallas e si mise a correre in mezzo al traffico pur di allontanarsi da lui. I registi Dan Lindsay and T.J. Martin si soffermano anche sulle conseguenze che quegli anni di violenza ebbero sul corpo e sulla mente di Turner: i lividi, le insicurezze, la dipendenza dai sonniferi. L’altra metà del documentario, però, mostra tutto quello che Tina Turner ha rappresentato da quel momento in poi: «quando alla fine degli anni Ottanta saliva sul palco e cantava “What’s Love Got to Do With It” davanti a folle che sembravano infinite, era un’immagine di gioia pura, aveva due gambe così potenti che sembravano in grado di fermare il traffico. Anzi, di fermare il tempo, se solo lei avesse voluto», si dice nel film. La cosa che rende Tina diverso da tutti gli altri racconti di Turner è che in esso coesistono le due parti fondamentali della sua vita: la tragedia e il trionfo. Nel film, Turner spiega di aver sempre sofferto perché convinta che non ci fosse nessuno al mondo che la amasse. Era stata abbandonata dai suoi genitori, torturata dal marito, rimasta sola a chiedersi: «Cos’ho che non va? Ho vissuto tantissimi dolori, cazzo. Li ho analizzati. Mi sono guardata allo specchio, struccata, e mi sono chiesta “Possibile che non ci sia nessuno che trovi della bellezza in questa donna?”».

La risposta a questa domanda, come spesso capita nella vicenda umana, è arrivata alla fine. In queste ore, ovviamente, sono tantissime le persone che stanno ricordando Tina Turner. Angel Bassett, come detto, che interpretando lei ottenne la sua prima nomination agli Oscar. Beyoncé, che l’ha definita «la sua regina». Oprah Winfrey, che su Instagram ha raccontato di come la sua vita sia stata definita dal suo rapporto con Turner: prima fan, poi groupie, infine amica. George Miller ha raccontato al Guardian come è stato lavorare con Turner sul set di Mad Max oltre la sfera del tuono. E poi Mick Jagger, Diana Ross, Viola Davis, Magic Johnson (c’è un pezzo di Variety che li raccoglie tutti). Anche Michelle e Barack Obama, che in un comunicato stampa l’hanno definita «Potente. Inarrestabile. Sempre e comunque, senza vergogna, se stessa. Ha raccontato e cantato la sua verità nella gioia e nel dolore, nel trionfo e nella tragedia».