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Ossessione Timothée

Perché tutti amiamo l'attore di Call Me by Your Name e perché, molto probabilmente, lo ameremo sempre di più.

09 Agosto 2018

Questo profilo fa parte della serie estiva dedicata a cinque personaggi di cui si è parlato nel 2018. Tutti i pezzi della serie saranno archiviati a questo link.

Rispetto a Leonardo DiCaprio, il mio primo amore, i miei fidanzati in carne e ossa mi sono sempre sembrati un po’ deludenti. Moltiplicato decine di volte, in forma di figurina, Leo DiCaprio tappezzava i muri della mia stanza di pre-adolescente. Quanti pomeriggi sdraiata a fissare le sue diverse espressioni, capigliature e interpretazioni. Non solo era di una bellezza stupefacente: era androgino e ribelle, apparentemente arrogante ma, in fondo, amorevole e premuroso, ingenuo e coraggioso, ironico e intenso, estremamente sexy senza mai essere macho. Finalmente, a un certo punto, verso i 17 anni, trovai un fidanzato che riassumeva in sé alcune delle sue qualità: oltre a essere estremamente bello, era povero e artistoide come il protagonista di Titanic, falso e perverso come il re di La Maschera di Ferro, presuntuoso come il Rimbaud di Poeti dall’Inferno, impulsivo come il Romeo di Romeo + Giulietta.

Dopo un po’, purtroppo, la nostra relazione finì per motivi più grandi di noi (una specie di Titanic). Intanto, però, gli anni erano passati, DiCaprio era cresciuto e i suoi ruoli con lui: si erano fatti più pesanti, proprio come l’attore che li interpretava. Avevo perso il mio eroe, e con lui un metro di paragone. Ma dopo un angosciante, lunghissimo periodo di vuoto, in cui ho osservato i belli del cinema invecchiare e farsi crescere la barba nel tentativo di darsi un po’ di carattere, il mondo dello spettacolo ha finalmente sfornato un degno, imberbe erede: Timothée Chalamet. Per definirlo, posso benissimo copiare e incollare i medesimi aggettivi usati per descrivere il Leo degli esordi: androgino e ribelle, arrogante e dolcissimo, ingenuo e coraggioso, ironico e intenso, estremamente sexy senza mai essere macho. L’ossessione Chalamet è esplosa grazie alla sua splendida interpretazione di Elio in Call Me by Your Name di Luca Guadagnino ma anche per il piccolo, ottimo ruolo (il bel tenebroso, intellettualoide, figlio di papà) in un altro dei film dell’anno, Lady Bird di Greta Gerwig. Proprio come DiCaprio mi deluse con The Beach, anche lui ha recentemente recitato in un film brutto e stupido, Hot Summer Nights. La sua prossima impresa sarà interpretare la parte del giovane tossicodipendente in Beautiful Boy, un film di Felix Van Groeningen basato su due libri: il primo in cui David Shef racconta la vera storia del suo tentativo di salvare il figlio dalla droga e il secondo scritto dal figlio stesso, Nic Sheff, dipendente dalle metanfetamine.

Timothée Chalamet in Lady Bird (2017) diretto da Greta Gerwig

Se esistessero delle figurine di Timothée Chalamet, le userei per tappezzare i muri del mio appartamento. Ma non è più tempo di figurine, e devo accontentarmi di leggere le sue interviste. Ho scoperto che ha ottimi gusti musicali. Durante lo shooting per la cover story di ShortList ha scelto personalmente la colonna sonora: Young Thug, Lil Pump, Kid Cudi. Pare essersi particolarmente emozionato sulle note di “Nike” e “Pyramids” di Frank Ocean (il suo preferito). Confessa che una volta si è fatto 12 ore di treno solo per vedere Kid Cudi a Montreal, visto che se l’era perso a New York. Quando riceve la telefonata di Frank Ocean per l’intervista pubblicata su V Man, in effetti, appare molto più emozionato dell’intervistatore. Durante la loro bella chiacchierata, Thimothée parla dei suoi anni di college, durante i quali, con l’efficace pseudonimo di Timmy T ha sfornato “Statistics”, un capolavoro per il quale il rapper lo sfotte apertamente.

Suo padre, francese, è un giornalista che lavora per le Nazioni Unite, sua madre, americana, un’ex ballerina. Suo zio è il regista Rodman Flender (ha diretto diverse puntate di O.C., Dawson’s Creek Gilmore Girls). Bilingue da quando è nato, Chalamet ha mollato la Columbia University per fare l’attore a tempo pieno. I suoi registi prediletti sono Christopher Nolan e Paul Thomas Anderson, il suo attore di riferimento è Joaquin Phoenix. Il suo film preferito è James White di Josh Mond. Interrogato sul genere “coming-of age” (di cui fanno parte sia Call Me by Your Name che Lady Bird) nel corso di un’intervista gomito a gomito con Saoirse Ronan (maledetta), cita il libro The Perks of Being a Wallflower. In un’altra dice che sta leggendo soprattutto scrittori russi e commenta Delitto e Castigo definendolo “un pugno nello stomaco”. Ma è con Chris Mandle, sempre su Shortlist, che leva la maschera, e ammette di leggere pochissimo, soprattutto nei periodi in cui lavora. «Guardo soprattutto documentari e cartoni animati. Temo che la profondità delle narrazioni contenute nella maggior parte dei libri possa scoraggiarmi o distrarmi». «È la migliore scusa per non leggere che abbia mai sentito», commenta Mandle.

Proprio come ai tempi di Leo, non sono l’unica a provare questo sentimento nei confronti di Timothée. Ci sono persone che hanno perfino sentito il bisogno di dedicargli profili Instagram speciali. I più riusciti sono principalmente due e, stranamente, hanno entrambi a che fare con l’arte. In effetti i lineamenti di Timothée si adeguano perfettamente alla pittura (suggerirei di scritturarlo per un adattamento finalmente decente di Il ritratto di Dorian Gray). C’è @callmebymonet, con i quadri del pittore impressionista a fare da sfondo alle scene del film, e poi c’è @chalametinart, dove Timothée diventa addirittura parte del quadro. Ma la venerazione collettiva per il ventiduenne ha raggiunto il suo apice, soprattutto tra la gente di Hollywood, quando ha fatto sapere di aver rinunciato al compenso per A Rainy Day in New York, l’ultimo film del povero Woody Allen, e averlo invece donato a tre associazioni di beneficenza: Time’s Up, il centro LGBT di New York e il RAINN (Rape, Abuse & Incest National Network).

Per quanto mi riguarda continuo a preferirlo quando parla di cinema, ad esempio rispondendo alle domande di Xavier Dolan, in un’altra intervista pubblicata da V Man. Il regista gli dice: «Le persone continuano a definire Call Me by Your Name un film maturo e mi chiedo se “maturo” sia solo una parola che usiamo per definire una storia che parla così apertamente di un cuore spezzato, e lo celebra anche». E lui risponde: «Sono d’accordo. Il dolore, dopotutto, è quello di cui parla Michael [Stuhlbarg] (suo padre nel film, nda) nel suo monologo finale. Durante quella scena, sentivo una piccola voce nella mia testa che diceva: cazzo, ascolta per bene queste parole. Quando stai soffrendo, l’unica cosa che puoi controllare o dalla quale ti puoi proteggere è il senso di vergogna per quello che provi. Ma non c’è un modo giusto di soffrire. Il film è anche su questo: sul modo in cui si vive insieme alla sofferenza». Beautiful Boy dovrebbe arrivare nelle sale statunitensi il 12 ottobre. Anche questo, avvisa Timothée, sarà un film doloroso: sono sicura che il nostro amore per lui ne uscirà rafforzato.

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