Cultura | Fotografia

Wolfgang Tillmans, meraviglia e tenerezza

Una grande retrospettiva al MoMA di New York racconta quarant'anni di arte del fotografo tedesco, che con la sua opera ha esplorato mondi fatti di oggetti, stelle e persone.

di Davide Coppo

"Still Life" (2001)

Non sono mai riuscito a capire davvero cosa mi avesse colpito e mi colpisca ancora oggi così tanto nella fotografia di un tucano. È uno scatto del 2010, l’ha fatto Wolfgang Tillmans, e probabilmente è stato il motivo – il grilletto – che mi ha fatto immergere, negli anni successivi, così in profondità e con così tanta meraviglia nell’opera-mondo del fotografo tedesco.

Sono ormai 40 anni che Tillmans fotografa cose, persone e cieli, e trovare un minimo comune denominatore che possa racchiudere una produzione così vasta e variegata sarebbe una riduzione drastica. Chi lo definisce ancora il fotografo delle notti berlinesi, di una certa scena techno e gay degli anni Novanta non fa che descrivere una parte ridotta e ampiamente superata della sua opera artistica, e dopotutto lui stesso ha sempre giudicato fuori strada quell’investitura che rimane più che altro, invece, una limitazione. Dopo quel periodo invece la sua poetica cambia radicalmente, e si rivolge all’astratto: siamo alla fine degli anni Novanta, all’inizio dei Duemila, e le immagini che Tillmans produce nascono come reazione all’eccesso di produzione: quindi senza l’ausilio di macchine fotografiche, ma stampanti e fotocopiatrici guidate ad hoc dall’artista.

“Tucano” (2010)

Passa un decennio, Tillmans sembra infine deciso a tornare alle immagini prodotte da lui ma questa volta, e per la prima volta, con una macchina digitale. L’oggetto della ricerca, adesso, è il cambiamento profondo che ha attraversato quei dieci anni: come la tecnologia che Tillmans stesso si trova a maneggiare si è infilata in ogni ambito, in ogni tasca – letteralmente – dei nostri vestiti. Ma anche questo sguardo sulla globalizzazione e sul capitalismo e sull’automatizzazione è peculiare, e unico. Proverei ad azzardare una parola: tenero.

Tillmans ha una visione molto intima e tenera del reale, anche nelle più erotiche delle sue immagini, perfino in quelle iper-tecnologiche. Uno dei suoi servizi più famosi è anche uno dei primi, pubblicato su i-D nel 1992. Si chiamava “Like brother like sister”, e mostrava alla perfezione questo concetto. Nelle foto vediamo un ragazzo e una ragazza, amici d’infanzia di Tillmans, mezzi nudi e mezzi vestiti in un bosco. Stanno appollaiati su un albero, seduti su tappeti di foglie secche, o in atteggiamenti intimi di un’intimità pura, giocosa: c’è per esempio lei che tiene il pene di lui in mano come se stesse tenendo invece una mano nella sua mano, c’è lui che scruta tra le gambe di lei con un’innocenza direi primordiale.

Allo stesso modo, è intimo anche il rapporto di Tillmans con gli oggetti che inizia a fotografare specialmente dopo il 1998. C’entra qui una sua visione spirituale del mondo, che ha espresso in diverse interviste e scritti. «Le fotografie sono oggetti con una carica spirituale», ha detto una volta. In un’intervista che ho trovato come testo di accompagnamento di Truth Study Center ha detto: «Tutto è materia in costante rinnovamento, che si trasforma da uno stato aggregato a un altro». Si può dire che tutta la sua ricerca sia un’indagine naturale del mondo, e gli oggetti sono parte di questa indagine né più né meno di una pianta o di un amico.

“Lutz & Alex sitting in the trees” (1992)

Un esempio di questo approccio olistico e spirituale è la sua ricerca sui fari delle automobili: sono stati, per anni, un’ossessione di Tillmans, che ne ha fotografati decine, forse centinaia. Messi in serie, sembrano quasi artefatti di misteriose civiltà aliene. Lui ha spiegato che era affascinato da come quei pezzetti di plastica trasparente, che dovrebbero servire soltanto a illuminare la strada, si siano trasformati negli anni in oggetti sempre più complessi e soprattutto aggressivi e “violenti”. Dal punto di vista funzionale, un’evoluzione completamente inutile che ha invece seguito, dice lui, un aumentare generale dell’aggressività del mondo. Tutto legato, ancora una volta.

E poi le foto dei Concorde, gli aerei turistici supersonici che dal 1976 al 2003 portarono il futuro nel presente (a costi economici e ambientali folli), che Tillmans raccoglierà in un libro fatto di 62 fotografie, scattate dal 1997 in avanti: «Vederlo volare e decollare è uno spettacolo strano, un anacronismo super moderno e un’immagine del desiderio di battere il tempo e lo spazio attraverso la tecnologia», dirà. Il Concorde sparirà perché insostenibile, dopo un unico e disastroso incidente, chiudendo definitivamente l’ultimo riverbero dell’era spaziale.

La “parte tecnologica” di Tillmans procede per ricerche tematiche: quella della logistica alimentare, in cui i processi di impacchettamento e uniformazione della frutta e verdura destinate alla grande distribuzione vengono mostrati in fieri, come un dietro le quinte che ci dà la sensazione di vedere un momento di “nudità” del capitalismo globalizzato; quella dello sportswear, spesso fotografato in close-up che mettono in risalto i materiali delle trame; quello delle città di notte illuminate dalle pubblicità, dalla luce fredde delle lampadine a led, dai lampioni a risparmio energetico. C’è sempre un certo silenzio, una vena meditativa, in ognuna di queste ricerche. L’approccio spirituale di Tillmans, infine, sfocia nell’interesse per lo spazio: l’immagine di un cielo stellato, una suggestione galattica, è la copertina di Neue Welt. Le immagini diurne o notturne del firmamento nascono dalla sua prima ossessione, l’astronomia. «Penso che sia stata la mia iniziazione al “vedere”», ha detto in un’intervista di anni fa. C’è un approccio spirituale, in queste immagini, in cui non si fatica a trovare una visione politica. Alla fine è una fotografia dall’alto anche quella che ha utilizzato in uno dei poster della sua campagna anti-Brexit, nel 2016. Ha scritto sulla foto: «No man is an island», come il libro di John Donne del XV secolo. Forse è questo quello che mi cattura guardando negli occhi il tucano di quella foto, che alla fine ho stampato e appiccicato con lo scotch sul muro davanti alla mia scrivania: è l’immagine di un pezzo di mondo che riesce a parlare, in un modo tutto suo, della meraviglia più vasta a cui appartiene. A cui appartengo, apparteniamo.

“Venus transit, clouds” (2004)

Dal 12 settembre, al MoMa di New York, ci sarà una retrospettiva su questi primi 40 anni di attività e ricerca di Tillmans. Saranno esposte più di 350 opere tra fotografie, video e installazioni, e anche questa mostra sarà allestita nel solito peculiare modo di ogni mostra di Tillmans: con fotografie appese alle pareti con lo scotch o con clip nere, in dimensioni varie, senza cornici, disposto secondo un criterio scelto da Tillmans stesso e site-specific. Sulle porte, nascoste in un angolo, circondate dal vuoto o raggruppate insieme in piccole concentrazioni.