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Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.
C’è un’associazione simile agli Alcolisti Anonimi che aiuta le persone dipendenti dall’AI Si chiama Spiral Support Group, è formato da ex "tossicodipendenti" dall'AI e aiuta chi cerca di interrompere il rapporto morboso con i chatbot.
I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
Il primo grande tour annunciato per il 2026 è quello di Peppa Pig, al quale parteciperà pure Baby Shark La maialina animata sarà in tour in Nord America con uno show musicale che celebra anche i dieci anni di Baby Shark.
Bolsonaro è stato ricoverato d’urgenza per un singhiozzo che andava avanti ininterrottamente da 9 mesi Il singhiozzo cronico dell'ex Presidente si è aggravato durante la detenzione in carcere, rendendo necessario il ricovero e anche la chirurgia.
Il thread Reddit in memoria di Brigitte Bardot è stato chiuso subito perché quasi tutti i commenti erano pesanti insulti all’attrice Accusata di essere una lepenista, islamofoba, razzista, omofoba e classista, tanto che i moderatori hanno deciso di bloccare i commenti.
Migliaia di spie nordcoreane hanno tentato di farsi assumere da Amazon usando falsi profili LinkedIn 1800 candidature molto sospette che Amazon ha respinto. L'obiettivo era farsi pagare da un'azienda americana per finanziare il regime nordcoreano.

C’è un problema di tasse universitarie in Italia?

L'ostacolo, piuttosto, sono i costi nascosti dell'istruzione.

09 Gennaio 2018

E se davvero abolissimo le tasse universitarie? All’indomani della proposta di Pietro Grasso, prontamente definita «trumpiana» da Carlo Calenda, verrebbe da chiedersi che cosa succederebbe, nel concreto. Al di là delle boutade elettorali e delle tirate ideologiche, insomma, e tralasciando per un secondo il discorso sulla fattibilità, abolire le tasse universitarie aiuterebbe il Paese? E chi, nello specifico, aiuterebbe?

Una cosa che si è già ampiamente detta è che di certo non aiuterebbe i più poveri. Visto che gli studenti più poveri, l’università, già non la pagano: il cosiddetto “Student Act”, varato dal governo Gentiloni alla fine del 2016, ha infatti eliminato le tasse per gli universitari che provengono da famiglie con un reddito inferiore ai 13 mila euro annui (calcolato in base all’ISEEU, un indice che tiene conto anche del pagamento di affitti, dei conti in banca e di cose di questo genere). Inoltre, come ricordava per esempio il Post, varie università hanno esteso la “no tax area” agli studenti che provengono da famiglie con un reddito inferiore ai 15 mila euro, sempre in base all’ISEEU. È stata, del resto, una delle critiche più diffuse alla proposta di Grasso: è un’idea apparentemente egalitaria, ma in realtà non gioca a favore dei più poveri (loro, appunto, già godono di un’esenzione), ma del ceto medio, che invece le tasse universitarie le paga.

C’è però un altro elemento, di cui s’è parlato un po’ meno, che dimostra quanto la proposta Grasso sia, appunto, egalitaria soltanto in apparenza: i costi dell’università sono soprattutto costi nascosti. Quello che grava maggiormente sulle famiglie, specie sulle famiglie meno benestanti, non sono tanto le tasse universitarie, ma il costo indiretto di avere un figlio che studia a tempo pieno (e dunque non lavora e, se lavora, lo fa part-time) e, soprattutto, per chi non vive nelle grandi città, il doverlo mantenere fuori sede.

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«Il problema della mobilità sociale è più complesso, non basta dire “adesso non si paga più”», spiega in una chiacchierata con Studio Giorgio Arfaras, economista del Centro Einaudi di Torino. «Se uno è a favore della mobilità sociale, che peraltro è un concetto liberale, servono i campus, servono le mense e altri servizi di questo tipo». Ok, si dirà, eliminare le tasse universitarie non aiuta i ceti più bassi ad andare l’università, però aiuta chi proprio povero non è ma fa pur sempre fatica a mandare i figli a studiare. In pratica, però, non cambierebbe un gran che. Prendiamo una famiglia di ceto medio-basso, non abbastanza povera da usufruire dell’esenzione dalla retta già prevista dallo “Student Act”, ma non ricca quanto basta da fare fronte al costo degli studi senza battere ciglio.

In Italia, come tutti sanno, le tasse universitarie sono progressive in base al reddito, sebbene varino da ateneo ad ateneo: le famiglie più ricche pagano in media più di duemila euro l’anno, quelle più povere (ma non povere abbastanza da avere l’esenzione) ne pagano circa 500: in media le tasse di prima fascia sono 477,88 euro annui, anche se salgono, e non di poco, in posti come La Sapienza di Roma e la Statale di Milano. Ora, per una famiglia di ceto medio-basso 500 euro all’anno non sono pochi, certo, ma non sono neppure un ostacolo insormontabile. Quello che rischia di essere un ostacolo insormontabile è pagare l’affitto a un figlio fuori sede.

Ora, l’Italia ha effettivamente un problema di mancanza di laureati, che a sua volta è collegato a una mancata mobilità sociale. Il nostro Paese ha uno dei tassi di laureati più bassi dell’Unione europea, appena il 18 per cento della popolazione: un dato in parte dovuto anche all’alto tasso di abbandono degli studi. E secondo un rapporto di Alma Laurea uno dei fattori determinanti nel portare a lasciare l’università è «l’esigenza di lavorare durante gli studi», che tradotto significa non avere genitori in grado di mantenerti mentre vai all’università. Delle tasse universitarie non si parla.

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