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C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

C’è un problema di tasse universitarie in Italia?

L'ostacolo, piuttosto, sono i costi nascosti dell'istruzione.

09 Gennaio 2018

E se davvero abolissimo le tasse universitarie? All’indomani della proposta di Pietro Grasso, prontamente definita «trumpiana» da Carlo Calenda, verrebbe da chiedersi che cosa succederebbe, nel concreto. Al di là delle boutade elettorali e delle tirate ideologiche, insomma, e tralasciando per un secondo il discorso sulla fattibilità, abolire le tasse universitarie aiuterebbe il Paese? E chi, nello specifico, aiuterebbe?

Una cosa che si è già ampiamente detta è che di certo non aiuterebbe i più poveri. Visto che gli studenti più poveri, l’università, già non la pagano: il cosiddetto “Student Act”, varato dal governo Gentiloni alla fine del 2016, ha infatti eliminato le tasse per gli universitari che provengono da famiglie con un reddito inferiore ai 13 mila euro annui (calcolato in base all’ISEEU, un indice che tiene conto anche del pagamento di affitti, dei conti in banca e di cose di questo genere). Inoltre, come ricordava per esempio il Post, varie università hanno esteso la “no tax area” agli studenti che provengono da famiglie con un reddito inferiore ai 15 mila euro, sempre in base all’ISEEU. È stata, del resto, una delle critiche più diffuse alla proposta di Grasso: è un’idea apparentemente egalitaria, ma in realtà non gioca a favore dei più poveri (loro, appunto, già godono di un’esenzione), ma del ceto medio, che invece le tasse universitarie le paga.

C’è però un altro elemento, di cui s’è parlato un po’ meno, che dimostra quanto la proposta Grasso sia, appunto, egalitaria soltanto in apparenza: i costi dell’università sono soprattutto costi nascosti. Quello che grava maggiormente sulle famiglie, specie sulle famiglie meno benestanti, non sono tanto le tasse universitarie, ma il costo indiretto di avere un figlio che studia a tempo pieno (e dunque non lavora e, se lavora, lo fa part-time) e, soprattutto, per chi non vive nelle grandi città, il doverlo mantenere fuori sede.

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«Il problema della mobilità sociale è più complesso, non basta dire “adesso non si paga più”», spiega in una chiacchierata con Studio Giorgio Arfaras, economista del Centro Einaudi di Torino. «Se uno è a favore della mobilità sociale, che peraltro è un concetto liberale, servono i campus, servono le mense e altri servizi di questo tipo». Ok, si dirà, eliminare le tasse universitarie non aiuta i ceti più bassi ad andare l’università, però aiuta chi proprio povero non è ma fa pur sempre fatica a mandare i figli a studiare. In pratica, però, non cambierebbe un gran che. Prendiamo una famiglia di ceto medio-basso, non abbastanza povera da usufruire dell’esenzione dalla retta già prevista dallo “Student Act”, ma non ricca quanto basta da fare fronte al costo degli studi senza battere ciglio.

In Italia, come tutti sanno, le tasse universitarie sono progressive in base al reddito, sebbene varino da ateneo ad ateneo: le famiglie più ricche pagano in media più di duemila euro l’anno, quelle più povere (ma non povere abbastanza da avere l’esenzione) ne pagano circa 500: in media le tasse di prima fascia sono 477,88 euro annui, anche se salgono, e non di poco, in posti come La Sapienza di Roma e la Statale di Milano. Ora, per una famiglia di ceto medio-basso 500 euro all’anno non sono pochi, certo, ma non sono neppure un ostacolo insormontabile. Quello che rischia di essere un ostacolo insormontabile è pagare l’affitto a un figlio fuori sede.

Ora, l’Italia ha effettivamente un problema di mancanza di laureati, che a sua volta è collegato a una mancata mobilità sociale. Il nostro Paese ha uno dei tassi di laureati più bassi dell’Unione europea, appena il 18 per cento della popolazione: un dato in parte dovuto anche all’alto tasso di abbandono degli studi. E secondo un rapporto di Alma Laurea uno dei fattori determinanti nel portare a lasciare l’università è «l’esigenza di lavorare durante gli studi», che tradotto significa non avere genitori in grado di mantenerti mentre vai all’università. Delle tasse universitarie non si parla.

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