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Poetica del Summer Dump, tra nostalgia e narcisismo

L'estate finisce solo quando arrivano le gallery su Instagram. Con le loro regole: foto fatte male apposta, selfie storti, gatti, cibo.

di Davide Coppo

«And all at once, Summer collapsed into Fall»: è una citazione apocrifa attribuita a Oscar Wilde, che probabilmente non la scrisse mai davvero, eppure a me piace, una volta l’ho condivisa su Instagram perché qualcuno l’aveva scritta a penna blu su un pezzo di cartoncino sgualcito e messa su Tumblr. Cosa segna la fine dell’estate, qual è il confine che, una volta superato, non ci si volta più? I primi temporali. Gli aperitivi che finiscono ormai al buio. L’inizio delle scuole, certo. La prima felpa, la sera. Soprattutto: l’arrivo, su Instagram, dei Summer dump.

Quest’anno, più di altri anni, ho notato una diffusione massiccia dei Summer dump, sintomo che siamo arrivati probabilmente a quello che in inglese si chiama “peak”, quindi peak Summer dump. Significa che da qui in avanti sarà tutto declino, inesorabile, verso una probabile scomparsa del dump stesso. Mi è parso fondamentale, allora, passare alcune ore a ragionare intorno al Summer dump, e al photo dump in generale: ho questa bizzarra idea che dietro alle abitudini social più frivole ci sia sempre un’interessante miniera piena di emozioni, paranoia, narcisismo, sociologia, apparenza, politica, insomma, umanità. Mentre ragionavo mandavo messaggi, e chiedevo ad altri colleghi, amici, conoscenti la loro opinione per formare questa filosofia del Summer dump.

C’è da notare che, innanzitutto, il Summer dump è trasversale: viene usato da qualsiasi fascia culturale, fino alle più snob. Seguo decine di scrittrici, scrittori, o sceneggiatrici e sceneggiatori, insomma persone il cui lavoro afferisce alla sfera intellettuale, per dirla male, e nessuno è immune dal Summer dump. Più si alza il profilo culturale, più il dump si fa ironico: i creativi si dovranno mostrare distaccati dalla bellezza di quei tramonti che loro stessi fotografano, non troppo interessati a mostrare l’addominale o il quadricipite in quella foto in cui sono venuti troppo bene (per questo sceglieranno una in cui non si vede quasi niente), utilizzeranno molti cani e gatti, e sotto una caption disinteressata, quasi dadaista. Per esempio, un cartello di un alimentari di mare: «Qui melanzane sott’olio». O: «Pesche dolcissime». Qualcosa del genere.

Mi affascina il modo in cui nessuno l’abbia mai codificato in un manuale di istruzioni, eppure tutti utilizzano lo stesso blueprint per formare questi dump. Ha qualcosa di ancestralmente umano, come funzionamento: l’imitazione diventa, a poco a poco, un modo di comunicare, e infine, appunto, un codice regolato dalle sue leggi. Ne parlo con G., che lavora proprio nel mondo dei social, ed è meno entusiasta: «Pensare a delle regole per i photo dump mi stranisce, penso perché sono nati come uno strumento spontaneo e poi sono stati piano piano mangiati dalla performance. Forse più di altri contenuti mi mettono davanti alla morte del social come luogo per amici». Poi c’è F., che aveva già dato un contributo fondamentale nel trattatello sulle Note dell’iPhone (qui), ed è anche lei più critica della moda del dump. Dice: «Penso che a noi tutti ci piacciono i nostri photo dump e li troviamo speciali e affascinanti e invece  non amiamo molto quelli degli altri che troviamo scontati e banali tranne che in alcuni rarissimi casi, quando lo fa qualcuno a cui vogliamo molto bene e gli perdoniamo tutto».

Una potenziale Stele di Rosetta del Summer dump l’ho trovata in una gallery fatta dalla fotografa e modella Gray Sorrenti. Mostra: una prima foto di lei fatta in modo professionale, vista da dietro in una discarica e realizzata per il multibrand The Beyond Noise (ecco, questa prima foto forse non è applicabile al resto del mondo, ma le altre sì); una signora con un bel vestito estivo stravaccata su una panchina, i capelli bianchi che si muovono nel vento; una veduta di un incrocio a New York durante una notte di pioggia; una ragazza vestita di rosa su una spiaggia che raccoglie qualcosa dalla sabbia (video al ralenti); due piccioni che beccano un marciapiede vicino a un’auto vintage verde; dei teenager tamarri seminudi che ballano a una festa, in sottofondo la canzone (montata) “Young Hearts Run Free” di Candi Staton; New York all’alba  vista da non so quale highway; un concerto o una manifestazione in Colombia (video al ralenti); lei sul retro della bici di un amico; due dodicenni su una bici di un qualche servizio di bike sharing che si divertono. Anche la caption è perfetta: “things that stand still. carjunk,dorothy,hotrain,mostbeautifulgirlofthesummer,trashandgreenpigeons,younghearts,newyork,colombialove,cantstopsmiling,boys”. Non trattengo un sospiro di ammirazione: quanta nonchalance in quell’elenco senza spazi dopo le virgole.

 

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Ovviamente tutte le foto e i video di questo dump sono bellissimi, perfetti: ma ho citato il caso, estremo, di una fotografa di talento nonché figlia di Mario (nessuna accusa di nepotismo: solo la presa d’atto di un certo dna artistico). E tuttavia manca qualcosa  ancora. Prima di tutto il cibo: nel Summer dump non può mancare un piatto di spaghetti agli scampi, una ciotola di vongole, un fritto misto. Tutta roba fotografata male, ovviamente: come se fossero foto fatte con una macchinetta snap, possibilmente tutto mezzo mangiato, con un’ampia cornice di dettagli tipo tovaglioli o accendini. In alternativa o in aggiunta, un bicchiere di vino, ma meglio la bottiglia perché c’è anche l’etichetta colorata (il vino, ovviamente naturale). Un oggetto buffo, poi, che può essere uno sticker, una macchina vecchia e scassata, un cartello stradale che ci fa ridere (“rue de la soif”, troppo noi) per poi arrivare alla parte romantica.

Allora, qui, ecco i volti di amici e amiche, ma soprattutto mare e tramonti. Forse per i soggetti naturali sarà meglio un brevissimo video, tre secondi in cui ammirare la gibigiana del sole sull’acqua in controluce ripresi nelle ultime ore di spiaggia. Un mezzo di trasporto è importante: nave o traghetto perfetti per l’effetto «caro diario, sono felice solo in mare, nel tragitto tra un’isola che ho appena lasciato e un’altra che devo ancora raggiungere», barca privata sì ma si stia attenti che non sia troppo di lusso, l’aereo invece va sempre bene nonostante la crisi climatica, con tutta la malinconia che si portano dietro i raggi dorati che entrano dall’oblò e si posano sul tavolino aperto, come quella bella copertina di Dove la storia finisce di Piperno.

Altri due tasselli ancora: serve una componente culturale, e quindi possibilmente la pagina di un libro, che è meglio della copertina perché più misteriosa e meno scontata, oppure un quadro. Anche quello, per favore, fotografato storto. Infine, la fondamentale foto di sé: che dovrà essere sexy ma senza mostrarlo, con la luce sbagliata, si dovrà vedere della pelle ma non troppa, forse dei piedi ci stanno bene, se calzati in un paio di calzature originali ma bruttine, tipo i granchietti. Altrimenti, facce buffe, un po’ di costume da bagno, magari addirittura un po’ di culo, e però scattato da chi, con quali precise istruzioni? Sul fotografare sé stessi su Instagram, e come (in questo caso, male apposta), ci sarebbero biblioteche da riempire. Un’opinione originale me la scrive A., anche lei esperta di comunicazione digitale, che dice: «Se mi ritrovo in un periodo di merda tanto vale che anche il mio photo dump riesca a canalizzare (e quindi esorcizzare) questo sentire». Invece J., scrittore specializzato nell’ambito moda, analizza: «In estate più che mai sex sells, soprattutto per noi trenta-quarantenni. È l’occasione perfetta per sparare nel feed  foto inondate di golden light in cui si scorgono piedi, tranci di culo o culi interi, pacchi in ostentatamente innocenti slip bianchi, financo per i professionisti pubi e cazzi subacquei, salvati dagli algoritmi grazie alle rifrazioni ottiche di mari al largo di isolette vulcaniche».

Il Summer dump è in realtà la declinazione estiva del photo dump, che nasce come fenomeno Instagram nel lontano 2021, quando arrivò la mania della gallery a più foto perché, terminati i lockdown, c’era questo irrefrenabile desiderio di mostrare al mondo tutto ciò che era esperibile, senza l’angoscia di quell’unica foto perfetta. È dal 2017 che Instagram ha introdotto la funzione a slideshow, ma la frequenza di posting è comunque, negli ultimi anni, diminuita sempre di più: l’etichetta della coolness, nel 2024, dice che non postare è decisamente meglio. Meta ha quindi aggiunto sempre più opzioni: i post multi-collaborativi, la musica da inserire sulle foto, e infine sono arrivate le gallery con 20 foto anziché 10. Non sembra bastare per evitare la crisi, e M., esperto di marketing digitale, mi dice: «Mi annoia un po’ la deriva che hanno preso i photo dump agostani di quest’anno; dopo 3-4 swipe generalmente l’andazzo è chiaro e spesso ricalca uno spartito preconfezionato piuttosto replicabile: uno squarcio di mare, un selfino ben riuscito, del cibo, un estratto riflessivo del libretto che si è scelto di portare in valigia e qualche altro elemento di moodboard della città, dell’isola o della fetta di mondo che si è scelto di presidiare. Penso anche che questa estensione della funzione carousel da 10 a 20 abbia ancor più annacquato questo spazio».

Ho la sensazione che, più che il fascino dell’estate in sé, sia forte quello dell’estate che finisce. Per questo il Summer dump. È a settembre che ci tocca rivivere i ricordi, e quello che era quotidiano diventa invece un elenco di sospiri. Come le cose che cantava Tommaso Paradiso nel 2014, dieci anni fa giusti giusti: «Via, via questo settembre / Voglio tornare a adorarti là / Mentre mordevi il cornetto / La tua bici rossa Atala / Che pedalavi solo a piedi scalzi / Con le dita piene di sabbia». Naturalmente, se tutto questo è sembrato una critica cattivella, non lo è: i miei photo dump o Summer dump seguono, ubbidienti, tutto il bigino descritto prima, avvoltolati nel narcisismo e nella nostalgia. Come mi scrive ancora J.: «Alla fine, è sempre la stramaledetta poesia delle piccole cose».