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In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Sui giornali vs Google

Si intensifica, a colpi di appelli e copyright, la battaglia contro il motore di ricerca. Ma siamo sicuri che convenga a qualcuno?

09 Novembre 2012

Se persino uno poco incline ai compromessi come Rupert Murdoch ha fatto retromarcia verso la fine di settembre, qualche domanda sulla guerra continua che i gruppi editoriali stanno conducendo contro Google, c’è da tornare a porsela.
Un articolo uscito sull’Economist di oggi, fa il punto della situazione sulla battaglia contro il gigante di Internet da parte dei giornali di più o meno tutto il mondo, battaglia che si è intensificata negli ultimi mesi.

L’oggetto del contendere è sempre quello, e cioè gli incriminati titoli e gli estratti dai quotidiani che Google News pubblica giornalmente e gratuitamente producendo milioni di click e abbassando, sostengono gli editori, i numeri di vendita cartacea e digitale dei giornali che quei contenuti li hanno fino a prova contraria prodotti.

Dicevamo di Murdoch: era stato l’australiano infatti uno dei primi a fare la voce grossa contro Google, fino a negargli la possibilità di pescare fra le testate di sua proprietà, salvo appunto aver deciso di cambiare idea appena qualche settimana fa, riaprendo le porte a Google e optando per una strada conciliante.

Non la pensano tutti come lui in giro per il mondo: i parlamentari tedeschi, su sollecitazione degli editori, stanno infatti valutando di legiferare per allargare il copyright agli estratti di articoli che compaiono sulle pagine del motore di ricerca senza autorizzazione. Delle stesse tonalità il recente monito di Hollande a Eric Schmidt di Google: se non pagate i giornali – ha tuonato Monsieur le Prèsident – facciamo come la Germania.

E lo scenario è più o meno il medesimo in gran parte dei paesi europei e non.

Ora, il quesito è: davvero la pubblicazione di titoli ed estratti sta danneggiando l’industria editoriale? E siamo proprio sicuri che la strategia migliore sia quella di contrapporsi lividi e indignati alle politiche libertine e flessibili del motore di ricerca che tutto muove?

In linea di principio, gli editori avrebbero anche le loro ragioni: i contenuti che io produco, con dei costi, e che vendo, tu non puoi regalarli. Non si fa. Ma le questioni di principio si addicono poco all’epoca di grandi cambiamenti che stiamo vivendo, soprattutto se escono dalla bocca di chi di problemi ne ha francamente ben altri. Mi spiego meglio: sono fra quelli che pensano che i problemi di chi da notizie, fornisce opinioni e punti di vista, oggi siano ben altri rispetto a Google.

E che Google abbia anche delle ragioni quando diffonde dati in cui afferma che dalle sue piattaforme partono circa 4 miliardi (sempre secondo l’Economist di oggi) di click al mese verso i siti di news.

Il ripensamento, come ben sappiamo, dev’essere più di ampio respiro, sui modelli, sulla qualità di quello che si produce, sui costi, sulle piattaforme. È anacronistico pensare di lavarsi un lembo di coscienza accusando della debacle generale il progresso e la trasformazione tecnologica che stanno rivoluzionando il nostro modo di comunicare.

Parafrasando uno slogan ripreso da Renzi in campagna elettorale (l’ormai celebre vento non bloccabile con le mani): non si ferma Google con la burocrazia del secolo scorso.

Dall’altro lato, però, forse anche per Google sarebbe conveniente cambiare una strategia che ad oggi passa obbligatoriamente dallo strettissimo “noi non paghiamo nulla, non esiste, o così o arrivederci”. Nell’immediato potrebbe anche funzionare certo (e funziona), del resto quelli in crisi sono i giornali e non di certo Google.

Ma c’è un però grande come una caseggiato: vincere facile oggi, infierendo fra l’altro sul presunto nemico, rischia di trasformarsi in un boomerang. Soprattutto perché quando i produttori di news sostengono che senza il loro lavoro resterebbe ben poco da aggregare, riprendere e rendere virale e condivisibile, non fanno poesia: espongono una realtà oggettiva e inconfutabile (vedi l’attenzione particolare che Twitter, ad esempio, sta rivolgendo a giornalisti, testate e produttori di contenuti).

Ma anche perché, pensandoci bene, una mossa intelligente di Google potrebbe configurarsi più o meno così: carissimi giornali, i titoli e gli estratti degli articoli non ve li paghiamo così come sono, mollatela con le lagne e gli appelli ai politici per ristabilire l’ordine attraverso un copyright senza se e senza ma. Ma non vogliamo la vostra fine, tutt’altro; abbiamo bisogno di giornali performanti, in forma, proiettati nel futuro, non di vecchi arnesi rancorosi. Voi avete autorevolezza e professionalità, noi abbiamo la tecnologia. Sediamoci a un tavolo, ritroviamo entusiasmo e progettiamo il domani.

Anche perché, pensateci bene, anche a livello di marketing c’è una bella differenza fra essere ricordati come quelli che han fatto la rivoluzione sul cadavere dei giornali e quelli che l’han fatta salvando l’industria dei media dalla crisi.

Tutto molto complicato ovvio, ma sedersi a un tavolo, legittimarsi a vicenda e lavorare su accordi condivisi pare ad oggi l’unica parvenza di principio di soluzione.

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