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Negli Usa il Parmigiano Reggiano è così popolare che un’agenzia di Hollywood lo ha messo sotto contratto come fosse una celebrity La United Talent Agency si occuperà di trovare al Parmigiano Reggiano opportunità lavorative in film e serie tv.
I farmaci dimagranti come l’Ozempic si starebbero dimostrando efficaci anche contro le dipendenze da alcol e droghe La ricerca è ancora agli inizi, ma sono già molti i medici che segnalano che questi farmaci stanno aiutando i pazienti anche contro le dipendenze.
Kevin Spacey ha raccontato di essere senza fissa dimora, di vivere in alberghi e Airbnb e che per guadagnare deve fare spettacoli nelle discoteche a Cipro L'ultima esibizione l'ha fatta nella discoteca Monte Caputo di Limisso, biglietto d'ingresso fino a 1200 euro.
Isabella Rossellini ha detto che oggi non è mai abbastanza vecchia per i ruoli da vecchia, dopo anni in cui le dicevano che non era abbastanza giovane per i ruoli da giovane In un reel su Instagram l'attrice ha ribadito ancora una volta che il cinema ha un grave problema con l'età delle donne. 
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, le donazioni per Gaza si sono quasi azzerate Diverse organizzazioni umanitarie, sia molto piccole che le più grandi, riportano cali del 30 per cento, anche del 50, in alcuni casi interruzioni totali.
Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.

Sui giornali vs Google

Si intensifica, a colpi di appelli e copyright, la battaglia contro il motore di ricerca. Ma siamo sicuri che convenga a qualcuno?

09 Novembre 2012

Se persino uno poco incline ai compromessi come Rupert Murdoch ha fatto retromarcia verso la fine di settembre, qualche domanda sulla guerra continua che i gruppi editoriali stanno conducendo contro Google, c’è da tornare a porsela.
Un articolo uscito sull’Economist di oggi, fa il punto della situazione sulla battaglia contro il gigante di Internet da parte dei giornali di più o meno tutto il mondo, battaglia che si è intensificata negli ultimi mesi.

L’oggetto del contendere è sempre quello, e cioè gli incriminati titoli e gli estratti dai quotidiani che Google News pubblica giornalmente e gratuitamente producendo milioni di click e abbassando, sostengono gli editori, i numeri di vendita cartacea e digitale dei giornali che quei contenuti li hanno fino a prova contraria prodotti.

Dicevamo di Murdoch: era stato l’australiano infatti uno dei primi a fare la voce grossa contro Google, fino a negargli la possibilità di pescare fra le testate di sua proprietà, salvo appunto aver deciso di cambiare idea appena qualche settimana fa, riaprendo le porte a Google e optando per una strada conciliante.

Non la pensano tutti come lui in giro per il mondo: i parlamentari tedeschi, su sollecitazione degli editori, stanno infatti valutando di legiferare per allargare il copyright agli estratti di articoli che compaiono sulle pagine del motore di ricerca senza autorizzazione. Delle stesse tonalità il recente monito di Hollande a Eric Schmidt di Google: se non pagate i giornali – ha tuonato Monsieur le Prèsident – facciamo come la Germania.

E lo scenario è più o meno il medesimo in gran parte dei paesi europei e non.

Ora, il quesito è: davvero la pubblicazione di titoli ed estratti sta danneggiando l’industria editoriale? E siamo proprio sicuri che la strategia migliore sia quella di contrapporsi lividi e indignati alle politiche libertine e flessibili del motore di ricerca che tutto muove?

In linea di principio, gli editori avrebbero anche le loro ragioni: i contenuti che io produco, con dei costi, e che vendo, tu non puoi regalarli. Non si fa. Ma le questioni di principio si addicono poco all’epoca di grandi cambiamenti che stiamo vivendo, soprattutto se escono dalla bocca di chi di problemi ne ha francamente ben altri. Mi spiego meglio: sono fra quelli che pensano che i problemi di chi da notizie, fornisce opinioni e punti di vista, oggi siano ben altri rispetto a Google.

E che Google abbia anche delle ragioni quando diffonde dati in cui afferma che dalle sue piattaforme partono circa 4 miliardi (sempre secondo l’Economist di oggi) di click al mese verso i siti di news.

Il ripensamento, come ben sappiamo, dev’essere più di ampio respiro, sui modelli, sulla qualità di quello che si produce, sui costi, sulle piattaforme. È anacronistico pensare di lavarsi un lembo di coscienza accusando della debacle generale il progresso e la trasformazione tecnologica che stanno rivoluzionando il nostro modo di comunicare.

Parafrasando uno slogan ripreso da Renzi in campagna elettorale (l’ormai celebre vento non bloccabile con le mani): non si ferma Google con la burocrazia del secolo scorso.

Dall’altro lato, però, forse anche per Google sarebbe conveniente cambiare una strategia che ad oggi passa obbligatoriamente dallo strettissimo “noi non paghiamo nulla, non esiste, o così o arrivederci”. Nell’immediato potrebbe anche funzionare certo (e funziona), del resto quelli in crisi sono i giornali e non di certo Google.

Ma c’è un però grande come una caseggiato: vincere facile oggi, infierendo fra l’altro sul presunto nemico, rischia di trasformarsi in un boomerang. Soprattutto perché quando i produttori di news sostengono che senza il loro lavoro resterebbe ben poco da aggregare, riprendere e rendere virale e condivisibile, non fanno poesia: espongono una realtà oggettiva e inconfutabile (vedi l’attenzione particolare che Twitter, ad esempio, sta rivolgendo a giornalisti, testate e produttori di contenuti).

Ma anche perché, pensandoci bene, una mossa intelligente di Google potrebbe configurarsi più o meno così: carissimi giornali, i titoli e gli estratti degli articoli non ve li paghiamo così come sono, mollatela con le lagne e gli appelli ai politici per ristabilire l’ordine attraverso un copyright senza se e senza ma. Ma non vogliamo la vostra fine, tutt’altro; abbiamo bisogno di giornali performanti, in forma, proiettati nel futuro, non di vecchi arnesi rancorosi. Voi avete autorevolezza e professionalità, noi abbiamo la tecnologia. Sediamoci a un tavolo, ritroviamo entusiasmo e progettiamo il domani.

Anche perché, pensateci bene, anche a livello di marketing c’è una bella differenza fra essere ricordati come quelli che han fatto la rivoluzione sul cadavere dei giornali e quelli che l’han fatta salvando l’industria dei media dalla crisi.

Tutto molto complicato ovvio, ma sedersi a un tavolo, legittimarsi a vicenda e lavorare su accordi condivisi pare ad oggi l’unica parvenza di principio di soluzione.

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