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Impressioni di Succession

La lunga attesa è finita e la terza stagione della serie meglio scritta, diretta, fotografata e interpretata della televisione contemporanea è finalmente cominciata: un commento delle prime puntate.

di Matteo Codignola

Le serie hanno quasi tutte un punto di rottura, che coincide col momento in cui i personaggi, fin lì sotto l’occhio dello spettatore, si ritrovano all’improvviso davanti a quello, per definizione meno benevolo, del loro cameriere. Dopo due puntate della Season 3 è difficile dire se Succession si stia avvicinando, a quel punto – ma qualche indizio c’è.

Probabilmente – sperabilmente – è solo una prima impressione, innanzitutto fisica. Dalla Season 2 è passato un anno più del previsto, causa le note ragioni, e la pandemia non ha fatto bene a nessuno – neppure al cast. Quella specie di monumento alla recitazione che è Brian Cox (Logan Roy) appare segnato da più tempo dei 24 mesi effettivamente trascorsi, mentre Sarah Snook (Shiv), che è un’attrice meravigliosa, sembra a sua volta aspirare alla monumentalità, ma nel senso più esaustivo della parola. Il tempo è passato, inevitabilmente, anche per Kieran Culkin, spostando le connotazioni prepuberali del suo personaggio (Roman) qualche millimetro verso la caricatura; quanto all’unico e solo Jeremy Strong (Kendall), non ha mai puntato tutto sulla statura, ma la scelta degli showrunner di dargli una scena su due a braccetto con Nicholas Braun (Greg) che lascia parecchi centimetri a qualsiasi pivot NBA, sembra un’ipoteca visiva sulle reali dimensioni umane del personaggio.

Intendiamoci, sono dettagli infimi (e annotazioni maniacali), ma in una serie contano, ed è difficile pensare che in uno dei tre show meglio scritti, diretti, fotografati e interpretati della televisione contemporanea (lascio vuoto lo spazio per gli altri due, ognuno metta quelli che vuole, basta non tocchi questo) sfumature del genere arrivino dal caso. Al cinema persino il corso della natura, volendo, si può camuffare – solo che qui l’intenzione sembrerebbe contraria: esporlo. Dall’inconfondibile bluastro delle prime due stagioni, la luce della terza fa segnare un sensibile spostamento verso il bianco, persino in interni, e la tendenza a mettere i personaggi, specie nei momenti di maggior tensione, in condizioni disagevoli tocca il suo apice: se verso la fine della stagione precedente Logan era costretto a fare una chiamata decisiva dallo spiazzo di un autogrill, qui tutta la banda o quasi deve decidere come salvare l’impero Waystar sulla pista di un aeroporto, in pieno sole. Non è strano che vengano fatte le scelte sbagliate – o meglio che si decida, al momento, di non scegliere.

Se non altro però la saga è ricominciata, e non era detto. Il maestoso epilogo della Season2 – Kendall che convoca una conferenza stampa per offrirsi in sacrificio ai media al posto del padre, e invece ne denuncia in diretta i crimini – poteva essere un cliffhanger molto più potente della media, ma anche il migliore dei finali aperti possibili. Nel dubbio, ci siamo chiesti per decine di mesi se il sorriso imperscrutabile con cui il vecchiaccio aveva seguito l’evento in diretta non volesse dire che aveva previsto, o addirittura organizzato, tutto quanto – e sono stati mesi che è valsa la pena di avere vissuto. Ora però sappiamo che non era così – e che Logan rischia le bucce.

Tanto per ripartire dalla stessa quota a cui si erano fermati, Jesse Armstrong e la sua banda di geniacci hanno organizzato la sequenza d’apertura incrociando Apocalypse Now e Taxi Driver: due elicotteri in formazione all’alba, alternati a Kendall chiuso in bagno a fare strane mosse marziali davanti allo specchio. Subito dopo, tuttavia, siamo all’aeroporto che dicevo, e lì qualche perplessità insorge.

Tranquilli, il tono è signature Armstrong: «Perché, vuoi succhiarmi il cazzo?», raglia Logan a Roman quando il poveretto si offre di salire in aereo con lui; e sul cellulare di Shiv, se chiama papà, compare una foto di Saddam. Se possibile, poi, il tasso di invenzione drammaturgica si è ancora alzato (dopo qualche minuto in macchina, Kendall si trasferisce nell’assai spaziosa casa dell’ex moglie, dove tutti a poco a poco convergono, consentendo a tre o quattro sottotrame di svolgersi contemporaneamente). Ed è inutile shazammare una sequenza per sapere chi abbia scritto l’accidente di pezzo che temete di canticchiare per un paio d’anni: è sempre lui, Nicholas Britell. Ma ripeto, è quello che si intravede del plot a preoccupare. Dopo venti episodi, sembreremmo infatti tornati alla casella di partenza: per non mandare a palle per aria la Waystar, Logan decide di fare un passo indietro, e la figliolanza prende allegramente (si fa per dire) a scannarsi. Ricorda niente? Be’, certo, la puntata pilota della Season1, anche se appunto sembrerebbe che il gioco ora si faccia più scoperto, e la tesi di fondo – i ricchi e potenti possono dèmoni calcolatori, ma visti da vicino si rivelano novenni psicolabili  – più esplicita.

Fino a che punto Armstrong abbia deciso di giocare al re nudo lo scopriremo presto, ma personalmente di lui tendo a fidarmi, perché il meno che si possa dire è che sa quello che fa. Se non credete a me, credete a Jeremy Strong, quando ricorda di averlo avvicinato, nelle fasi iniziali della lavorazione, e di avergli chiesto se avesse cinque minuti per approfondire certe sfumature di Kendall. Vai pure a fare la pausa pranzo, pare gli abbia risposto l’altro, arrampicandosi nel vano di una finestra. Venti minuti dopo, Strong sostiene di aver ricevuto una mail intitolata Meditazioni alla finestra, che conteneva una lunga scena di Ken, a sei anni, in visita agli uffici del padre. Non è entrata nel copione, conclude Strong, ma nella mia testa sì – e non se n’è più andata.

Comunque non resta che aspettare, e/o inveire contro gli strascichi anni Sessanta dei palinsesti – essendo passati i bei tempi della Freccia nera, magari si potrebbe anche piantarla di mettere in onda una puntata alla settimana, non fosse perché costituisce istigazione alla pirateria. Per rendersi la vita meno semplice, comunque, pare che Armstrong si sia messo sulla strada due intralci mica da niente. Il primo è l’entrata in scena di un paio di figuri della Silicon Valley interessati a Waystar – uno dei quali, interpretato da Alexander Skarsgård, sarebbe addirittura ricalcato su Peter Thiel. Tutto sommato è presumibile Armstrong se la cavi, visto come dal modello di Murdoch ha ricavato Logan Roy. Piuttosto uno trema al pensiero del secondo azzardo. Non so in quale misura (e non ho controllato temendo gli spoiler), ma una parte significativa della stagione è infatti ambientata negli stessi luoghi appena costati la reputazione a Ridley Scott – Firenze e la Val d’Orcia. Se Armstrong esce indenne anche da lì, in compenso, è fatta.