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Lorenzo Bertelli, il figlio di Miuccia Prada, sarà il nuovo presidente di Versace Lo ha rivelato nell'ultimo episodio del podcast di Bloomberg, Quello che i soldi non dicono.
Il più importante premio letterario della Nuova Zelanda ha squalificato due partecipanti perché le copertine dei loro libri erano fatte con l’AI L'organizzatore ha detto che la decisione era necessario perché è importante contrastare l'uso dell'AI nell'industria creativa.
Per evitare altre rapine, verrà costruita una stazione di polizia direttamente dentro il Louvre E non solo: nei prossimi mesi arriveranno più fondi, più telecamere, più monitor, più barriere e più addetti alla sicurezza.
L’unico a volere il water d’oro di Cattelan andato all’asta è stato un parco di divertimenti Lo ha comprato per dodici milioni di dollari: è stata l'unica offerta per un'opera che ne vale dieci solo di materiale.
Angoulême, uno dei più prestigiosi festival di fumetti al mondo, quest’anno potrebbe saltare a causa di scandali, boicottaggi e tagli ai finanziamenti L'organizzazione è accusata di aver provato a insabbiare un'indagine su uno stupro e centinaia di artisti hanno deciso di non partecipare in protesta. L'edizione 2026 è a rischio.
Il guasto di Cloudflare è stato così grave che ha causato anche il guasto di Downdetector, il sito che si occupa di monitorare i guasti su internet Oltre a X, ChatGPT, Spotify e tanti altri, nel down di Cloudflare è andato di mezzo anche il sito a cui si accede quando tutti gli altri sono inaccessibili.
Il nuovo film di Sydney Sweeney sta andando così male che il distributore si rifiuta di rivelarne gli incassi Christy sembra destinato a diventare il peggior flop dell'anno, il quarto consecutivo nel 2025 dell'attrice.

Paure d’Europa

Un sondaggio dimostra che in Europa paure e aspettative restano molto diverse da Paese a Paese, ma c'è un sentimento che unisce tutti: la delusione.

25 Marzo 2019

Esiste un’opinione pubblica europea? Gli europei guardano con sempre maggiore interesse quanto accade nelle campagne elettorali degli altri Paesi, soprattutto di quelli che considerano più affini o più legati alla politica nazionale. L’attenzione mediatica che ha suscitato l’elezione presidenziale francese del 2017 in Italia, e la parallela curiosità per la nascita del governo gialloverde italiano in Francia dimostrano che i voti sono ancora nazionali, ma le conseguenze degli stessi lo sono sempre meno. Basti pensare a quanto la crisi della leadership di Angela Merkel abbia cambiato i piani europei di Emmanuel Macron e spinto gli Stati europei del nord Europa a stringere i loro legami in quella che i giornali hanno ribattezzato “Lega anseatica”. Ciò che noi votiamo ha ricadute sugli altri, non stupisce che gli altri osservino con attenzione.

La Brexit, e le sue conseguenze sulla politica britannica, sono state commentate e analizzate in tutti gli Stati dell’Unione europea: è naturale, visto che l’esito del referendum sancisce per la prima volta l’abbandono di uno Stato membro, e ha conseguenze dirette sulle infrastrutture doganali e di confine soprattutto dei Paesi transfrontalieri come Francia, Paesi Bassi e Belgio. Esiste senza dubbio anche una componente affettiva, legata alla quantità di immigrati europei che hanno attraversato la Manica per costruire nel Regno Unito, e specialmente a Londra, il loro futuro professionale. Ecco perché la grande marcia organizzata sabato scorso nella capitale inglese per chiedere un nuovo referendum è stata seguita nel continente quasi fosse un evento più europeo che britannico, lo speaker della Camera John Bercow e le sue colorite espressioni fanno ridere i tedeschi, gli svedesi e gli italiani, il destino e la strategia di Theresa May è argomento di discussione, spesso di critica.

A tutto ciò si aggiunge la presa di coscienza da parte dei leader politici di poter utilizzare le rivalità con capi di Stato o di partito di altri Paesi europei a proprio vantaggio. Gridare contro il nemico esterno è un artificio sempre esistito, ma negli ultimi mesi c’è stato un salto di qualità: difficile ricordare dei botta e risposta a stretto giro come quelli tra il primo ministro ungherese Viktor Orbàn e il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker o tra Luigi Di Maio ed Emmanuel Macron. Non è una sorpresa dunque che lo scontro tra Francia e Italia sia stato letto, soprattutto da parte francese, come una vera e propria “europeizzazione” della politica.

Tuttavia, un sondaggio condotto dall’istituto Ifop per la rivista francese Atlantico su cittadini francesi, tedeschi, italiani, austriaci, polacchi e spagnoli evidenzia quanto le paure e le aspettative cambino radicalmente a seconda della nazionalità e quindi della situazione politica e sociale nazionale.

Un esempio su tutti è la percezione dell’immigrazione: giudicato un problema prioritario da risolvere per il 39% degli austriaci (prima preoccupazione) e per il 35% dei tedeschi (seconda preoccupazione), non figura invece tra i primi problemi degli italiani, che la ritengono un problema minore (15%) o per gli spagnoli, dove figura al 6%. Come può essere forse intuitivo, italiani e spagnoli sono molto più preoccupati dall’alto livello della disoccupazione che si registra nel loro paese, che infatti è indicata come primo problema da risolvere con percentuali molto elevate (rispettivamente 48% e 56%).

Un dimostrante dei gilet gialli a Nantes, il 23 marzo 2019 (SEBASTIEN SALOM-GOMIS/AFP/Getty Images)

In questo senso, anche i risultati dei rimedi proposti alla gestione dei flussi migratori è indicativa, e speculare alle preoccupazioni. La soluzione, per francesi tedeschi e austriaci, è rafforzare i controlli alle frontiere esterne e marittime, la chiusura dei confini ai migranti illegali, e l’aumento dei rimpatri al Paese d’origine. Al contrario, per spagnoli e italiani, i Paesi membri dovrebbero concentrarsi a ripartire i migranti tra tutti gli Stati, per alleggerire il carico sui Paesi d’arrivo, di cui Italia e Spagna fanno parte.

 Non stupisce che in Francia, dove le proteste dei gilet gialli hanno messo al centro dell’agenda politica il potere d’acquisto, che la classe media francese percepisce eroso, la prima preoccupazione indicata dagli intervistati sia il basso livello dei salari (al 34 % la cifra più elevata tra i Paesi oggetto del sondaggio), una paura quasi irrilevante in Spagna (5%) e molto relativa in Austria (13%).

Sembra che, per una volta, i sistemi politici nazionali siano molto più avanti delle rispettive opinioni pubbliche. Su una cosa però, gli europei sembrano essere tutti d’accordo: la delusione è il primo sentimento citato dagli intervistati rispetto alle situazione del proprio Paese. Ed è forse questa sensazione che spiega, in parte, l’ascesa dei partiti populisti e sovranisti, più dell’immigrazione o della mancanza di eguaglianza nelle democrazie liberali. I populisti sfruttano la delusione accumulata dai cittadini europei nei confronti di società e sistemi politici percepiti come bloccati e incapaci di reagire alle sfide che si presentano di volta in volta.

Il campanello d’allarme immediato può dunque essere la paura dell’immigrazione, il basso livello dei salari, la disoccupazione, ma la conseguenza più profonda è la delusione. Come si riacquista la fiducia? Forse i partiti progressisti dovrebbero ripartire da qui per recuperare il consenso perduto.

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