Attualità
Settimane della moda — Parigi
La prima uscita di Raf Simons dopo Dior, le sorprese e le conferme: Il grande anno della moda maschile anche nella capitale francese.
Se c’è una cosa che piace molto a Raf Simons è scardinare, sempre con la composta eleganza che lo caratterizza, l’ordine costituito, che nella moda è sempre un’operazione rischiosa: lo fa a partire dagli show, dove non è raro che si stia tutti in piedi, come nei club, fino al suo reticolo di ispirazioni, passando per la musica, il casting, per arrivare infine ai capi. C’era particolare attesa per la sfilata di mercoledì sera, che ha concluso la prima giornata della moda maschile a Parigi: era la prima collezione presentata dopo la decisione di lasciare la direzione artistica di Dior. Pensata e realizzata quando Simons era ancora parte integrante dell’ingranaggio del grande marchio di proprietà LVMH, certo, ma idealmente prima concreta espressione del nuovo corso.
Rileggendo alcune sue vecchie interviste e confrontandole con quelle più recenti, si ha la rassicurante sensazione di trovarsi di fronte sempre alla stessa persona: non nel senso di una personalità monolitica e immobile quanto, al contrario, di una sensibilità inquieta e appassionata, che negli anni ha saputo infondere il proprio segno distintivo su tutti i progetti cui ha partecipato, da Jil Sander a Dior. In molti, per lungo tempo, lo hanno erroneamente definito minimalista – «Non mi interessa più ormai [che mi chiamino minimalista], diceva a Anders Christian Madsen in un’intervista per i-D Magazine nel 2013, so che non lo sono» –, lui ha sempre sottolineato come la decisione di fondare un suo marchio fosse il risultato degli intensi anni di studio ad Anversa, passati a chiacchierare fino alle quattro del mattino con Olivier Rizzo, David Vandewal e Peter Philips fra gli altri. Erano i primi anni Novanta, come ha raccontato a Terry Jones e Holly Shackleton nel 2012: «Non eravamo felici di quello che vedevamo, per cui il marchio è stata una specie di reazione a quel periodo. C’erano delle cose chi ci piacevano, certo, e volevamo collegarci con esse. Ero ossessionato da Martin Margiela e Helmut Lang. Quelle silhouette, i cappotti al ginocchio, i pantaloni… naturalmente, il mio marchio era strettamente collegato alla mia, di esperienza, al mio passato, all’ambiente in cui ero cresciuto, che non era certamente corporate-city-slick come quello di Lang. Era più sporco, più dark, più underground. Una sorta di combinazione fra schoolboys e cattolicesimo, piccoli paesini sperduti e college».
Sulle passerelle di Parigi, comunque, non si sono visti solo ragazzi: c’erano anche gli uomini, come quelli di Dries Van Noten, che ha mandato in scena una delle collezioni più belle degli ultimi tempi. Per Van Noten il guardaroba maschile diventa il territorio adatto per ridefinire l’elemento del decoro – affidato alle grafiche psichedeliche dell’artista Wes Wilson, autore, fra le altre cose, dei flyer degli Acid Tests di Ken Kesey negli anni Sessanta – in relazione all’attitudine sartoriale che caratterizza il classico menswear, in un clash di stili perfettamente bilanciato. E se Hedi Slimane ha deciso di cancellare lo show di Saint Laurent, che avrebbe dovuto concludere la rassegna domenica sera, optando invece per unico evento che si terrà il prossimo 10 febbraio a Los Angeles e dove verranno presentate sia la collezione uomo che quella donna, gli altri nomi in calendario a Parigi delineano invece un’ottima stagione, come già si era intuito a Firenze e a Milano. Dall’eclettisimo di Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli per Valentino all’ansia ecologista di Rick Owens, dall’eleganza discreta di Lemaire alle divise urbane di Yohji Yamamoto, la moda maschile oggi vive un momento in cui creatività e business si intrecciano felicemente.