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22:57 sabato 15 novembre 2025
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Senza stato

Vivere senza nazionalità è possibile? C'è chi lo fa per non pagare tasse e chi, come Snowden, lo diventa suo malgrado. Piccola storia degli stateless volontari.

03 Luglio 2013

Edward Snowden, dal suo purgatorio diplomatico nell’aeroporto di Mosca, ha lunedì dichiarato di essere stato privato della nazionalità americana dal presidente Obama, che avrebbe revocato il suo passaporto lasciandolo in una condizione “stateless”, senza stato, apolide. Non è del tutto corretto, in quanto Snowden, nonostante la confisca del passaporto, rimane un cittadino statunitense, anzi ufficiali amministrativi dagli Usa hanno fatto sapere che il suo rimpatrio, se deciderà di affrontare le accuse di spionaggio a suo carico, sarebbe un affare molto facile e veloce.

L’individuo che rinuncia a una cittadinanza non diventa un moderno Ebreo Errante ma può avere ancora un certificato di residenza in molti stati del mondo nonché un documento che gli permetta di muoversi liberamente tra alcuni confini.

Tuttavia, lo stato dei senza-stato è materia interessante, curiosa e in certi casi controversa. Un recente articolo (ma meno recente delle dichiarazioni di Snowden) pubblicato sul magazine Spears (“il must-read per gli ultra ricchi”, come recita il loro About Us) analizzava l’ipotesi di perdere ogni cittadinanza come soluzione per sfuggire a tassazioni troppo esigenti. Una specie di operazione-Depardieu, ma senza lanciarsi nelle braccia di Putin e dichiarare amore eterno e incondizionato per la discutibile democrazia post-Sovietica. La soluzione, come da target di pubblico di Spears, si rivolge esclusivamente alla cosiddetta fascia di persone UHNW, ossia Ultra High Net Worth (individuals), quei pochi e felici individui sulla Terra proprietari di patrimoni netti personali (escluso l’immobile di residenza) superiori ai 30 milioni di dollari. Sono circa 103 mila in tutto il mondo, lo 0,0015 percento della popolazione mondiale, e il quaranta per cento di loro risiede in Nord America. Approcciando persone con tale disponibilità di denaro, l’articolo si premurava di dare per scontati (nel senso: di scontata inesistenza) i problemi più normali che si troverebbe ad affrontare un individuo apolide di classe bassa o media, ovvero la copertura sanitaria privata, la sicurezza pensionistica e l’educazione (privata, certo) dei figli.

Prima di tutto una precisazione: lo stato apolide non è una condizione metafisica, è problematica ma regolamentata e l’individuo che rinuncia a una cittadinanza non diventa un moderno Ebreo Errante ma può avere ancora un certificato di residenza in molti stati del mondo nonché un documento che gli permetta di muoversi liberamente tra alcuni confini. Riceve anche, curiosamente, un documento di “perduta nazionalità”. È quello che è successo a Mike Gogulski, ex cittadino statunitense (oggi cittadino di nessuno stato), che nel dicembre 2008, dalla Slovacchia, ha rinunciato alla propria nazionalità. L’operazione non è possibile ovunque, anzi: gli Stati Uniti sono uno dei pochi stati a permettere ai propri cittadini di rinunciare alla cittadinanza senza averne già una seconda “di scorta”. Per fare richiesta di rinuncia, però, è indispensabile essere fuori dal territorio statunitense. Dopo tre mesi di “inesistenza”, nel marzo del 2009 Gogulski ha ricevuto il titolo di viaggio assicurato dalla Convenzione del 1954 (che controlla per 77 stati i diritti delle stateless persons), ovvero una sorta di documento di identità ma non di nazionalità. A pagina 33 del documento (una specie di passaporto, formalmente), la dicitura inglese recita: «The holder of travel document under the Convention of 28 September 1954 is an alien with legal status of a person without state citizenship, who was granted a permission for permanent residence in the territory of the Slovak Republic. He/she is under protection of the Slovak Republic. All whom it may concern are hereby requested to afford the holder of this travel document all necessary aid and protection according to international law».

Prima di diventare apolide Gogulski ha accarezzato il sogno di vivere come Perpetual Traveler, un individuo che passa la vita a viaggiare tra diversi stati, senza mai fermarsi per più di tre mesi in modo da riuscire a sfuggire a qualsiasi tassazione.

Le motivazioni di Mike Gogulski non sono però simili a quelle di un Gerard Depardieu in fuga dalle tasse: il suo è stato un dichiarato gesto di protesta contro “il dannato impero”, come chiama gli Stati Uniti d’America. Sul suo blog, nostate.com, avverte che «rinunciare alla cittadinanza è una questione molto seria. Il mondo di oggi non tratta con gentilezza le persone senza stato, e rinunciare alla tua cittadinanza potrebbe portare un numero di orribili conseguenze come l’arresto, l’espulsione, internamento in “campi rifugiati”, negazione dei diritti umani, sequestro del patrimonio, perdita della possibilità di viaggiare, perdita di lavoro, perdita di licenze professionali, problemi a ottenere un alloggio, e così via». Prima di diventare apolide, tuttavia, Gogulski ha accarezzato il sogno molto (più) venale di vivere come Perpetual Traveler, ovvero un individuo che, essendo in possesso di un buon capitale di partenza e di un lavoro non legato a precisi luoghi fisici (Gogulski era un internet consultant), passa la vita a viaggiare tra diversi stati, in genere senza mai fermarsi per più di tre mesi in modo da riuscire a sfuggire a qualsiasi tassazione.

Dopo la Guerra Garry Davis fondò la World Service Authority (pare con il supporto di Albert Camus e André Gide) per promuovere la “cittadinanza mondiale” ed emettere specifici passaporti mondiali per viaggiare senza bandiere.

In realtà fuggire alle tasse semplicemente evitando di avere una nazionalità non funziona molto bene: in quasi tutti gli stati del mondo un individuo è tassato in base alla sua residenza e non alla sua cittadinanza, eccetto, stranamente, negli Stati Uniti, nelle Filippine, in Corea del Nord e in Eritrea. Il “viaggio permanente”, in questo senso, è sempre la migliore opzione. Non è un caso che tra gli individui che rinunciano alla propria cittadinanza non ci siano veri e propri milionari molto tirchi ma soltanto ribelli agée e stravaganti. Come, oltre a Gogulski, Garry Davis, l’ex americano (oggi novantaduenne) inventore, nel 1954, del Passaporto Mondiale. Davis rinunciò alla cittadinanza statunitense nel 1948, disgustato dalla Seconda Guerra Mondiale in cui servì l’esercito come pilota di B-17. Diventato attivista pacifista, fondò la World Service Authority (pare con il supporto di Albert Camus e André Gide) per promuovere la “cittadinanza mondiale” ed emettere specifici passaporti mondiali per viaggiare senza bandiere. In realtà non è affatto facile spostarsi di frontiera in frontiera con un passaporto mondiale: mentre Davis sostiene che siano stati accettati, di volta in volta, in 180 nazioni, si sa per certo di soli sei casi sicuri avvenuti in Burkina Faso, Ecuador, Mauritania, Tanzania, Togo e Zambia, e lo stesso Garry è stato arrestato per venti volte mentre tentava di entrare in paesi senza documenti validi.

Senza rinunciare alla cittadinanza italiana, un tentativo di evadere senza troppi rischi la tassazione nostrana risale al 1968 ad opera di Giorgio Rosa, ingegnere visionario (ma non di quei visionari cari all’immaginario hippy: Rosa era un concreto liberale, con un passato remoto fascista e un passato più recente berlusconiano, tutto condito da un’anarchia ribelle anti-statalista fermissima ed esuberante. Qualche tempo fa ho avuto il privilegio di conoscerlo, e ne ho scritto qui) che creò al largo della costa riminese una piattaforma artificiale chiamata Isola delle Rose e dichiarò l’indipendenza dello stato dalla Repubblica Italiana. La storia finì nel peggiore dei modi possibili: l’Isola venne abbattuta dalla marina (o «dai preti», come ricorda lui con ovvi riferimenti al governo democristiano in carica allora) e Rosa fu pure condannato a pagare le spese di demolizione.

Nell’immagine, una veduta da Google Earth dell’intricata zona di confine tra India, Pakistan, Kashmir.

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