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Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.
Il Ceo di Nestlé è stato licenziato per aver nascosto una relazione con una sua dipendente Una «undisclosed romantic relationship» costata carissimo a Laurent Freixe, che lavorava per l'azienda da 40 anni.
La turistificazione in Albania è stata così veloce che farci le vacanze è diventato già troppo costoso I turisti aumentano sempre di più, spendono sempre di più, e questo sta causando gli ormai soliti problemi ai residenti.
Nell’assurdo piano di Trump per costruire la cosiddetta Riviera di Gaza ci sono anche delle città “governate” dall’AI Lo ha rivelato il Washington Post, che ha pubblicato parti di questo piano di ricostruzione di Gaza che sembra un (brutto) racconto sci-fi.
Stasera La chimera di Alice Rohrwacher arriva per la prima volta in tv, su Rai 3 Un film d'autore per festeggiare l'apertura della Mostra del Cinema di Venezia 2025.
Emma Stone, che in Bugonia interpreta una donna accusata di essere un alieno, crede nell’esistenza degli alieni E ha spiegato anche perché: lo ha capito guardando la serie Cosmos di Carl Sagan.

Selfiegate!

La Casa Bianca potrebbe arrivare a bandire i selfie con il Presidente, per molte ragioni. Come l'innocuo formato fotografico sta diventando un affare di stato, anche per colpa di Samsung.

03 Maggio 2014

Il primo aprile scorso il giocatore di baseball David Ortiz ha incontrato Barack Obama. Seguendo un rito dei nostri tempi, l’atleta ha sfoderato il suo Samsung Galaxy Note 3 invitando il presidente statunitense a un “selfie”. “Farsi un selfie” è, per i meno informati, un protocollo sociale che ha conquistato l’intrattenimento e la politica: come spiegavamo circa un anno fa, si tratta di una tecnica fotografica sbocciata con la diffusione globale degli smartphone – e le loro fotocamere – per la quale il possessore del telefono si auto-fotografa solo o in compagnia. Il risultato finale è stato questo tweet, un notevole successo social con più di 40 mila retweet.

A prima vista è una normale foto frutto di una prassi ormai consolidata; come si è poi scoperto, però, si è trattata di una manovra pubblicitaria di Samsung, colosso tecnologico sudcoreano, che aveva pagato Ortiz per farsi lo scatto col presidente, e pochi mesi prima aveva sponsorizzato la serata degli Oscar durante la quale la presentatrice Ellen DeGeneres si era prestata a un selfie con un capannello di star hollywoodiane. Il tweet di Ellen è diventato in poche ore il messaggio più ritwittato nella storia del social network., altro successone social per Samsung.

Se DeGeneres è un’artista, una star televisiva, Obama è pur sempre il Presidente degli Stati Uniti d’America, qui “sfruttato” a sua insaputa a scopi commerciali. Nei giorni seguenti l’affare-Ortiz è cominciato a circolare il rumor di una «messa al bando dei selfie presidenziale», presto smentita dallo staff di Obama. Nonostante ciò si è comunque attivato un meccanismo mediatico dotato di vita propria e dal retrogusto di “scandalo” che è riesploso la scorsa settimana quando Obama ha rifiutato un selfie con una ragazzina di tredici anni durante una visita a Seoul: lo chiamano selfiegate (*), questo è il suo nome nella versione Casa Bianca, ed è un leggero fastidio che ha assunto sfumature di scandalo.

Ma come e quando il selfie è diventato un affare di stato? Per quanto riguarda il quando, la risposta è facile: più o meno nello scorso anno e mezzo, rimbalzando da programma televisivo a evento mondano, da Instagram alla televisione. Per il come, procederemo empiricamente: guardatevi attorno, sfogliate i vostri contatti digitali e inorridite davanti al diorama di faccioni in primo piano, osservate quanto una pessima idea (farsi un autoscatto) sia diventata prassi comune, quasi il timbro per ufficializzare un incontro. (Ho incontrato Pippo Baudo, selfie; questa è la mia nonnina tanto cara, selfie; questo invece è il mio vicino di casa, selfie.) Ha ragione Mat Honan di Wired quando dice che «il selfie si sta mangiando la cultura» diventando IL formato fotografico dei nostri tempi, buono per un sorrisone da campagna elettorale, per una foto profilo su Facebook, per la promozione di evento mondiale come, per uno Snapchat etereo da spedire agli amici. Ed è una parola, selfie, che, nata nel mondo dei giovani, si è diffusa anche in quello più attempato, abbattendo ogni barriera tecnologico-linguistica.

Come ogni fenomeno culturale anche questo raggiungerà però il suo apice e vivrà una crisi: in molti stanno aspettando il peak selfie, lo zenith di popolarità dell’autoscatto social al quale seguirebbe ineluttabile la decadenza. O il cambiamento. Perché è errato pensare alla “fine” del genere, visto che da fotografia si è trasformato in rito sociale, in gesto; è un abbraccio, e gli abbracci sono duri a morire. È invece lecito ipotizzare una regolarizzazione del selfie, un suo inserimento nel sistema culturale contemporaneo, specie se ad essere fotografato è un personaggio pubblico. Il selfiegate – continuiamo a chiamarlo così – segna la fase due del genere, quella della maturità. È un gesto social, certo, quindi sociale e di certo politico. Da qui il rifiuto di Obama alla povera ragazzina che chiedeva una foto, e da qui la rabbia della Casa Bianca quando ha scoperto che un’innocua foto aveva trasformato il Presidente Usa – l’uomo più potente del mondo – in un testimonial.

Come spiega una ricerca condotta nel Regno Unito, il selfie è uscito dal regno della fotografia amatoriale per diventare un oggetto culturale a sé stante, potentissimo, che rimbalza di medium in medium raggiungendo una copertura di pubblico globale. Il selfie degli Oscar, per esempio è stato visto dal 70% dei possessori di smartphone britannici e il 58% di questi ignorava fosse stato sponsorizzato da Samsung. Uno sponsored content perfetto: d’enorme successo eppure discreto. Per un Vip la tentazione è altissima: farlo non costa niente, è facile e risulta sempre un messaggio chiaro, positivo. Anche Narendra Modi, candidato conservatore in ascesa alle elezioni indiane in corso, deve averlo pensato quando si è fotografato al di fuori del seggio per gridare a tutto il mondo: “Ho votato!”. Peccato che nel selfie tenga in mano un fiore di loto, simbolo del suo partito, cosa che va contro la legge sulla propaganda politica nel giorno delle elezioni. Uno scatto che ha fatto aprire un’inchiesta ai suoi danni – il tutto per un tweet.

A ulteriore conferma di una cultura mondiale a trazione statunitense, in Italia il selfie sembra ancora navigare nelle placide acque del trendy, anche se si segnalano i primi segnali di un peak in avvicinamento: il selfie dilaga in qualsiasi programma televisivo (insieme all’utilissimo #hashtag di riferimento) e ha attratto pure l’attenzione di Gianni Alemanno, che pochi giorni fa pubblicato un video d’avanguardia (girato probabilmente con una fotocamera in fase di scioglimento) in cui invita i suoi elettori a mandargli autoscatti per far capire all’Europa chi comanda. Il documento è ipnotizzante: gli slogan vuoti e senza senso, il goffo balzo nel carrozzone delle “nuove tecnologie”, il formato verticale, la cornice che sembra essere mossa dal vento.

Un video che, oltre a essere un’ottima pubblicità per la troika, potrebbe rappresentare il peak selfie italiano. O almeno lo speriamo.
 

 
 
 
(*) È comunque d’uopo ricordare che Obama è lo stesso Obama che si è fatto un selfie durante il funerale di Nelson Mandel #funeralselfie #fail #WTF.

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