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Sam Altman, l’uomo più desiderato della Silicon Valley

In una settimana è stato licenziato e riassunto da OpenAI, costretta a questa decisione dalle proteste di investitori e dipendenti: storia del nuovo re di Big Tech, convinto che il mondo sarà salvato dall'AI. La sua, ovviamente.

di Studio

SAN FRANCISCO, CALIFORNIA - NOVEMBER 06: OpenAI CEO Sam Altman speaks during the OpenAI DevDay event on November 06, 2023 in San Francisco, California. Altman delivered the keynote address at the first-ever Open AI DevDay conference.(Photo by Justin Sullivan/Getty Images)

Come tutti i tech mogul, Sam Altman si considera un profeta. Tra Altman e gli altri c’è però una differenza: lui il Dio di cui si considera il profeta, il Dio di cui si è preso il compito di diffondere il Verbo, se lo sta costruendo con le sue mani. Il nome di questa divinità lo abbiamo scoperto il 30 novembre del 2022: ChatGPT, l’intelligenza artificiale specializzata nella conversazione con l’essere umano, il primo esemplare di una nuova tecnospecie che cambierà – ha già cambiato – le sorti del mondo. Non necessariamente in meglio: «Se questa tecnologia dovesse essere mal gestita, potrebbe causare problemi gravi». Lo ha detto Altman, ovviamente, durante un’audizione parlamentare davanti al Congresso degli Stati Uniti d’America: profeta anche di sventura, consapevole che non c’è figura letteraria più terrificante, e quindi più potente, di Cassandra. E come facciamo ad assicurarci che questa tecnologia non venga gestita male e causi gravi problemi, hanno chiesto ad Altman gli intimoriti rappresentanti del popolo americano. Anche in questo caso, la risposta è stata ovvia: fidatevi di me, ha detto il fondatore e Ceo di OpenAI. La stessa cosa l’ha detta anche ai dipendenti della sua azienda: fidatevi di me. Dalla fiducia alla fede il passo è breve, dopo averlo compiuto non si torna indietro. Ne abbiamo avuto una prova nell’ultima settimana, con le dimissioni annunciate dal 95 per cento dei dipendenti di OpenAI dopo la notizia del licenziamento di Altman deciso dal consiglio di amministrazione dell’azienda.

La ricostruzione dei fatti è ancora in corso. Probabilmente non sapremo mai cosa è successo davvero e OpenAI vs Sam Altman si andrà ad aggiungere alla vastissima letteratura sui misteri aziendali delle corporation americane. Quello che sappiamo, però, basta a capire perché negli Stati Uniti la storia è stata riassunta con una parola soltanto: “chaos”. Breve cronistoria: lo scorso venerdì Altman viene rimosso dal suo ruolo di amministratore delegato di OpenAI dal Cda dell’azienda, che spiega la decisione con la denuncia di Ilya Sutskever. Quest’ultima siede nel consiglio d’amministrazione ed è anche una delle co-fondatrici di OpenAI (attorno alla fondazione dell’azienda esiste una vera e propria mitologia, spesso misteriosa, talvolta indecifrabile: come si è trovato Altman, all’epoca appena 30enne, seduto al tavolo con Elon Musk, Peter Thiel, Reid Hoffman e gli altri re di Big Tech? Per gli ammiratori, l’assenza di una risposta a questa domanda aggiunge al fascino di Altman, partecipe per loro dello stesso sintomatico mistero di un Jay Gatsby), per questo è stata presa così sul serio quando ha pubblicamente affermato che Altman stava venendo meno alla sua promessa e sottovalutando i rischi ai quali lo sviluppo di ChatGPT avrebbe potuto esporre l’umanità, tutto per perseguire una sua non meglio definita «agenda».

Nei cinque giorni successivi, OpenAI annuncia il nome del nuovo Ceo – Emmett Shear, personaggio non giocante, comparsa nella storia altrui se mai ce n’è stata una – e Microsoft di voler assumere Altman per guidare gli Avengers dell’intelligenza artificiale, un supergruppo che l’azienda sta mettendo assieme per battere l’agguerritissima concorrenza. Lunedì mattina, quasi tutti gli 800 dipendenti di OpenAI annunciano di essere pronti a dare le dimissioni e andare a lavorare da Microsoft. In mezzo a questa baraonda, Altman non dice nulla, affida i suoi sentimenti e opinioni ai cuoricini che appone preciso sotto ogni minaccia di dimissioni fatta a mezzo social dai suoi ex dipendenti. Martedì mattina OpenAI conferma un accordo di massima per il ritorno di Altman nel ruolo di Ceo: una delle condizioni è il licenziamento di tutti i membri del consiglio di amministrazione che avevano votato a favore della sua cacciata.

In una settimana, Altman è diventato probabilmente il più potente, certamente il più conteso uomo della Silicon Valley. È difficile mettere in numeri l’importanza di un Ceo, ma nel suo caso ce n’è uno che viene considerato un’approssimazione affidabile: tredici miliardi, la cifra che Microsoft – uno dei principali investitori in OpenAI – pare fosse disposta a ritirare se il licenziamento di Altman fosse stato confermato. In seguito a questi eventi, Altman è diventato l’oggetto di un character study pubblico e collettivo (Elizabeth Weil è arrivata a definirlo l’Oppenheimer della nostra epoca in un lunghissimo profilo sul New York Magazine): cosa porta centinaia di dipendenti a comportarsi come fedeli e a seguire un dirigente come un profeta? Per le poche persone che conoscono intimamente Altman, la spiegazione sta in una sua peculiarissima forma di carisma, un misto di humblebrag e megalomania apparentemente capace di affascinare chiunque, dall’addetto alle pulizie all’hedge fund manager.

Altman è d’altronde un uomo che si è definito everything everywhere all at once: di se stesso dice che è un tech bro come tanti ma dice pure di possedere «una quantità di autostima al limite della psicopatologia». Ripete in continuazione che il suo sogno è perfezionare l’intelligenza artificiale infondendole i «valori umani». A chi gli chiede come ha intenzione di riuscirci, lui risponde che finora ha pensato a due metodi: un sondaggio globale in cui tutti i terrestri danno la loro definizione/lista di valori umani, definizione/lista che poi basterebbe “trasferire” dentro ChatGPT. Se il sondaggio non fosse fattibile per questioni burocratico-amministrative, Altman ha detto che può sempre chiedere a Jack Kornfield di scrivergli un saggio di una decina di pagine sui valori umani fondamentali, che poi basterebbe trasferire dentro ChatGPT. Jack Kornfield è il maestro di meditazione di Altman.

Aneddoti del suo passato sono già oggetto di passaparola, stanno componendo un mito tramandato oralmente come le leggende fondative delle sette religiose semi-clandestine. A tre anni era già capace di aggiustare il videoregistratore di famiglia, perché non c’è tech mogul che non sia stato anche enfant prodige. Alle superiori fece coming out davanti a tutta la scuola per far incazzare un’associazione studentesca di fanatici religiosi che voleva impedire una discussione sull’omofobia. Poi il cursus honorum di tutti i futuri capitani coraggiosi della Silicon Valley: l’università lasciata a metà, il garage di casa come incubatrice del genio che verrà, la prima start up venduta per finanziare l’impresa di domani, la menzione nei 30 under 30 di Forbes. A vent’anni, da manager ragazzino a capo di Y Combinator, uno dei più grandi fondi d’investimento specializzati in start up, aveva puntato un sacco di soldi su un’app semisconosciuta chiamata Airbnb.

È una storia, quest’ultima di Y Combinator, che in questi giorni è circolata moltissimo ed è stata ripresa anche da giornali come il Washington Post. Se ne deduce un costante della carriera di Altman e forse anche un tratto della sua fin qui indecifrabile personalità: prima o poi per lui arriva sempre il momento di essere licenziato. L’uomo che lo scelse come capo di Y Combinator si chiama Paul Graham, che nel 2019 prese un volo privato da Londra a San Francisco per togliersi lo sfizio di licenziare Altman di persona: lui, Altman, ancora oggi definisce l’altro, Graham, come il suo mentore, nonostante quest’ultimo lo abbia accusato di essere ossessionato dal potere e di coltivare sogni di dominazione globale, velleità da re oscuro del mondo. Le accuse di Graham all’epoca non stupirono nessuno: nel 2016 sul New Yorker era già uscito un ritratto di Altman in cui lo si definiva portatore di un destino manifesto e ci si chiedeva se il suo obiettivo fosse salvare il mondo o conquistare la Silicon Valley. Dopo i fatti degli ultimi giorni, la risposta a questa domanda sembra essere arrivata.