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14:29 venerdì 31 ottobre 2025
Le dimensioni del massacro in Sudan sono visibili nelle immagini satellitari Il Paese è devastato dal 2023 da una sanguinosa guerra civile su base etnica scatenata dalle Forze di Supporto Rapido (RSF).
Il colpo più duro all’ex principe Andrea non è stata la revoca del titolo, ma il linguaggio usato nel comunicato ufficiale Gli esperti sono rimasti scioccati dal linguaggio “brutale” utilizzato da Buckingham Palace per annunciare che Andrea non sarà più principe.
L’operazione anti narcos a Rio de Janeiro è stata la più sanguinosa nella storia della città 2.500 agenti delle forze speciali brasiliane hanno attaccato il noto gruppo di narcotrafficanti Commando rosso, provocando 138 morti.
La quarta stagione di The White Lotus sarà ambientata tra Parigi e la Costa Azzurra Saltato l’accordo commerciale con la catena di hotel Four Seasons, HBO sta cercando hotel di lusso vista Senna come set della nuova stagione.
Robert Pattinson sta per lanciare la sua carriera da cantante  L’attore di Batman e Mickey 17 ha registrato sette canzoni da solista, realizzando un’ambizione che coltiva sin dai tempi di Twilight. 
67, l’intercalare preferito della Generazione Alfa, è stata scelta come parola dell’anno anche se non significa niente Dictionary l’ha scelta come parola simbolo del 2025: è la prima volta che un termine senza un significato specifico ottiene questo titolo. 
Luigi Mangione in carcere ha iniziato ad ascoltare Taylor Swift e Charli XCX Lo ha scritto in una lettera in cui dice di «voler capire l’hype che c’è per Taylor Swift e Charli XCX» e di aver inserito "Cardigan" nella sua playlist.
Dopo Barbie, Warner Bros. ha annunciato che farà anche il film di Hello Kitty La pellicola animata non sarà solo per bambini e arriverà nelle sale a giugno 2028, ma non è chiaro se la protagonista parlerà oppure no.

Dal Papeete al Papocchio

Il leader leghista ha mandato in confusione l'intera stampa italiana e il suo stesso partito: psicoanalisi della crisi più pazza del mondo.

26 Agosto 2019

La crisi di Ferragosto avrà forse dimostrato, come ha sostenuto con il consueto acume Giuseppe Conte, che a Matteo Salvini manchi il senso delle istituzioni, di sicuro non il senso dello spettacolo. La Seconda Repubblica ci aveva abituato a voltafaccia improvvisi e bruschi colpi di scena, ma era niente in confronto al passaggio dall’ora delle decisioni irrevocabili, invocata da Salvini sulla spiaggia di Milano Marittima in cui ha deciso di staccare la spina, alla settimana delle dichiarazioni reversibili, quando il leader leghista ha più volte maldestramente tentato di riattaccarla. Rimanendoci fulminato, evidentemente. Solo così si può spiegare, infatti, il repentino passaggio dal Papeete al Papocchio, dalla crisi di governo alla crisi di nervi, dall’inarrestabile corsa verso le elezioni all’interminabile serie di giravolte, veroniche, doppi e tripli avvitamenti con cui il leader leghista ha mandato in confusione l’intera stampa italiana, e il suo stesso partito.

Nello spazio di una settimana, Salvini ha prima presentato una mozione di sfiducia al governo di cui faceva parte, e al quale nel frattempo chiedeva “compattezza”, per poi ritirarla giusto un minuto dopo avere dichiarato orgogliosamente in aula: “Rifarei tutto quello che ho fatto”. Lasciando così i suoi stessi sostenitori nel dubbio se intendesse dire che avrebbe ripresentato la mozione di sfiducia o che l’avrebbe ri-ritirata, o che magari avrebbe orgogliosamente rifatto entrambe le cose. Ipotesi quest’ultima che, pur essendo manifestamente la più insensata, o forse proprio per questo, appare anche come la più verosimile. Ma il vertice della sua arte dialettica il leader della Lega lo ha raggiunto nelle dichiarazioni successive, con cui ha esplicitamente accusato democratici e cinquestelle di avere lungamente premeditato e segretamente organizzato la crisi da lui innescata. Dando così l’impressione di avere finalmente trovato risposta all’interrogativo di quella vecchia vignetta di Altan in cui il protagonista diceva tra sé e sé: «Mi chiedo chi sia il mandante di tutte le cazzate che faccio».

D’altra parte, si capisce che il passaggio dal Papeete al Papocchio, per quanto rapido, non è stato indolore. E questo vale per Salvini, come è evidente, ma anche per il resto della politica italiana, prematuramente strappata alle ferie e costretta ancora una volta a cambiare registro, lessico e schema di gioco. Ma non abitudini. Nel Partito democratico, ad esempio, la minaccia delle elezioni anticipate, con la concreta possibilità di regalare al capo della Lega i famosi “pieni poteri”, ha determinato l’improvvisa svolta renziana a favore del dialogo con i cinquestelle (vedi intervista di Matteo Renzi al Corriere della sera dell’11 agosto: «Folle votare subito, prima governo istituzionale e taglio dei parlamentari»), ma anche la simmetrica contro-svolta zingarettiana (vedi intervento di Nicola Zingaretti sull’Huffington Post dello stesso giorno: «Con franchezza dico no»). A dimostrazione di un’antica legge della politica italiana, secondo cui niente è eterno, il veto di oggi può diventare il voto di domani e l’avversario più accanito il più prezioso degli alleati, ma un nemico di corrente è per sempre.

E così nel Pd, dove le correnti abbondano, quello che negli altri partiti si traduce in una semplice svolta, si trasforma in una vorticosa danza di gruppo, capace di far girare la testa e mettere fuori gioco in pochi minuti anche il dirigente più esperto. Figuriamoci Carlo Calenda. «Dopo presa di posizione di Prodi e ‘defilamento’ di Gentiloni», ha twittato sconsolato l’europarlamentare il 18 agosto «direi che oramai la maggioranza a favore del Governo con i 5S è prossima all’unanimità. Le ragioni della mia contrarietà le ho esposte. Continuare la battaglia non ha più senso. Attenderò gli eventi». Ma nonostante l’amarezza di un Calenda in versione Peppe er Pantera (che oggi sembra dire dei compagni di cui più si fidava, proprio come Vittorio Gassman nell’Audace colpo dei soliti ignoti: «M’hanno rimasto solo, quei quattro cornuti»), alla fine nel Pd un modo di tirare avanti tutti insieme, per quanto disfunzionale, si trova quasi sempre, e sembrano averlo trovato persino Renzi e Zingaretti.

Giuseppe Conte e Luigi Di Maio lo scorso 20 agosto in Senato. Foto Andreas Solaro/Afp/Getty Images

Il caso davvero clamoroso riguarda piuttosto la (ex?) coalizione gialloverde. A cominciare da quelli che dovevano aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, instaurare la democrazia diretta e mettere in stato d’accusa il presidente della Repubblica, e ora ripetono compiti l’intero formulario delle crisi di governo dell’era democristiana: dalla centralità del parlamento alla fondamentale importanza della stabilità, dal rispetto degli impegni contratti con i nostri partner internazionali all’esigenza di rassicurare i mercati, fino all’immancabile omaggio all’infinita saggezza del Capo dello Stato, che saprà bene cosa fare.

Ed è comunque niente in confronto all’ultima giravolta dei leghisti, che dopo avere provocato la crisi minacciando la rivolta nelle piazze se non avessero ottenuto immediate elezioni, non appena le hanno viste allontanarsi, hanno cambiato copione ancora una volta, costringendo analisti e commentatori al seguito, già sfiancati dagli ultimi tornanti, a ricominciare tutto da capo. Il Capitano assetato di vittorie si è riscoperto ufficiale e gentiluomo: la “guerra lampo” che doveva radere al suolo gli ex alleati è diventata la romantica attesa di un loro ripensamento.

I due non si parlano ancora, annotano i cronisti, ma hanno ricominciato a scambiarsi messaggini, e questo per Salvini è quello che conta. «Lui non si fida», avrebbe ribadito il leader leghista in una delle telefonate con i suoi parlamentari, «Io semplicemente gli ho fatto sapere che quando vuole sono pronto» (Corriere della sera, 25/8/19). «Se proprio dobbiamo dirci addio, almeno facciamolo guardandoci negli occhi. La proposta di Matteo Salvini a Luigi Di Maio dev’essere stata formulata più o meno così» (Repubblica, 26/8/19). Insomma, siamo già nella più classica delle commedie romantiche al tempo di Whatsapp, con il Capitano che compulsa il cellulare in cerca delle spunte alle sue offerte di pace, per verificare che l’altro abbia almeno ricevuto, se non letto; letto, se non risposto; ma se poi ha letto, dannazione, perché non risponde?

La ragione è ovvia, ben nota a tutti gli amanti del genere, e a tutti gli amanti in generale: perché non era solo, in quel momento, Di Maio, mentre pensava di risolvere la crisi più pazza del mondo, voluta da Salvini, con un’idea ancora più folle. Quella di far l’accordo col Pd, pensando di stare ancora insieme a lui.

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