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Avete visto Russian Doll?

È una strana serie con una bravissima protagonista.

08 Febbraio 2019

Le piccole dosi hanno un duplice effetto: da una parte pensi sempre di non averne abbastanza, dall’altra ti assuefai con una facilità maggiore. Mitridate si era persino abituato al veleno, a suon di prenderlo a piccole dosi. Il panorama delle serie tv diventa sempre più ampio, le serie hanno tantissime stagioni e proprio quando vedi la luce in fondo al tunnel, quando hai già la penna in mano per spuntarne almeno una, ecco che pure quell’una viene rinnovata. E poi gli episodi che per ogni stagione sono almeno una ventina, per di più a volte lunghi come dei veri e propri film. Per non parlare che ogni tre giorni ce ne sarà sempre una nuova assolutamente da non perdere e tu lì, a rincorrere gli status, i tweet dei tuoi amici e gli articoli di commento, un po’ per capirci qualcosa e poterne parlare a cena, ma senza leggerne troppo però, ché se per caso la vedi per davvero ti perdi il bello delle novità. È in questo panorama faticoso che iniziare su Netflix Russian Doll è una boccata d’ossigeno. Che bello quando un episodio di 25 minuti ti dà quel senso di compimento e di fine ma allo stesso tempo ti permette di dire «massì, vediamone un altro, che sarà mai». È così che in due giorni ho chiuso il capitolo Nadia Volvokov, l’ho depennata dalla lista e compiaciuta ho potuto dire «l’avete vista Russian Doll? Io l’ho finita ieri». Che senso di forza e compiutezza.

Nadia compie 36 anni proprio quella sera. Tutto inizia in un loft newyorkese, alla festa organizzata in suo onore da un’amica da cui lei si defila con un tipo per passarci la notte. È proprio andando verso casa che muore investita da un taxi nel tentativo di recuperare il suo gatto che aveva perso qualche giorno prima. Poco male, basta un attimo e si ritorna al party a casa dell’amica, nel bagno a lavarsi le mani e tutto deve ancora succedere. Nadia all’inizio non capisce, pensa a un deja vu, ma poi si rende conto che è tornata proprio lì, per davvero, e lei era davvero morta, solo che è tornata. E non succede una volta sola, ma così tante che alla fine il divertimento è vedere il nuovo modo in cui questa cosa accadrà. Morirà cadendo dentro una botola lasciata aperta sul marciapiede o giù dalle scale? Soffocata da un ossicino di pollo? Di freddo? Di infarto? Poco importa, per lei è solo una noia perdere tempo per ritrovarsi ancora una volta a lavarsi le mani in quel bagno, quella stessa sera. Per non perderne troppo basterà attrezzarsi andando in giro con delle protezioni da rugbista, ad esempio. Nel frattempo incontra Alan. Ha lo stesso problema, soltanto che lui è costretto a rivivere le poche ore che lo separano dalla sua proposta di matrimonio alla fidanzata di sempre che proprio quella sera gli dirà che lo tradisce da tempo. È così che due persone diversissime iniziano a cercare di capire cosa stia accadendo nelle loro vite. Devono sistemare le cose per poter andarsene per sempre, come dei Ghost whisperer qualunque? Sono una versione più sobria di una coppia di vampiri? C’entra la magia? C’entra che il loft un tempo era un luogo religioso? C’entrano gli specchi?

In Russian Doll c’entra un po’ tutto e un po’ niente. Tieni a mente elementi su elementi perché le serie tv ti hanno insegnato a farti dei post-it mentali su quel tipo che compare per cinque minuti nel secondo episodio perché nel dodicesimo tornerà e sarà decisivo e tu ti chiederai chi è e da dove spunta e perché tutti lo conoscono già mentre tu no, mica te lo ricordi.

Natasha Lyonne, classe 1979, in una scena della serie

In Russian Doll puoi tranquillamente dimenticarti di quasi tutto quello che vedi. Quasi tutto è ininfluente. Quello che vedi è esattamente quello che è. Il clochard è un furbacchione e forse non è nemmeno così carino come a un certo punto ti era sembrato. Il gatto resterà un gatto e non sarà strategico per nessuna spiegazione alternativa. La madre di Nadia serve soltanto a dare un ennesimo ruolo borderline a Chloë Sevigny e le scene sovrannaturali – perché ci sono anche queste, sì – saranno pressoché inutili. Non si aprono stargate, non ci sono luccicanze, nessuno salva nessuno, o quasi. C’è solo troppa carne al fuoco e tu devi capire cosa tenere fino a quando decidi di non tenere niente se non le risate e quello che di simile a te vedi in Nadia.

La piacevolezza di Russian Doll sta essenzialmente nella bravura di Natasha Lyonne (che ha co-scritto la sceneggiatura insieme a Amy Poehler e Leslye Headland), il suo tenere la parte con forza, dando connotati e tic a una 36enne indipendente, certamente cinica e poco incline alla riconoscenza e al tenere conto dell’altro. Nadia è un personaggio ruvido, una donna dalla voce roca, che fuma tante sigarette e abborda con una presa in giro il ragazzo che si porterà a casa. Una donna con una casa disordinata che fa un lavoro solitamente maschile, se si può ancora dire: l’ingegnere di videogiochi. Forse è questa la vera dimensione di senso di questa rinascita, delle vite che non finiscono mai, come in un videogame dove basta inserire una monetina o premere start per ricominciare lo schermo. Ma proprio come un videogioco, dove quando ricominci i primi passi li fai con disinvoltura, è quando ti ritrovi davanti il mostro o devi saltare che serve sapere quale combinazione di tasti usare. Nella vita vera è affrontare il proprio passato o lasciare andare qualcuno, smetterla con l’ordine compulsivo (o cominciare) e con i motivational per credere in sé stessi. Come sempre più spesso accade, anche in Russian Doll la protagonista femminile è più sfaccettata e ricca di quello maschile, che nelle sue caratterizzazioni assomiglia più a un bambinone che ha tanto bisogno di una spalla e di aiuto più che a un uomo fatto e finito.

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