Stili di vita | Consumi
Se il mondo sta finendo, tanto vale accendersi un’ultima sigaretta
Le vediamo nelle serie, nei film, nelle foto delle celebrity: dopo anni di cancellazione, le sigarette sono tornate a essere un consumo diffusissimo e, soprattutto, cool.
A quanto pare, sembra che siano tornate di moda le sigarette. Fumare è di nuovo cool, l’hanno scritto di recente il Guardian, l’Independent e il Post. Chi l’avrebbe mai detto? Le sigarette, fino a poco fa, erano un residuo del Novecento, come i francobolli e la cravatta, di quando Sandro Ciotti, radiocronista sportivo, con la sua voce arrochita raccontava che «la migliore sigaretta della giornata è la prima, perché è la più lontana dall’ultima». Poi la scienza ha scoperto l’incidenza del fumo sulle malattie polmonari, e nonostante per decenni le industrie del tabacco abbiano provato a insabbiare le ricerche (come si racconta nel film Thank You for Smoking) sono iniziate le campagne di prevenzione – dato empirico: tutti i chirurghi che conosco fumano. Il sigaro e la pipa hanno conservato una certa figaggine di nicchia, forse per l’eleganza dei loro affezionati. Ma le sigarette, nel nuovo millennio? Sempre più bleah. Finiti i tempi dove i giganti del settore, il venerdì sera in Corso di Porta Ticinese a Milano, mandavano hostess a regalare pacchetti da dieci a minorenni ubriachi. Niente più sponsorizzazioni sulle Formula 1. Le sigarette sembravano retrocesse a stupido vizio per zombie dipendenti dalla nicotina, tristi come uno stanzino puzzolente per aspirare due boccate dentro il terminal di un aeroporto, buone solo a farti sentire in colpa. Stigmatizzate, vietate, nemiche di uno stile di vita rischiarato da yoga, insalatone e dieta vegetariana.
Per un po’, addirittura, è parso che le sigarette potessero essere rimpiazzate dalle loro omologhe elettroniche. Nonostante il caratteristico odore di flatulenza, le sigarette elettroniche non impuzzano i capelli e i vestiti. Pochi anni fa sono spuntati tutti quei negozi che vendono estratti da vaporizzare al lampone o al cioccolato. Nei tabaccai si sono fatte avanti le hostess che ti chiedono se fumi, e ti propongono nel caso di passare agli strumenti svapatori. Oggi però svapare, come il padel, non è più molto di tendenza. Non sappiamo nulla degli effetti a lungo termine sulla salute, non ci sono studi esaurienti. Inoltre, azzardiamo, la sigaretta elettronica è anti-estetica, forse anche un po’ da sfigati. Se le sigarette possono vantare come testimonial tutti gli attori della Nouvelle Vague, svapare in pubblico fa subito Fedez.
E quindi oggi le sigarette, nonostante i difetti e le controindicazioni, in barba ai moralisti, danno l’idea di essere tornate in auge. Si fuma in nove dei dieci film più importanti candidati agli ultimi Oscar. Ben Affleck, con le sue pause sigaretta sconfortate e le sue stecche al mentolo, ha sicuramente contribuito al romanticismo del gesto. C’è stato il meme di Jack Nicholson che si fuma una sigaretta in mezzo all’oceano, con gli occhiali da sole e la mano destra che spunta dall’acqua. Leonardo Di Caprio e Kate Moss non hanno intenzione di smettere. Secondo Charli XCX, per essere brat è fondamentale un pacchetto di sigarette e un accendino Bic. Forse c’entra anche un po’ il ritorno degli Oasis, e la nostalgia degli anni Novanta. Un importante fotografo ha detto al Guardian che le celebrità per decenni hanno chiesto di cancellare le foto dove fumano, mentre oggi se ne fregano. Anche fra le nuove generazioni sta tornando l’estetica tabagista. Oltre alla già citata Charli XCX, sono state pizzicati a fumare Addison Rae, Dua Lipa (che però ha detto di aver smesso), entrambe le figlie di Obama, Paul Mescal (che ha detto di aver continuato a fumare e bere anche mentre si allenava per fare il fisico da Gladiatore II). La Nuova Zelanda ha revocato il divieto di fumo per tutti i nati dopo il 2008, una legge di due anni fa. In Italia un quarto dei cittadini fuma una media di dodici sigarette al giorno. A poco è servito l’appello di David Lynch, costretto a casa da un gravissimo enfisema causato da una vita – ha detto di aver preso il vizio a otto anni – di tabagismo, a non prendere mai in mano una sigaretta.
Fra questi, una folta pattuglia di politici. È finita l’era di Berlusconi, che sceglieva solo candidati non fumatori. Oggi il vizio è diffusissimo tra i rappresentanti delle istituzioni. Giorgia Meloni ha ripreso a fumare, dopo tredici anni d’astinenza, l’ha raccontato rammaricata nel suo libro La versione di Giorgia. Salvini dice di aver smesso, ma l’ha già annunciato diverse volte in passato, e con tutti quei mirto in corpo viene difficile pensare che non si accenda una bionda ogni tanto. Calenda, nel suo tour elettorale in BlaBlaCar, prima delle scorse elezioni politiche, aveva specificato ai potenziali autostoppisti che lui in macchina fuma. Per Schlein è stato più difficile dire a suo padre che fuma di quanto non lo sia stato raccontargli del suo orientamento sessuale. Nel mondo dello spettacolo, poi, non ne parliamo: fumano, per esempio, Carlo Verdone e Matilda de Angelis, quasi tutti i rapper e Gino Paoli (che ha dichiarato «Fumare fa male? Sono arrivato a 88 anni»), Vasco Rossi e Emma Marrone, Belén Rodriguez e Maria De Filippi.
Anche i calciatori fumano. Szczcesny, ex portiere della Juventus, passato la scorsa estate al Barcellona, è stato immortalato a ottobre con una paglia in spogliatoio. C’è un aneddoto su un calciatore che descrive benissimo le piccole ricompense dei fumatori più convinti, irrimediabili edonisti, innamorati del rituale. Nell’estate del 2002, il Milan partì per una tournée negli Stati Uniti. La maggior parte dei giocatori, però, era via con la nazionale, così il Milan arruolò in prestito atleti di altre squadre. Fra questi Dario Hubner, leggenda del calcio di provincia arrivato tardi al calcio professionistico, ex carpentiere, celebrato da Calcutta in una canzone. Durante l’intervallo di una partita Ancelotti, allenatore del Milan, cerca Hubner per dargli qualche consiglio. Lo trova nelle docce dello spogliatoio, con una Marlboro rossa in una mano e una lattina di birra, portata dall’hotel, nell’altra. «Ma cosa fai Dario, ti giochi un posto nel Milan e ti fai beccare a fumare?». E Hubner: «Mister, è una vita che lo faccio, mi serve per rendere al meglio. Vuole una sigaretta?». Ancelotti rise, accettandone una.
Da dove viene questa ritrovata affezione per un passatempo malsano, il meno stordente fra i vizi? Fumare è notoriamente dannoso, e non ha nessun effetto sulla nostra percezione della realtà. Tecnicamente inutile. Diciamocelo, viviamo tempi stressanti. La pandemia, le guerre, l’inflazione. Si percepisce un diffuso nichilismo, un desiderio di licenziosità nei costumi, forse in risposta alla svolta a destra delle istituzioni governative. Mettiamoci la sfiducia verso la scienza, il sospetto nei confronti dei vaccini, l’emergenza climatica, Elon Musk al potere: che ce ne frega di mantenerci sani e in forma, se tutto intorno va a rotoli? Moriremo più in fretta, ma con stile. Come diceva Woody Allen: «Ho smesso di fumare. Vivrò una settimana di più, e in quella settimana pioverà a dirotto».