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02:25 sabato 20 dicembre 2025
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Un vecchio Nokia non ci salverà

L'annuncio del ritorno del 3310 ha raccolto lodi ed entusiasmo, ma non è forse soltanto il segno di una crisi di idee?

01 Marzo 2017

L’evento più discusso del Mobile World Congress, la fiera della telefonia più grande del mondo in corso a Barcellona, non è stato il disvelamento di un nuovo device futuribile in grado di meraviglie asimoviane, o la presentazione di un nuovo sistema operativo avveniristico, di sensori intelligenti o di applicazioni dal funzionamento rivoluzionario: a monopolizzare titoli di giornali e post sui social network è una madeleine tecnologica, il ritorno del Nokia 3310, il “telefono indistruttibile” che ha segnato i consumi tech dell’inizio del Duemila. La mossa ha tutti i crismi del colpo di marketing che poggia sulla più affidabile delle nostalgie: il design sarà ispirato da quello dello strumento spartano che ha fatto da battesimo mobile per due generazioni, la batteria in standby durerà un mese, ci sarà addirittura Snake! Come prevedibile, le reazioni entusiaste si stanno sprecando, le lodi all’iniziativa non si contano più, e Hmd Global – il marchio finlandese che l’anno scorso ha rilevato la licenza Nokia da Microsoft – probabilmente venderà più di qualche esemplare del nuovo 3310.

Il ritorno del “dumbphone” – come da definizione anglofona dei telefoni “non smart”, cioè pre-iPhone – può essere letto da molte prospettive. Mentre scrivo, un contatto su Facebook pubblica uno status che recita ironicamente: «Se prendo il nuovo 3310, quante possibilità ho di tornare in prima media e sistemare definitivamente alcune faccende?». Il gioco di Hmd è scoperto, e quindi onesto, ma il punto è proprio questo: il nuovo Nokia vuol essere un ritorno a un mondo perduto, dove “social” era una definizione da contesti accademici, o al limite giornalistici, e nessuno poteva confondere le buste dei vincitori della notte degli Oscar perché stava twittando una foto di Emma Stone. Diventare adulti implica diverse cose più e meno spiacevoli o gravose: maggiori responsabilità, affitti e mutui da pagare, obblighi a cui non sottrarsi. E nella contemporaneità non esiste un sinonimo di responsabilità più preciso di “smartphone”, il luogo fisico in cui si scrivono email di lavoro a orari imprecisati, sulle cui app social si cerca di mantenere un’immagine riconoscibile o quantomeno coerente, e il magazzino inflessibile di sveglie, promemoria e chat WhatsApp che richiamano ai propri doveri. Potendo, non sarebbe meglio tornare al 2000 pre-Torri gemelle, alla sua tecnologia esteticamente e culturalmente improntata al laissez faire?

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Magari sì (anche se non è detto, quando non c’era l’iPhone, esistevano altri problemi: è il lato debole di qualsiasi meccanismo nostalgico), ma il fatto è che non possiamo tornare indietro. E non sarà certo un telefono senza app a cambiarlo. È comprensibile che il nuovo Nokia intercetti un sentimento diffuso, come nota Ian Bogost sull’Atlantic: questo «antidoto allo smartphone», come lo definisce, ha il merito difficilmente negabile di smuovere le acque di una società «angosciata dalla tecnologia» (non in quanto tale, ovviamente, ma per via delle sue crescenti implicazioni negative, dalla “fear of missing out” ai troll trumpian-grillini). Bogost va oltre, spiegando che non soltanto il 3310 si rivelerà la soluzione ideale in una gamma di occasioni sorprendentemente vasta – e se iniziassimo a usarlo come nuovo telefono di casa? E poi: perché andare a fare rafting con un iPhone 7 da 900 euro? – ma potrebbe anche rappresentare la prima tappa verso «un futuro alternativo, impensato» in cui una mobilità tecnologica diversa avrà preso il posto dell’ecosistema Apple e Google.

Eppure, più che indicare la direzione di un avvenire radioso, la riesumazione del Nokia 3310 sembra segnalare un presente senza idee, rimasto incagliato in acque limacciose dopo anni di spinte innovative che si sono progressivamente esaurite. Il Guardian ha scritto che tutto questo forse accade perché «gli smartphone sono diventati noiosi. […] Se ne rompi uno, sai che il prossimo che comprerai farà più o meno le stesse cose»: abbiamo raggiunto il “peak smartphone”, e la nostra luna di miele futurista con questi device, dieci anni dopo i keynote visionari dell’uomo col maglione girocollo, probabilmente è finita.

Ma ci sono motivi per dire di no al revival tecnologico: il primo è che si tratta di una soluzione semplice, conservativa, che può andar bene per un’occasionale rimpatriata, ma giocoforza non potrà risolvere la quotidianità. Il secondo è che non funziona quasi mai: nel 2015 un tentativo di riportare il brand Palm ai fasti di un tempo era finito nel nulla; BlackBerry (che ora è un marchio della società cinese Tlc, e prova anch’esso a tornare con uno strano ibrido tra smartphone e se stesso) nello stesso anno aveva già provato a puntare sulla nostalgia tech, con risultati disastrosi finiti nella vendita ai cinesi; Sony ha ridisegnato il suo epico Walkman una decina di volte, senza mai riuscire a riconquistare i suoi antichi adepti. La verità è che l’evoluzione tecnologica, così come il digital fashion, sono legati a doppio filo alle necessità di un dato periodo: gli schermi più grandi sono stati la risposta a contenuti in espansione capillare, così come in precedenza i micro-telefoni erano stati risposte alla mania della compattezza. La vera domanda da porsi, quindi, è: di cosa abbiamo bisogno, adesso?

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