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La casa di Babbo Natale in Finlandia quest’anno è assediata non solo dai turisti, ma anche dalle truppe Nato L’escalation al confine russo ha trasformato la meta turistica natalizia della Lapponia in un sito sensibile per l’Alleanza Atlantica.
Il governo americano vuole che i turisti rivelino i loro ultimi 5 anni di attività sui social per ottenere il visto Vale anche per i turisti europei che dovranno consegnare la cronologia dei loro account su tutte le piattaforme social utilizzate.
Ora su Letterboxd i film si possono anche noleggiare e sono già disponibili molte chicche introvabili altrove I titoli disponibili saranno divisi in due categorie: classici del passato ormai introvabili e film recenti presentati ai festival ma non ancora distribuiti su altre piattaforme.
Da quando è stata introdotta la verifica dell’età, nel Regno Unito il traffico dei siti porno è calato ma è anche raddoppiato l’utilizzo di VPN Forse è una coincidenza, ma il boom nell'utilizzo di VPN è iniziato subito dopo l'entrata in vigore della verifica dell'età per accedere ai siti porno.
Secondo una ricerca, nel 2025 abbiamo passato online più tempo che durante i lockdown Oramai i "vizi" presi durante la pandemia sono diventati abitudini: ogni giorno passiamo online tra le quattro e le sei ore.
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.

Cosa resterà di Radio Radicale

Ritratto antropologico dell'emittente che rischia di chiudere.

17 Aprile 2019

La radio dei secchioni, dei liberali, degli habitué della rassegna stampa. Ma anche la radio dei matti, dei mangiapreti, dei bastian contrari, degli esterofili, dell’élite che alla democrazia diretta preferisce la democrazia in diretta. Una radio che si ascolta e si difende anche un po’ per posa, per sparigliare le carte e con un pizzico di affetto vero, anche quando si è dall’altra parte della barricata, infatti per salvarla hanno firmato una petizione 24 deputati leghisti. Radio Radicale è molto più della radio del Partito Radicale, cosa che peraltro tecnicamente non è, visto che l’editore è l’Associazione politica nazionale Lista Marco Pannella. Attorno a sé ha raccolto, come l’ha definita qualcuno, «una galassia», una nicchia che non sarà enorme ma è certamente più grande di una forza politica che non supera la soglia di sbarramento. Radio Radicale è stata, e si spera continuerà ad essere, una bolla che funge da collettore di bolle.

Si spera, dico, perché il rischio è che Radio Radicale diventi, dopo Rai Movie, un’altra vittima del governo del cambiamento. Proprio in questi giorni il sottosegretario all’Editoria, Vito Crimi, ha annunciato, parlando in un convegno, «l’intenzione del governo, mia e del Mise è di non rinnovare la convenzione con Radio Radicale». Nata nel 1976, dal 1994 Radio Radicale gode di una convenzione per la trasmissione delle sedute del Parlamento: senza quella convenzione, e i finanziamenti che ne conseguono, rischia di chiudere, e anche a breve. «Radio Radicale riceve 10 milioni di finanziamento annui per la convenzione, che se non rinnovata scade a maggio, e quattro milioni per contributi pubblici all’editoria, di cui si sa già verranno a meno a partire dal gennaio del 2020», spiega Annarita Digiorgio, membro del comitato nazionale di Radicali Italiani. Non esistono altre forme di finanziamento: «Se salta la convenzione, si chiude, non c’è modo di mantenersi», prosegue la radicale. «Dicono che deve mantenersi con la pubblicità, ma come puoi interrompere le sedute parlamentari con la pubblicità? Non si può fare materialmente».

Ogni giorno Radio Radicale dedica circa dieci ore del palinsesto alle sedute di Camere, Senato e Commissioni varie. Poi ci sono i notiziari, i convegni, i congressi, le interviste, le rassegne stampa, variamente declinate in “stampa e regime”, “stampa estera”, “stampa cinese”. Inconfondibile la lettura mattutina di Massimo Bordin, con la cadenza e i tic così lontani da quelli che solitamente si addicono a un giornalista radiofonico, eppure così azzeccati. Una volta c’erano i discorsi fiume di Pannella, genere letterario a sé stante, e vagamente situazionista. C’erano i leggendari microfoni aperti, che hanno toccato lo zenit, o il nadir, a seconda di come la si vede, con la celebre telefonata a Rutelli che parlava del buco dell’ozono: a questa breve parentesi soprannominata “radio parolaccia” ha dedicato un approfondimento Il Post. Tutto archiviato, meticolosamente, a beneficio dei posteri, e più banalmente di chi non si rassegna a un dibattito politico abbrutito dalla memoria breve.

Avere accesso all’archivio sonoro di Radio Radicale significa «ascoltare la storia», scriveva qualche decennio fa Mavis Toffoletto sulla rivista de Il Mulino. Dopo un breve giro di telefonate tra amici e conoscenti, mi sono resa conto che è proprio l’archivio a essere considerato il valore aggiunto più grande, quello che più mancherebbe di Radio Radicale se davvero dovesse chiudere. «Inestimabile», lo definisce una collega, «un autentico patrimonio dell’umanità» me l’ha descritto, sconsolato, un conoscente. Un’altra cosa di cui mi sono resa conto, chiedendo in giro, è che Radio Radicale, pur nel suo essere così “di niccha”, ha avuto qualcosa da dire a una fascia incredibilmente trasversale di persone che conosco e ha avuto, per proprietà transitiva, molto da dire a me.

Mio padre baby boomer berlusconiano l’ha sempre ascoltata in macchina. Un vecchio amico che fino a qualche anno fa leggeva il Fatto mi telefonava facendo l’imitazione di Bordin. Un avvocato un po’ rampante e leccato mi ha confessato, una volta, di non concepire barba e caffè senza Radio Radicale. Altri ancora me l’hanno definita come «quel posto dove puoi sentire qualsiasi voce purché sia argomentata, dove puoi sentire un approfondimento vero, senza strombazzamenti o interruzioni» e, mentre la sentivo, ho pensato che era un po’ buffa questa cosa, visto che se c’è un difetto che possiamo rimproverare ai radicali è proprio quello di avere ceduto alla tentazione di buttarla in caciara, però è vero. Radio Radicale piace a sinistra, una certa sinistra, e piace a destra, una certa destra, piace a certi intellettuali e a certi esponenti del ceto produttivo, perché mette insieme tutto ciò ruota attorno all’identità liberale, cosa che in Italia è cosa per pochi e dunque coraggiosa, ma anche un’idea un po’ vaga e a tratti cialtrona. Radio Radicale è ovunque, tranne che nel Paese reale.

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