Hype ↓
17:42 giovedì 4 dicembre 2025
Dario Vitale lascia Versace, appena nove mesi dopo esserne diventato direttore creativo Era stato nominato chief creative officer del brand, appena acquisito dal gruppo Prada, a marzo di quest'anno.
L’unica tappa italiana del tour di Rosalìa sarà a Milano, il 25 marzo Sono uscite le date del tour di Lux: partirà il 16 marzo 2026 da Lione e si chiuderà il 3 settembre a Portorico.
Secondo una ricerca, l’inasprimento delle leggi sull’immigrazione in Europa sta facendo aumentare e arricchire i trafficanti di essere umani Il Mixed Migration Centre ha pubblicato un ampio studio in cui dimostra che le politiche anti immigrazione stanno solo aggravando il problema che avrebbero dovuto risolvere.
Fontaines D.C., Kneecap e molti altri musicisti hanno fondato un’alleanza di artisti per contrastare l’estrema destra Si chiama Together e ha già indetto una grande manifestazione per il 28 marzo a Londra.
C’è un’azienda che sta lavorando a un farmaco simile all’Ozempic per far dimagrire i gatti in sovrappeso Una casa farmaceutica sta sperimentando un impianto a rilascio costante di GLP-1 per aiutare i gatti obesi.
Paul Thomas Anderson ha rivelato i suoi film preferiti del 2025 e ha detto che non è affatto vero che questo è stato un pessimo anno per il cinema Secondo il regista, ci sono diversi film (oltre il suo Una battaglia dopo l'altra) usciti quest'anno di cui dovremmo essere molto contenti.
L’ansia da Spotify Wrapped è talmente grave che migliaia di persone hanno creduto a una bufala su una versione modificabile disponibile a pagamento Evidentemente, quella di scoprire di avere dei brutti gusti musicali scorrendo il proprio Wrapped è una paura più diffusa di quanto ci si immagini.
Jafar Panahi ha detto che dopo gli Oscar tornerà in Iran e andrà di nuovo in carcere Mentre era a New York per una premiazione, ha scoperto di essere stato condannato a un anno di carcere per «attività di propaganda».

Cosa resterà di Radio Radicale

Ritratto antropologico dell'emittente che rischia di chiudere.

17 Aprile 2019

La radio dei secchioni, dei liberali, degli habitué della rassegna stampa. Ma anche la radio dei matti, dei mangiapreti, dei bastian contrari, degli esterofili, dell’élite che alla democrazia diretta preferisce la democrazia in diretta. Una radio che si ascolta e si difende anche un po’ per posa, per sparigliare le carte e con un pizzico di affetto vero, anche quando si è dall’altra parte della barricata, infatti per salvarla hanno firmato una petizione 24 deputati leghisti. Radio Radicale è molto più della radio del Partito Radicale, cosa che peraltro tecnicamente non è, visto che l’editore è l’Associazione politica nazionale Lista Marco Pannella. Attorno a sé ha raccolto, come l’ha definita qualcuno, «una galassia», una nicchia che non sarà enorme ma è certamente più grande di una forza politica che non supera la soglia di sbarramento. Radio Radicale è stata, e si spera continuerà ad essere, una bolla che funge da collettore di bolle.

Si spera, dico, perché il rischio è che Radio Radicale diventi, dopo Rai Movie, un’altra vittima del governo del cambiamento. Proprio in questi giorni il sottosegretario all’Editoria, Vito Crimi, ha annunciato, parlando in un convegno, «l’intenzione del governo, mia e del Mise è di non rinnovare la convenzione con Radio Radicale». Nata nel 1976, dal 1994 Radio Radicale gode di una convenzione per la trasmissione delle sedute del Parlamento: senza quella convenzione, e i finanziamenti che ne conseguono, rischia di chiudere, e anche a breve. «Radio Radicale riceve 10 milioni di finanziamento annui per la convenzione, che se non rinnovata scade a maggio, e quattro milioni per contributi pubblici all’editoria, di cui si sa già verranno a meno a partire dal gennaio del 2020», spiega Annarita Digiorgio, membro del comitato nazionale di Radicali Italiani. Non esistono altre forme di finanziamento: «Se salta la convenzione, si chiude, non c’è modo di mantenersi», prosegue la radicale. «Dicono che deve mantenersi con la pubblicità, ma come puoi interrompere le sedute parlamentari con la pubblicità? Non si può fare materialmente».

Ogni giorno Radio Radicale dedica circa dieci ore del palinsesto alle sedute di Camere, Senato e Commissioni varie. Poi ci sono i notiziari, i convegni, i congressi, le interviste, le rassegne stampa, variamente declinate in “stampa e regime”, “stampa estera”, “stampa cinese”. Inconfondibile la lettura mattutina di Massimo Bordin, con la cadenza e i tic così lontani da quelli che solitamente si addicono a un giornalista radiofonico, eppure così azzeccati. Una volta c’erano i discorsi fiume di Pannella, genere letterario a sé stante, e vagamente situazionista. C’erano i leggendari microfoni aperti, che hanno toccato lo zenit, o il nadir, a seconda di come la si vede, con la celebre telefonata a Rutelli che parlava del buco dell’ozono: a questa breve parentesi soprannominata “radio parolaccia” ha dedicato un approfondimento Il Post. Tutto archiviato, meticolosamente, a beneficio dei posteri, e più banalmente di chi non si rassegna a un dibattito politico abbrutito dalla memoria breve.

Avere accesso all’archivio sonoro di Radio Radicale significa «ascoltare la storia», scriveva qualche decennio fa Mavis Toffoletto sulla rivista de Il Mulino. Dopo un breve giro di telefonate tra amici e conoscenti, mi sono resa conto che è proprio l’archivio a essere considerato il valore aggiunto più grande, quello che più mancherebbe di Radio Radicale se davvero dovesse chiudere. «Inestimabile», lo definisce una collega, «un autentico patrimonio dell’umanità» me l’ha descritto, sconsolato, un conoscente. Un’altra cosa di cui mi sono resa conto, chiedendo in giro, è che Radio Radicale, pur nel suo essere così “di niccha”, ha avuto qualcosa da dire a una fascia incredibilmente trasversale di persone che conosco e ha avuto, per proprietà transitiva, molto da dire a me.

Mio padre baby boomer berlusconiano l’ha sempre ascoltata in macchina. Un vecchio amico che fino a qualche anno fa leggeva il Fatto mi telefonava facendo l’imitazione di Bordin. Un avvocato un po’ rampante e leccato mi ha confessato, una volta, di non concepire barba e caffè senza Radio Radicale. Altri ancora me l’hanno definita come «quel posto dove puoi sentire qualsiasi voce purché sia argomentata, dove puoi sentire un approfondimento vero, senza strombazzamenti o interruzioni» e, mentre la sentivo, ho pensato che era un po’ buffa questa cosa, visto che se c’è un difetto che possiamo rimproverare ai radicali è proprio quello di avere ceduto alla tentazione di buttarla in caciara, però è vero. Radio Radicale piace a sinistra, una certa sinistra, e piace a destra, una certa destra, piace a certi intellettuali e a certi esponenti del ceto produttivo, perché mette insieme tutto ciò ruota attorno all’identità liberale, cosa che in Italia è cosa per pochi e dunque coraggiosa, ma anche un’idea un po’ vaga e a tratti cialtrona. Radio Radicale è ovunque, tranne che nel Paese reale.

Articoli Suggeriti
Social Media Manager

Leggi anche ↓
Social Media Manager

Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.