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Una ricerca ha dimostrato che la crescita economica non è più legata all’aumento delle emissioni di CO₂ E, di conseguenza, che la transizione energetica non è un freno all'aumento del Pil, neanche nei Paesi più industrializzati.

10 anni di Punta della Dogana

Insieme a Palazzo Grassi, il museo di François Pinault ha ospitato alcune delle mostre di arte contemporanea più importanti in Italia.

di Studio
26 Marzo 2019

Sopra all’edificio da cui Punta della Dogana prende il nome c’è una torre sovrastata da una statua che rappresenta la Fortuna e ruota indicando la direzione del vento, simboleggiando l’instabilità della sorte. Ai tempi della Repubblica di Venezia il complesso seicentesco che sorge sul sottile triangolo che divide il Canal Grande e il Canale della Giudecca veniva utilizzato come sede doganale per il commercio navale. Negli anni ‘80 del Novecento il grande edificio cadde in disuso, finché un miliardario e collezionista francese cambiò il suo destino: nel 2007 François Pinault decise di trasformarlo in un centro di arte contemporanea collegato a Palazzo Grassi, acquistato nel 2005.

Tadao Ando, l’architetto che ha disegnato gli spazi di Punta della Dogana, nel 2009 (foto di Alberto Pizzoli/Afp/Getty Images)

L’uomo che bisogna ringraziare per alcune delle più belle mostre mai ospitate dal nostro Paese – compresa quella in corso a Palazzo Grassi, la prima mostra italiana completamente dedicata Luc Tuymans, uno dei migliori pittori viventi –  ha ormai 83 anni e 4 figli. Nel 1963 fondò a Rennes la sua prima impresa nel campo del commercio di legname e riuscì a potenziarla a tal punto che nel 1988 venne quotata in Borsa. Nel 1999 entrò nel settore dei beni di lusso, acquisendo il controllo del gruppo Gucci (Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Boucheron e altri marchi). Quattro anni dopo lasciò la direzione operativa al figlio François-Henri che trasformò il gruppo, ribattezzato Kering nel 2013, in uno dei leader mondiali nel settore del lusso (oggi ha Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni e altri). Parallelamente, nel 1992 Pinault padre fondò Artémis, società di capitali interamente controllata da lui e dalla sua famiglia. Artémis possiede anche la casa d’aste Christie’s, la rivista Le Point, la squadra di calcio Stade Rennais, la compagnia crocieristica di lusso Ponant e Artémis Domainem che comprende numerosi vigneti della regione di Bordeaux.

La Collezione Pinault è una delle cinque collezioni d’arte moderna e contemporanea più grandi del mondo ed è costituita da pitture, sculture, fotografie e video appartenenti ai movimenti artistici dell’Arte Povera, del Minimalismo, del Post-minimalismo e della Pop Art: più di tremila opere in tutto, che spaziano dal XX al XXI secolo. Il progetto culturale di Pinault si articola intorno a tre assi: l’attività museale a Venezia, un programma espositivo fuori sede, iniziative di sostegno agli artisti e di promozione della storia dell’arte. Le mostre a Venezia prevedono il coinvolgimento attivo degli artisti, invitati a creare opere in situ o a realizzare commissioni specifiche. A Palazzo Grassi e Punta della Dogana si è aggiunto nel 2013 il Teatrino, sempre realizzato dal fidato architetto giapponese Tadao Ando (responsabile della ristrutturazione dei due musei), che propone un importante programma culturale e didattico nel quadro delle partnership strette con le istituzioni e le università veneziane, italiane e internazionali.

Tadao Ando ha rivisitato tutti gli ambienti conferendo loro connotati di tipo industriale che ben si sposano con l’edificio antico: cemento, mattoni a vista, elementi in vetro e metallo. Dal 2009 Punta della Dogana ha affiancato la programmazione di Palazzo Grassi proponendo mostre realizzate in entrambi i musei, come nel caso della prima collettiva dedicata alle opere della collezione Mapping the Studio: Artists from the François Pinault Collection, a cura di Francesco Bonami e Alison Gingeras (durata dal 6 giugno 2009 al 10 aprile 2011) e della grandiosa esposizione di Damien Hirst, Treasures from the Wreck of the Unbelievable, a cura di Elena Geuna, di cui avevamo scritto qui.

Martin Bethenod, direttore di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, attraversa l’opera di Gonzalez-Torres il 28 agosto 2010 (Vincenzo Pinto/Getty Images)

L’opera di Felix Gonzalez-Torres, fotografata in occasione di Luogo e Segni, la mostra in corso che celebra i 10 anni di Punta della Dogana

Altre volte il complesso ha ospitato esposizioni autonome, come nel caso di Slip of the Tongue, a cura dell’artista vietnamita Danh Vo (in collaborazione con Caroline Bourgeois, fidata curatrice delle mostre della collezione Pinault dal 2007), o di Luogo e Segni, ideata da Mouna Mekouar, curatrice indipendente, e Martin Bethenod, il direttore di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, che celebra i 10 anni del museo, riunendo un centinaio di opere di 36 artisti. Inaugurata il 24 marzo, l’esposizione prende in prestito il titolo di un’opera di Carol Rama e si ispira agli scritti dell’artista e poetessa Etel Adnan, che evocano il carattere apparentemente sfuggente degli elementi naturali. La memoria dei luoghi, e in particolare quella di Punta della Dogana, è uno dei temi centrali della mostra, che comprende una serie di opere che istituiscono legami tra questa e le precedenti mostre della Pinault Collection, ad esempio l’emozionante tenda di perline bianche e rosse di Felix Gonzalez-Torres, “Untitled (Blood)” del 1992. L’esposizione mette in scena i cambiamenti d’atmosfera e le trasformazioni ambientali che interessano l’edificio, circondato dall’acqua, dalla luce e dai suoi bagliori.

Jeff Koons molto allegro all’ingresso di Punta della Dogana (4 giugno 2009, foto di Marco Sabadin/AFP/Getty Images)

Un altro tema è quello delle affinità elettive tra gli artisti, in particolare quelle che legano Etel Adnan a numerosi artisti presenti in mostra, siano esse relazioni di ammirazione e di ispirazione reciproca, o più intime, di amicizia e amore. Le “conversazioni” di Roni Horn e Felix Gonzalez-Torres, di Simone Fattal ed Etel Adnan, di Liz Deschenes e Berenice Abbot, di Tacita Dean e Julie Mehretu, di Philippe Parreno ed Etel Adnan, per citarne solo alcune, disegnano una costellazione di legami affettivi e di complicità artistica. Un modo per ricordare che oltre agli oggetti – le opere d’arte – e i luoghi – Venezia, una città quasi aggressiva nel suo modo di partecipare a ogni mostra che ospita – ci sono anche e soprattutto le persone. François Pinault, certo, ma anche tutte le menti di cui il grande collezionista si è fidato: da Tadao Ando a Martin Bethenod e Caroline Burgeois, a tutti gli artisti che sono passati e che passeranno qui nei prossimi decenni.

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