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Post Malone, il cantante che odia la sua voce

Il suo nuovo album, Twelve Carat Toothache, è uscito il 3 giugno, dopo 3 anni di silenzio seguiti al successo di Hollywood's Bleeding.

di Clara Mazzoleni

Foto di Rich Fury/Getty Images

Nell’ultimo romanzo di Sally Rooney, Dove sei mondo bello, la ricchissima e famosissima scrittrice Alice dice alla sua povera e sconosciuta amica Eileen che riuscire a godersi la fama è insano e che una persona famosa e felice di esserlo ha sicuramente qualcosa che non va. Seguendo il ragionamento di Sally Rooney, il mondo della musica è pieno di gente estremamente sana: cantanti, rapper e artisti che hanno reagito malissimo al fatto di essere diventati famosi e sono entrati in grave crisi, dimostrando di non avere niente che non va. Uno dei casi di salute mentale più recenti è Post Malone: nel suo nuovo album, Twelve Carat Toothache, uscito il 3 giugno dopo 3 anni di silenzio, parla soprattutto di quanto detesta essere famoso. Non è un caso che nel primo brano dell’album citi uno che alla fama ha reagito davvero male, Kurt Cobain. “Reputation”, con la sua «Entertain us» suona come un omaggio a “Smells Like Teen Spirit” e fa venire voglia di riguardare una delle cose migliori fatte da Post Malone, il tributo ai Nirvana realizzato per raccogliere fondi per The United Nations Foundation’s Covid-19 Solidarity Response nell’aprile del 2020 in cui cantava (da dio) le loro canzoni indossando un abito a fiori, accompagnato da Travis Barker alla batteria.

Tra i tantissimi tatuaggi che Post Malone si è fatto sulla faccia c’è la scritta “Alway Tired”. Eppure Austin Richard Post (il nome d’arte l’ha ottenuto inserendo il suo vero nome in un generatore automatico di nomi per rapper) sembra un ragazzone abbastanza attivo: a 26 anni ha già sfornato 4 album e diverse hit planetarie, ha accumulato 9 nomination ai Grammy e sta anche per avere un figlio. Ne ha parlato con Zane Lowe in un’intervista disponibile su Apple Music 1, raccontando che si sente un “hot dad” e che è da quando era piccolo che sognava di diventare padre, «a cinque anni giravo con una bambola che portavo con me ovunque andassi». Secondo quanto riportato da Tmz la madre non è una persona famosa, quindi non può essere la bellissima MLMA (Me Love Me A Lot), con cui dal 2020 si pensava avesse una relazione.

Quattro anni fa Post Malone si è stufato di Los Angeles, dove viveva da quando aveva 18 anni (è cresciuto in Texas) e dove «c’è sempre qualcosa da fare e qualcuno che vuole qualcosa da te» e ha deciso di ritirarsi a Salt Lake City, Utah, dove ha comprato una casetta da 3 milioni di dollari. Ha la mania di accumulare scorte e ha fatto realizzare un bunker antiatomico in cui nascondersi in caso di fine del mondo. «C’è questo senso di apocalisse imminente, specialmente a Los Angeles», dice a Lowe. «Nello Utah, sono tipo, ok, qualunque cosa tu voglia. Sono pronto. Ho del cibo. Ho tutto quello di cui ho bisogno…. Ho accumulato cibo per 25 anni. Mi sto preparando, qualunque cosa accada, a prendermi cura della mia famiglia. Questa è la cosa più importante. Essere in grado di prenderti cura delle persone che ne hanno bisogno, avere un posto dove puoi andare. E non so esattamente cosa accadrà, ma è un momento folle, folle, folle. Il mondo è caldo. Fa molto caldo. C’è la malattia. Ci sono persone che cercano di ferirsi a vicenda per niente. Non lo so. È un mondo pazzesco ed è un posto pazzesco per crescere un bambino. Penso che qualsiasi genitore sarebbe d’accordo». In “Love/Hate Letter To Alcohol”, con Robin Pecknold dei Fleet Foxes, parla del suo complicato rapporto con l’alcol. Per fare in modo di poterne accumulare grandi quantità (sempre per quel discorso dell’apocalisse) Malone ha fondato un suo brand di vino rosé, Maison No. 9, un’idea che gli è venuta durante il lockdown, perché nello Utah ci sono delle regole molto rigide e se può acquistare pochissimi alcolici alla volta.

Ha fatto giusto in tempo a scappare da Los Angeles: nel 2019 ha raggiunto l’apice della fama con l’album Hollywood’s Bleeding, in cui c’era “Sunflower” (inclusa nella colonna sonora di Spider-Man: Into The Spider-Verse) e altri successi come “Wow”, ” Goodbyes” e la hit globale “Circles”. Con la pandemia e dopo il successo è arrivato il blocco creativo. «Quando sono nello Utah devo trovare un modo per intrattenermi. Quindi provo a fare dei beat e scrivere canzoni con la chitarra e tutto il resto. Ma in quel periodo è stato difficile perché non c’era niente. Era tutto un “Oddio, l’ho già suonato”. “Questo fa schifo”. “Questo suona esattamente come il beat che ho fatto cinque secondi fa”. Nessuno dei suoni era giusto». Dopo un lungo periodo di stasi, qualcosa si è sbloccato ed è nato quello che ora definisce il suo album preferito. Come sottolinea Zane Lowe, «sembra che tu abbia scritto per te stesso, ci sono dei momenti in questo disco in cui sento che stavi cercando di confortarti in un momento di difficoltà». Dal punto di vista sonoro, Twelve Carat Toothache suona molto fluido (Post Malone rifiuta la definizione di “rapper” perché non si riconosce in un solo genere). Forse è ancora meno hip-hop del solito, pieno com’è di ballate lente con la chitarra e il pianoforte che esaltano la sua bellissima voce tremolante. “One Right Now”, con The Weeknd è la canzone più furba (scelta come singolo), la più “tiktokkosa” è forse “I Like You (A Happier Song)” con Doja Cat, ma in generale è un album privo di hit.

Nell’intervista Post Malone parla con Lowe dei social, dell’algoritmo e del dibattito attivato da vari artisti, tra cui FKA twigs e Halsey, che si sono lamentati delle pressioni delle etichette per creare musica che possa diventare virale su TikTok. Lui sembra arrivato a un livello in cui può permettersi di potersene abbastanza fregare. Su Instagram, ad esempio, ha 22 milioni di follower, ma dice che non lo usa più: «I cambiamenti che ho fatto mentalmente per prendere le distanze hanno davvero influenzato la mia vita in modo positivo. Si tratta di capire quello che ti mette a tuo agio perché alla fine della giornata, devi solo sentirti a tuo agio con quello che stai facendo. E i social media sono qualcosa con cui non mi sento molto a mio agio». Forse il vero successo è questo: potersi permettere di non fare niente di quello che non ti senti a tuo agio a fare.  «Non mi piace la mia voce», confida a Lowe. «Sono timido. Questa intervista, probabilmente non la guarderò, a meno di non essere costretto con la violenza, perché non sopporto il suono della mia stessa voce». Sally Rooney la considererebbe la cosa più sana che un cantante possa dire.