Si può pensare ciò che si vuole del soldato americano che ha pubblicato una foto dello Squirtle “catturato” in prima linea a Mosul, a qualche centinaio di metri dagli accampamenti dell’Isis. O dell’uomo che ha prodotto lo screenshot di un Pidgey trovato nella sala operatoria dove la moglie stava per partorire il suo primogenito. O della stazione di polizia di Darwin, Australia, che ha dovuto chiedere pubblicamente di non sconfinare nella sua proprietà per rifornirsi di sfere Poké. O, ancora, dei malintenzionati che stanno sfruttando le zone più feconde di Pokémon per derubare improvvidi allenatori di ogni latitudine. Ma il successo planetario che Pokémon Go, la nuova applicazione in realtà aumentata Nintendo basata sulla popolare serie animata giapponese, sta ottenendo in questi giorni va oltre i suoi meriti. The Verge, che pure ha coperto notizie come quelle appena citate con un tempismo e una dovizia di particolari da Watergate, l’ha definito «un gioco insipido e ripetitivo», che tuttavia contribuisce a esprimere la «tacita fantasia» della saga come nessun altro titolo precedente.
Per un venticinque-trentenne di oggi, Ash Ketchum (Satoshi, nella versione originale giapponese), Pikachu e le palestre da conquistare non sono soltanto un pezzo dell’infanzia o adolescenza, ma anche un filtro attraverso cui ha guardato la società in cui iniziava ad affacciarsi, un mondo diventato ristretto e più raggiungibile, consumista, basato sull’individuo, in cui la scienza e la condivisione di dati stavano facendo enormi passi avanti, e dove le anteprime del futuro venivano dal Giappone. Per questo, dichiara senza mezzi termini l’Economist, «i Pokémon hanno trasformato il modo in cui i Millennial identificano il loro posto nel mondo».
Nel 2016 la Pokémon Co. può dire di aver venduto 280 milioni di videogiochi, 22 miliardi di carte da gioco (fa poco meno di tre carte a testa per ogni terrestre, anche se al tempo ricordo raccoglitori pieni forieri di agonismi infantili, questi sì, a volte poco rispettosi), 17 film, con entrate totali stimate in poco meno di 58 miliardi di dollari americani. Pikachu, il celebre topo elettrico diventato metonimia della saga, nei piani iniziali era solo uno dei tanti personaggi immaginati da Tajiri e dal suo responsabile del design Ken Sugimori: «Quando hanno creato l’anime, volevano un nome specifico su cui focalizzarsi. Pikachu era relativamente più popolare degli altri e potenzialmente apprezzabile da bambini e bambine. Hanno sentito un sacco di pareri su questo, non è stata un’idea mia», ha detto in merito il creatore della serie.
I Pokémon sono stati – e sono ancora, a giudicare dalle news di queste ore – una coincidenza irripetibile e fortunata di fattori, una favola intrinsecamente giapponese riscopertasi mito mondiale, oppure soltanto la cosmologia ispirata del mondo creato da un bambino.
Iscriviti alla newsletter di : ogni settimana un punto di vista diverso su quello che sta succedendo