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19:30 martedì 2 dicembre 2025
Anche stavolta il premio di Designer of the Year l’ha vinto Jonathan Anderson È la terza volta consecutiva, stavolta ha battuto Glenn Martens, Miuccia Prada, Rick Owens, Martin Rose e Willy Chavarria.
L’Oms ha detto che i farmaci come Ozempic dovrebbero essere disponibili per tutti e non solo per chi può permetterseli Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, in futuro bisognerà garantire l'accesso a questi farmaci a chiunque ne abbia bisogno.
Aphex Twin ha caricato a sorpresa su SoundCloud due nuovi brani ispirati a una vacanza in Sicilia Le tracce sono comparse a sorpresa e sarebbero state ispirate da una vacanza italiana del musicista, intristito dalla pioggia autunnale.
Il sindaco di Pesaro si è dovuto scusare perché ha coperto di ghiaccio la statua di Pavarotti per far spazio a una pista di pattinaggio Ma ha pure detto che Pavarotti resterà "congelato" fino a dopo l'Epifania: spostare la statua o rimuovere la pista sarebbe troppo costoso.
Siccome erano alleati nella Seconda guerra mondiale, la Cina vuole che Francia e Regno Unito la sostengano anche adesso nello scontro con il Giappone Indispettita dalle dichiarazioni giapponesi su Taiwan, la diplomazia cinese chiede adesso si appella anche alle vecchie alleanze.
È morto Tom Stoppard, sceneggiatore premio Oscar che ha reso Shakespeare pop Si è spento a ottantotto anni uno dei drammaturghi inglesi più amati del Novecento, che ha modernizzato Shakespeare al cinema e a teatro.
La tv argentina ha scambiato Gasperini per il truffatore che si era travestito da sua madre per riscuoterne la pensione Un meme molto condiviso sui social italiani è stato trasmesso dal tg argentino, che ha scambiato Gasperini per il Mrs. Doubtfire della truffa.
La parola dell’anno per l’Oxford English Dictionary è rage bait Si traduce come "esca per la rabbia" e descrive quei contenuti online il cui scopo è quello di farci incazzare e quindi interagire.

Oscar 2015: parliamone

Chi ha premiato l'Academy, chi se lo meritava e chi invece un po' meno: vincitori e sconfitti degli ultimi Oscar, tra battute andate lunghe, titoli dimenticati e canzoni sottovalutate. Uno sguardo all'evento dell'anno.

24 Febbraio 2015

L’anno scorso Ellen DeGeneres ha sbancato con il famoso selfie più ritwittato della storia dei selfie ritwittati, ma la gag per cui molti la ricordano è stata quella – decisamente troppo insistita – della pizza. Ricordate? In poche parole: per dare l’idea di essere un po’ sempre i good ol’ boys di una volta, quelli per cui “il successo non ci ha cambiati e questa è la nostra festicciola tra umili amichetti”, Ellen ha ordinato la famosa Domino’s Pizza per tutti. Poi è arrivata. Poi sono stati chiesti i soldi per dare la mancia al delivery guy. Poi la pizza è stata distribuita ed infine anche mangiata. Uno scherzo durato qualcosa come otto o nove blocchi pubblicitari.

Neil Patrick Harris, conduttore di quest’anno, non ha invece regalato l’entusiasmo e la follia che si sperava ma è stato anzi piuttosto piatto e prevedibile. Non solo: anche lui è incappato nella maledizione della gag prolungata. A inizio spettacolo, dopo un ottimo numero musicale d’apertura, ha raccontato di aver depositato i suoi pronostici per la serata dai notai dell’Academy. Li ha fatti poi portare all’interno del teatro in un’elegante valigetta di pelle nera, li ha fatti mettere in un lato del palco in una teca trasparente sotto chiave ed ha poi chiesto a Octavia Spencer di controllare la valigetta per tutta la serata. Poi, dopo una serie di piccoli richiami ed inutili siparietti, appena prima di annunciare l’Oscar al Miglior Film, Neil Patrick Harris ha aperto la sua busta e (wait for it…) dentro c’erano non dei semplici pronostici come tutti noi pensavamo, ma una serie di simpatici commenti ai vari momenti culto della serata. «John  Travolta tornerà anche l’anno prossimo per scusarsi per aver toccato troppo la faccia di Idina Menzel. Subito dopo il discorso di J.K. Simmons in tantissimi avranno chiamato i propri genitori» e cosi via. Non male, ma c’era veramente il bisogno di trasformarla nel leitmotiv della serata?

Tutto è andato come da copione e le sorprese sono state veramente poche. Personalmente mi sono stupito di come sia stato fondamentalmente ignorato uno dei titoli più discussi dell’anno, American Sniper di Clint Eastwood.

Personalmente non faccio i pronostici per gli Oscar. Il motivo è presto detto: non ci prendo quasi mai. Non sono capace di mettere insieme i miei gusti con quelli dell’Academy. Ci tento, faccio dei ragionamenti che mi sembrano avere un loro senso logico, poi succede sempre il contrario di quello che fino a un secondo prima mi sembrava scontato. Eppure, quando il presentatore legge il nome del vincitore, è come se finalmente mi si svelasse l’Ovvio. “Ah! Certo, era scritto che sarebbe andata così! Ma come ho fatto a non  capirlo prima?” Mai come durante quest’edizione i premi sono stati scontati o facili da prevedere. Tutto è andato come da copione e le sorprese sono state veramente poche. Personalmente mi sono stupito di come sia stato fondamentalmente ignorato uno dei titoli più discussi dell’anno, American Sniper di Clint Eastwood, la biografia del discusso e discutibile Chris Kyle, infallibile cecchino dei Navy Seals, che s’è portata a casa solo una statuetta per il montaggio audio a fronte di sei candidature, di cui almeno tre – Miglior Film, Miglior Attore e Miglio Sceneggiatura – decisamente pesanti. Nulla ha potuto il fatto che quest’ultima fatica dell’Eastwood regista sia quella che ha più incassato al botteghino della sua lunga carriera (si parla di 430 milioni di dollari di incassi per 60 di budget).

Certo, non solo di successo economico si parla agli Oscar, ma per un film del genere, dove la discussione politica è stata così invadente e pressante, il fatto che il pubblico l’avesse così amato mi aveva fatto scattare un piccolo campanellino di allarme. Per un momento ho anche immaginato un Oscar a Bradley Cooper, attore bello e simpatico, amato dall’Academy e dal pubblico, già arrivato in nomination ben due volte per Silver Lining Playbooks e per American Hustle, qui passato anche attraverso il famoso “cambiamento fisico”, che sappiamo essere una delle condizioni necessarie per vincere. Il premio è invece andato all’inglese e giovanissimo Eddie Remayne che ne La Teoria del Tutto ha portato sullo schermo un’imitazione perfetta di Stephen Hawking. La sua interpretazione è impressionante: il modo di parlare, il lavoro fatto sul fisico è semplicemente perfetto ma, come provocatoriamente detto, siamo sempre nel campo dell’imitazione.

Personalmente avrei di gran lunga preferito l’Oscar a Michael Keaton per Birdman o, ancora meglio, a Steve Carrell per Foxcatcher: il comico americano impersona il coach di lotta greco romano – completamente pazzo – John du Pont. Il risultato è stupefacente: Carrell è uguale al vero du Pont. Ha un trucco pesantissimo e si èevidentemente studiato la fisicità e il modo di parlare, ma al tempo stesso, grazie alla sua personalità, è riuscito a rendere il suo lavoro di mimesi qualcosa di diverso. Carrell non imita du Pont, ma ne esaspera determinate caratteristiche a servizio del bel film di Bennett Miller. Il vincitore della serata però è stato a tutti gli effetti Birdman, la pellicola del messicano Alejandro González Iñárritu. Ok, il numero di statuette vinte è lo stesso di The Gran Budapest Hotel ma quelle di Birdman sono obbiettivamente le più pesanti: Miglior Fotografia, Miglior Regia e Miglior Film bastano e avanzano a decretare il vincitore dell’anno. Il film del regista messicano ha avuto la meglio contro avversari potentissimi come il già citato American Sniper (biografia, attualità, guerra), il televisivo The Imitation Game (biografia “Genio/Sregolatezza”, omosessualità, guerra), il piatto La Teoria del Tutto (biografia Genio/Sregolatezza, malattia), il ricattatorio Selma – La Strada per la Libertà (biografia, diritti civili, questione razziale).

C’erano anche The Grand Budapest, Whiplash e Boyhood ma erano evidentemente fuori gara. Il primo ha raccolto meritatamente molti premi tecnici ma era difficile immaginare un riconoscimento più grande a un film che, piaccia o meno, è l’emanazione più chiara dello stile – forte, riconoscibile ed evidentemente giudicato fin troppo personale – del suo creatore. Il secondo ha giocato quest’anno la parte del film piccolo e indipendente e ha vinto di conseguenza. Il montaggio e il sound mixing assolutamente inattaccabili e il meritatissimo Oscar a J.K. Simmons, attore (e non divo) qui alla prova della vita. Boyhood invece è stato uno dei grandi sconfitti della serata. S’è deciso di premiare giustamente Patricia Arquette come Miglior Attrice non Protagonista ma s’è ignorato un progetto cinematografico che ha forse la pecca di essere più bello sulla carta che portato su grande schermo.

(Piccola parentesi su Simmons. Avete mai sentito un discorso di ringraziamento più bello del suo? Ha evitato il noisissimo listone di nomi da ringraziare per concentrarsi su una toccante dichiarazione d’amore nei confronti della moglie e dei figli per poi concludere invitando tutti a chiamare i propri genitori per dirgli che gli volete bene. Mi è sembrato l’unico discorso onesto e, anche se ovviamente preparato, sentito della serata.)

La canzone vincitrice, “Glory”, cantata da Joe Legend e Common per il film Selma, anche se ha fatto alzare tutti in piedi e piangere Oprah e quel tenerone di Chris Pine, è talmente brutta da far rimpiangere “Ordinary Love” degli U2.

In molti hanno visto la vittoria di Birdman come una mossa coraggiosa e inaspettata della polverosa Academy. Certo, è vero che il film di Iñárritu ha una forma e una messa in scena “particolare”, ma si tratta comunque – nel 2014 – dell’ennesima discussione autoriferita sull’ego dell’attore e soprattutto sul rapporto tra Cinema e Teatro. Niente di male, ci mancherebbe e non sono neanche tra quelli che vogliono etichettare Birdman come un semplice sfottò nei confronti dei blockbuster supereroistici, ma sinceramente faccio un po’ fatica a vederci del Nuovo. Ovviamente questo discorso è valido fino al confronto con Selma, La Teoria del Tutto o The Imitation Game, al cui confronto Birdman sembra un film girato nel 3125. Più o meno quella sensazione di vecchiaia che abbiamo tutti provato quando sono state presentate le canzoni in gara di quest’anno: avete mai sentito qualcosa di così noioso e scontato? La canzone vincitrice, “Glory”, cantata da Joe Legend e Common per il film Selma, anche se ha fatto alzare tutti in piedi e piangere Oprah e quel tenerone di Chris Pine, è talmente brutta da far rimpiangere “Ordinary Love” degli U2. Le altre candidate erano francamente inutili quando non fastidiose. Ma soprattutto il premio non è andato d’ufficio all’esibizione di “Everything Is Awesome”, canzone tratta dallo snobbatissimo The LEGO Movie, dove i Lonely Island hanno diviso il palco con Tegan and Sara, un centinaio di ballerini travestiti da cowboy, astronauti e operai, Mark Mothersbaugh dei DEVO, Will Arnett travestito da Batman, ?uestlove, un opossum gigante e un coro gospel di omini di LEGO in digitale.

Questa è stata una cosa davvero meravigliosa. Il resto, francamente, ha un po’ annoiato.
 

Nell’immagine in evidenza: una foto della cerimonia d’apertura degli Oscar (Getty Images)

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