Chi parte dal sud dice che ci va "per spurgare" e far sfogare i figli: in effetti, nel paradiso dei genitori, basta un po' di grappa per iniziare a vagheggiare di mollare tutto e trasferirsi sulle Dolomiti.
Questo è il secondo articolo della nostra serie estiva “Gran Turismo” , in cui le autrici e gli autori di Rivista Studio raccontano luoghi e città dal punto di vista del turista o di chi i turisti li subisce. È un modo, un po’ più leggero, per continuare a far vivere il nostro numero estivo, tutto dedicato al turismo: da come, negli ultimi anni, sia diventato un problema politico (overtourism), a come nonostante tutto, il viaggio continui a conservare una sua dimensione romantica. Lo trovate in edicola e sul nostro store online.
Anni fa vivevo nel Rione Sanità a Napoli, abbastanza vicino all’appartamento della signora Concetta. Chiunque vivesse in quell’angolo del quartiere sentiva chiamare Concetta ad alta voce più volte al giorno, da persone diverse e in vari momenti della giornata. Oltre al chiasso dei vicoli, la giornata era, infatti, ogni tanto, scandita da questo grido forte e secco: “Concettaaah”. Chi urlava non aveva mai bisogno di sgolarsi, perché bastava un singolo “CONCETTA” che una mano appariva da una finestra e lasciava calare un paniere di vimini come nella tradizione napoletana. Chi aveva urlato “Concetta” metteva del danaro nel cesto, la mano tirava su con la corda e rapidamente faceva scendere di nuovo il paniere col fumo (con l’hashish, servisse specificarlo), in base a quanto denaro era stato messo dentro alla prima discesa. A dirla tutta, il nome vero che sentivo urlare più volte al giorno non era “Concetta”, ma lo sto camuffando, anche se questo camuffamento è forse inutile visto che possiamo presumere che neanche il nome che sentivo fosse quello vero e forse quel balcone, quell’hashish e quella mano non appartenevano neanche a una donna. Non so, insomma, se Concetta era così convinta della sua impunità e non so minimamente cosa sia successo a lei\lui\loro. Ma so che dove una volta c’era Concetta adesso c’è un Bed and Breakfast. E questa è la mia favola di Esopo sulla turistificazione della città.
Napoli è una destinazione turistica da secoli, praticamente da quando è nato il turismo moderno, ma ha vissuto il passaggio all’overtourism in maniera molto più rapida rispetto a Firenze, Venezia o Roma, che sono state, sì, altrettanto sconvolte dal turismo di massa, ma con molta più gradualità. Nei confronti di Napoli, invece, ancora sul finire degli anni ’90, c’era da parte dei turisti molta riluttanza a pianificare una visita e i primi cambiamenti al tessuto sociale del centro storico sono stati dovuti soprattutto agli studenti (anche se, a differenza di come poi accadrà coi turisti, erano considerati come un’opportunità solo da pochi e come una scocciatura dalla maggioranza. Spesso vittime di episodi di microcriminalità molto più comuni rispetto a quanto accada oggi). Mentre Roma, Firenze e Venezia erano già cambiate e preparavano le basi per le rapide trasformazioni di oggi, Napoli era spesso solo un punto di appoggio per altre visite –Pompei, la costiera amalfitana e sorrentina – e pure se non meno fiera della propria bellezza rispetto alle altre città d’arte cercava ancora di scoprire la propria vocazione turistica. Ma che perfino il Rione Sanità sarebbe stato appaltato al turismo forse non osavano immaginarlo neanche i visionari che paragonavano il turismo al “nostro petrolio” (oggi quando sento ancora che il turismo è il nostro petrolio più che a “petrolio” come simbolo di ricchezza penso alle foto con gli uccelli che non riescono a volare perché sommersi dal liquido nero fuoriuscito da una nave).
E non è affatto l’unica destinazione in Campania ad essersi scoperta di punto in bianco così meritevole. Sono nato a Caserta, città in cui c’è da decenni uno dei monumenti più visitati del paese e in cui per decenni le varie amministrazioni hanno cercato in tutti i modi di convincere i turisti a non accontentarsi di una gita in giornata, ma restare almeno una notte a dormire. Per anni la questione più dibattuta per immaginare un rilancio della città era quella di trovare un modo perché i turisti potessero fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non visitare giusto la Reggia e poi scappare, senza neanche attraversare il centro cittadino. Ma niente. Non ci sono mai riusciti. Hanno provato a inventare visite alle storiche seterie, hanno sperato nella certificazione Unesco dell’acquedotto carolino, hanno ristrutturato più volte il paesello medievale, tutto senza alcun successo. Fino a quando – non si capisce bene come – il turismo è arrivato. Non per merito di qualcuno o qualcosa, ma per effetto di un cambiamento antropologico che non ha nulla a che fare con quarant’anni di impegno locale.
Negli anni novanta i miei genitori mi hanno portato più volte in vacanza a Roccamonfina, un paesino in collina (ma per gli standard del Sud Italia in montagna) a pochi chilometri da Caserta. Per come sembrava a me da ragazzino quel viaggio non si poteva neanche definire “vacanza”, era più una versione estiva di quello che, una volta, veniva definito “svernare”. Al punto che, a settembre, raccontare a scuola di aver fatto la villeggiatura a Roccamonfina era indicibile, meglio perfino mentire e fingere di essere rimasti a casa tutto agosto. Ovviamente oggi anche Roccamonfina risulta una meta di vacanza desiderabile. Fioccano opportunità di affitto per case con piscina e possibilità di una “fuga tra i castagni”. Neanche in questo caso il merito può essere attribuito a qualcuno, la mutazione c’è stata e come in quei castelli fatti con le coppe di cristallo, lo champagne versato in cima è strabordato a tal punto che si è riempito anche il bicchiere del centro di Caserta o di Roccamonfina o della casa di Concetta.
Nel Padrino Michael Corleone porta a lungo avanti il sogno di rendere puliti tutti gli affari della famiglia. Non so se è quello che è successo all’appartamento di Concetta e non credo che il turismo sia davvero redditizio quanto lo spaccio, ma, tutto sommato, mi pare che possiamo essere d’accordo sul fatto che sia meglio così. “Paniere” in Italia ormai si usa solo per quello dell’Istat, ma in Campania “paniere” fa ancora venire in mente innanzitutto l’oggetto e chissà che per la gioia dei turisti il paniere non sia magari ancora in casa e il turista possa anche fare “l’esperienza” di calarlo dalla finestra, perché la Sanità è diventata destinazione turistica senza immaginare di poterlo essere.