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Naoise Dolan: la fatica di essere giovani

Intervista all’autrice di Tempi eccitanti spesso paragonata a Sally Rooney, con i suoi personaggi pieni di difetti, apatia, ossessioni, e una storia che si muove tra Hong Kong e Dublino.

di Laura Pezzino

Naoise Dolan, Tempi eccitanti

C’è qualcosa di eccitante in Irlanda. Sarà una questione generazionale, ma anche di genere, ma anche di dinamiche insulari, vero è che da quando il discreto fascino delle persone normali di Sally Rooney ha perforato lo stargate, dall’isola di smeraldo hanno iniziato a riversarsi oltremare una teoria di scrittrici che è utile tenere presente se si cerca di cartografare le nuove letterature del Vecchio Continente. Una di queste è senz’altro Naoise Dolan, che per la cronaca si pronuncia Nisha. Dublinese, classe 1991, alumna del Trinity College, era fatale che la definissero la nuova Sally Rooney, e così è stato. Il punto è che, nella vita al di fuori dei romanzi, lei di Rooney è pure amica (tra le altre cose, è stata proprio Rooney a farla debuttare sulla rivista The Stinging Fly che ai tempi dirigeva) e, come mi dice lei stessa, «è imbarazzante dover parlare continuamente di un’amica in pubblico».

Tempi eccitanti (Atlantide, traduzione di Claudia Durastanti), il suo romanzo d’esordio, è stato un piccolo caso editoriale, non tanto quanto Parlarne tra amici e Persone normali di Rooney, ma abbastanza da farle avere servizi fotografici super cool sulle riviste, intervistatori adoranti, il titolo di Irish Woman of the Year nella sezione Letteratura dell’Irish Tatler e, marchio dei tempi, una serie tv tratta dal suo libro in produzione.

Tempi eccitanti è la storia della ventiduenne Ava che, nel 2016, si trasferisce da Dublino a Hong Kong per insegnare inglese e inizia una relazione con Julian, «il banchiere», dal quale si trasferisce a vivere. A colpirla di lui è un tram chiamato «privilegio» – i bei vestiti, l’ottima istruzione, l’appartamento di lusso, le carte di credito – che va a costituire il terzo incomodo del loro rapporto. Nel «pacchetto Julian» è compresa, intrigantissima, anche la sua indisponibilità sentimentale, che le fa desiderare sopra ogni cosa, l’amore per esempio, di essere da lui desiderata. Accade dunque che, mentre lui è via per un lungo viaggio di lavoro, Ava incontri una ragazza del luogo, Edith, anche lei buoni studi e lavoro prestigioso, e a suo modo se ne innamori – va detto, in modo più libero e, di sicuro, più sentimentale che con Julian. Al ritorno dell’ormai ex, Ava prova a tenerseli entrambi accanto, e alla fine succederò qualcosa che qui non posso svelare.

Con il suo Tempi eccitanti, Naoise Dolan porta nelle dinamiche di potere relazionali una sensibilità contemporanea, «millennial» direbbe più di uno, ricontestualizzandole cioè in termini identitari. La domanda sottesa a ogni azione, o non azione, di Ava gravita nel territorio opaco del «chi sono io», sia che riguardi la questione della lingua (Ava insegna inglese a bambini delle elementari, ma quale declinazione dell’inglese insegnare, se l’irlandese, sempre «sbagliato», o il britannico, è un problema che a dir poco la ossessiona), sia che riguardi la sua sessualità (la nuova amante non comprende il suo restare ancorata a una relazione dipendente da un uomo), sia che riguardi il suo definirsi o meno femminista (andare a letto con Julian, sfruttare la sua ospitalità e i suoi «regali», la rendono meno femminista?).

Tempi eccitanti, romanzo solipsista e mentalmente verboso, racconta di donne che si odiano moltissimo e sono così occupate a farlo (il loro è un odio molto attivo, continuamente rinfocolato) da lasciare che tutto il resto scivoli loro addosso, monadi auto sabotatrici impegnate in un perpetuo rimbrottamento interno. Bisogna anche aggiungere che Ava, e quindi Dolan, esibisce un occhio analitico e autoriflessivo particolarmente efficace, e che questo acume si manifesta in particolar modo nell’osservare i costumi sociali del suo ambiente di expat con una brillantezza e un’ironia che la differenziano nettamente da Rooney, più interessata a un lessico sentimentale, per accostarla alle analisi folgoranti di Jane Austen.Tempi eccitanti, catturando tutta l’insicurezza dell’essere giovani, è anche una storia di amore-paura: che l’altro possa penetrare davvero la corteccia del nostro io, anche solo attraverso i tre puntini lampeggianti che ci indicano che ci sta rispondendo a un messaggio, è la cosa che spaventa più di tutte.

Dolan non ama vivere nel Paese in cui è nata (mi dice che lì conosce troppe persone e che viene continuamente distratta da quello che deve fare), e in particolare non ama che la sua città sia invasa da catene di hotel e aziende tecnologiche. Per questo non ha una dimora fissa, e negli anni ha abitato a Hong Kong, Singapore, in Italia e in Inghilterra. Qualche tempo fa ha scoperto di essere affetta da autismo e, nel tempo, ha più volte raccontato che cosa abbia voluto dire crescere queer in un ambiente bigotto e omofobo come quello della scuola irlandese. Dopo Tempi eccitanti ha scritto un libro sui problemi di salute mentali, ma non ha intenzione, per ora, di pubblicarlo: «Non ho voglia di lavorarci e nemmeno di parlarne. Al momento sto finendo un altro romanzo e lo invierò presto alla mia agente».

ⓢ Il tuo è stato definito un «millennial novel»: gli elementi – il tardo capitalismo, il sesso, internet, l’ossessione e una certa seducente apatia sociale accompagnata da una costante battaglia interiore – ci sono tutti. Ti riconosci in questa etichetta?
Non considero me stessa, o il mio lavoro, “millennial” perché non credo sia un termine che si possa applicare ai giovani irlandesi. L’Irlanda non ha mai avuto un baby boom, pertanto le nostre dinamiche generazionali non sono le stesse di un Paese come gli Stati Uniti, dove quella definizione ha avuto origine.

ⓢ Ava evita qualsiasi interazione con l’ambiente in cui vive, pertanto Hong Kong e la sua realtà complessa rimangono sempre sullo sfondo. Perché?
Credo faccia parte della personalità di Ava, che è una persona egocentrica, senza particolare energia o entusiasmo e con una routine molto limitata. Anche le persone intorno a lei hanno un approccio ristretto, molto comune tra gli espatriati britannici e irlandesi di Hong Kong quando ci vivevo io, e che potrebbe essere cambiato dopo le proteste del 2019. Di sicuro, si sta perdendo molto – ad esempio non frequenta mai alcuni dei miei posti preferiti a Hong Kong, Kowloon e i Nuovi Territori –, ma anche questo è coerente con il suo personaggio.

Naoise Dolan

ⓢ Perché in lei manca quasi totalmente la volontà di agire.
Trovo più facile scrivere personaggi che trovo “negativi”. In un romanzo, hai bisogno che le cose vadano storte e che i protagonisti abbiano dei difetti che possano guidare la trama, ed è per questo non ho mai cercato di fare di Ava un modello. E poiché il fulcro della storia sono le relazioni, il difetto più conveniente da darle era proprio l’incapacità di agire e di comunicare.

ⓢ Non pensi che esasperare l’odio verso se stessi sia una forma di narcisismo?
Sì, e anche che quando crediamo di essere soltanto sbagliati in realtà ci stiamo dando troppa importanza. Gli esseri umani sono molto più simili tra loro di quanto non credano e potrebbe essere utile, invece che sottolineare le differenze, essere onesti e condividere i difetti, i dubbi e le paure.

ⓢ Recentemente, ho letto questi versi di Anne Carson contenuti in The Beauty of the Husband: «How do people / get power over one another? Is an algebric question», che trovo perfetti applicati al suo romanzo. Perché le relazioni (d’amore) sono così spesso fondate su giochi di potere?
Sono meccanismi che nascono da un’enorme contraddizione: per sentirci veramente amati e accettati, dobbiamo sapere che qualcuno ci ama e accetta tutti noi, ma allo stesso tempo abbiamo paura a mostrare loro il nostro lato peggiore perché pensiamo che verrebbe rifiutato. Così, presentiamo dei falsi “sé”, ma quando l’altro è attratto da quei falsi sé, non ne siamo comunque soddisfatti perché sappiamo che sono fallaci. Penso che i giochi di potere derivino da dinamiche di questo tipo, dal tentativo di avere potere in una situazione in cui vogliamo cose contraddittorie e non siamo pronti a prendere decisioni.

ⓢ Scoprire il tuo autismo ha influenzato la tua scrittura?
Non so se l’abbia fatto, dal momento che non riesco bene ad analizzare il mio lavoro. Credo, però, che mi abbia permesso di non avere un’idea troppo romantica del mio mestiere di scrittrice. Le persone autistiche tendono a non essere sentimentali: è più facile quindi per me vedere la scrittura solo come un lavoro. Non mi ritengo assolutamente schiava della musa.

ⓢ Perché la tua protagonista è ossessionata dalla grammatica?
Quando uno dei miei personaggi ha un lavoro, trovo sia importante scriverne approfonditamente visto che con ogni probabilità sarà un’attività che occupa la maggior parte delle sue giornate. Ma come renderlo interessante? La soluzione è stata mostrare Ava stessa interessata a quello che fa: non tanto al fatto di insegnare in sé, ma alla materia, la grammatica, che per lei è anche un modo di interagire con la città di Hong Kong dal momento che l’inglese è arrivato lì proprio attraverso il colonialismo. Per tutti questi motivi ho trovato quindi appropriato prendere in considerazione le dinamiche dell’inglese e le sue gerarchie.

ⓢ Ava, invece che dire le cose alle persone, preferisce quasi sempre scriverle sul proprio cellulare. Le Note dell’iPhone sono diventate un surrogato della nostra coscienza?
Non saprei, ma di sicuro mostrano i limiti della messaggistica visto che spesso è proprio lì che va a finire quello che non puoi dire direttamente a qualcuno. In realtà, però, vengono usate per talmente tanti scopi che non credo abbiano un significato unico. Per me, ad esempio, sono più uno scrapbook o un diario, a volte semplici elenchi di attività, altre lunghi paragrafi su qualcosa che mi è venuto in mente. Sono un format molto aperto, nel quale accadono molte cose.

ⓢ Definiresti Tempi eccitanti un romanzo femminista?
Penso che dipenda dalla definizione di “romanzo femminista”. Nessuno dei personaggi è un esempio di come promuovere i diritti delle donne, e non si tratta nemmeno di un manuale di istruzioni su come migliorare la situazione femminile. Penso però che uno dei compiti della fiction sia quello di prestare attenzione alle dinamiche di potere di genere e alla misoginia interiorizzata, senza necessariamente offrire delle risposte. Non possiamo affrontare i problemi finché non li capiamo.

ⓢ Quali sono gli scrittori a cui ti ispiri?
A Oxford mi sono specializzata in letteratura vittoriana. Ricordo quanto, da adolescente, mi piacesse perdermi in quei romanzi, e penso la scrittura venga sempre influenzata da ciò che ci piace leggere. George Eliot, in particolare, è una grande fonte di ispirazione: è così perspicace sulla psicologia umana e ha uno stile acuto e potente. Altre da cui prendo ispirazione sono Fran Ross, Jean Rhys, Jane Bowles, Virginia Woolf, Sayaka Murata e Zadie Smith.

ⓢ Che cosa fai quando non scrivi?
Se mi chiedi dei miei interessi meno “letterari”, amo la moda. Cambiando spesso casa non possiedo molti oggetti, ma ho alcuni pezzi che amo davvero e che conservo da molto tempo. Compro soprattutto vestiti di seconda mano e vintage, sia per una questione ecologica che economica. E vado matta per il cioccolato fondente.

ⓢ Che cosa ti fa cambiare umore?
Passeggiare velocemente. Mi alza sempre il morale e mi fa venire nuove idee.