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07:59 venerdì 5 dicembre 2025
Lily Allen distribuirà il suo nuovo album anche in delle chiavette usb a forma di plug anale Un riferimento a "Pussy Palace", canzone più chiacchierata di West End Girl, in cui racconta come ha scoperto i tradimenti dell'ex marito, l'attore David Harbour.
Dario Vitale lascia Versace, appena nove mesi dopo esserne diventato direttore creativo Era stato nominato chief creative officer del brand, appena acquisito dal gruppo Prada, a marzo di quest'anno.
L’unica tappa italiana del tour di Rosalìa sarà a Milano, il 25 marzo Sono uscite le date del tour di Lux: partirà il 16 marzo 2026 da Lione e si chiuderà il 3 settembre a Portorico.
Secondo una ricerca, l’inasprimento delle leggi sull’immigrazione in Europa sta facendo aumentare e arricchire i trafficanti di essere umani Il Mixed Migration Centre ha pubblicato un ampio studio in cui dimostra che le politiche anti immigrazione stanno solo aggravando il problema che avrebbero dovuto risolvere.
Fontaines D.C., Kneecap e molti altri musicisti hanno fondato un’alleanza di artisti per contrastare l’estrema destra Si chiama Together e ha già indetto una grande manifestazione per il 28 marzo a Londra.
C’è un’azienda che sta lavorando a un farmaco simile all’Ozempic per far dimagrire i gatti in sovrappeso Una casa farmaceutica sta sperimentando un impianto a rilascio costante di GLP-1 per aiutare i gatti obesi.
Paul Thomas Anderson ha rivelato i suoi film preferiti del 2025 e ha detto che non è affatto vero che questo è stato un pessimo anno per il cinema Secondo il regista, ci sono diversi film (oltre il suo Una battaglia dopo l'altra) usciti quest'anno di cui dovremmo essere molto contenti.
L’ansia da Spotify Wrapped è talmente grave che migliaia di persone hanno creduto a una bufala su una versione modificabile disponibile a pagamento Evidentemente, quella di scoprire di avere dei brutti gusti musicali scorrendo il proprio Wrapped è una paura più diffusa di quanto ci si immagini.

Un biglietto di sola andata per Marte

Tra 10 anni alcuni nostri simili partiranno verso il pianeta rosso. Non li rivedremo più, comunque vada, e a loro va molto bene. Una storia incredibile in cui il pericolo da superare sembra essere la noia.

10 Marzo 2014

Mars One è un’organizzazione privata finanziata da diversi investitori esterni che ha l’obiettivo di partire alla volta di Marte nel 2023 con una prima spedizione robotica. Nel 2024 è previsto la prima missione con team umano e da lì altre ne seguiranno a ritmo biennale. Gli umani in questione saranno selezionati dei 165mila che si sono proposti volontari e faranno di tutto per aggiudicarsi un biglietto di sola andato verso verso un altro pianeta.

Qualcuno dovrà pur farlo, d’altronde. La fantascienza ha messo in scena molte traversate galattiche, sempre con grande dispendio di attacchi alieni, asteroidi impazziti e navicelle in grado di viaggiare alla velocità della luce. La realtà dei fatti, nel pur avanzato XXI secolo, è che andare da un pianeta all’altro è impresa lunga, pericolosa e noiosa.

Ci sarà una selezione iniziale e poi una serie di allenamenti della durata di otto anni durante i quali gli aspiranti cosmonauti dovranno passare alcuni mesi in isolamento per testare la loro tenuta agli ambienti chiusi, la solitudine e una noia che si prospetta di dimensioni siderali. Sono persone normali quelle che finora hanno accettato, non assomigliano al Bruce Willis di Armageddon e non hanno alle spalle una lunga carriera nell’aeronautica come i pionieri Yuri Gagarin e Neil Armstrong. Ai nostri non verrà chiesto di guidare l’astronave o azionare l’iper-spazio. Il loro compito sarà di resistere per sette-otto mesi in una capsula minuscola sospesa nel nulla scomparendo per sempre dalla vita terrestre, per creare la prima colonia umana sul pianeta alieno. Secondo Mars One, in un documento della società in cui l’intento sembra di rassicurare il lettore, «l’esplorazione umana è pericolosa ad ogni livello. Dopo più di cinquant’anni di viaggi al di fuori della Terra, il rischio del volo spaziale è ancora pari a quello di scalare l’Everest». C’è però una differenza: non siamo abituati ad addii così definitivi. Ogni missione esplorativa della nostra Storia, per quanto rischiosa, si basava sulla remota possibilità di un ritorno a casa. Spesso è stata una pia illusione, o una bugia, ma abbiamo sempre potuto dire: “tutto andrà bene, ce la faremo e torneremo a casa”. Qui il ritorno non è contemplato. Servono persone che se tutto va bene, non vedranno mai più il nostro pianeta.

In un mini-documentario della Vita Brevis Film veniamo presentati ad alcuni di questi volontari: si chiamano, in ordine di apparizione, Cody Reeder, Casey Hunter, Will Robbins, Katelyn “Kitty” Kane, Ken Sullivan, Becky Sullivan e Calvin Juárez. Sono tutti magrini, alcuni sono nerd (quel tipo di nerd che ha mancato – o schivato – completamente l’ondata di coolness che ha investito il genere). «Una volta partito, qui sulla Terra sei tecnicamente morto. E mi va bene così», confessa amaro Cody, apicoltore.

Will Robbins ha invece il nome giusto. Sembra un cowboy, e i cowboy sono stati tra gli eroi della Frontiera. È sui trent’anni, ha capelli lunghi e radi, gli occhiali da geometra. È il peggiore astronauta del mondo; ma qui non parliamo di astronauti, parliamo d’altro. Guida uno strano mezzo elettrico, e si capisce subito perché potrebbe essere uno dei Prescelti: non gli bastava il Segway, il più solitario e asociale dei mezzi di locomozione. Lui ne vuole uno con una ruota sola. Sembra pronto ad affrontare la grande solitudine dello spazio.

Nel video, Will è il primo a spezzarti il cuore, a svelarci l’enormità della sua scelta, quando dice di «non avere un motivo per rimanere sulla Terra». Ne seguiranno altri: c’è Ken Sullivan che potrebbe lasciare per sempre la sua famiglia e singhiozza quando confessa che solo suo figlio potrebbe convincerlo a rimanere. Casey Hunter che invoca la sua fidanzata: «Lei potrebbe farmi restare, la Terra no». Calvin Juárez, che tra dieci anni potrebbe vedere la sua ragazza Katelyn diventare un puntino nel cielo.

165mila persone da 140 Paesi hanno scelto, silenziosamente. Hanno chiesto di poter lasciare il Pianeta. Ed ecco un orizzonte mai toccato dalla sci-fi, forse per eccesso di fiction e mancanza di cruda realtà del genere: la Frontiera dello Spazio – l’era che sta aprendosi – non sarà dominata da eroi intrepidi. Non all’inizio, perlomeno. Prima ci sarà questo disturbante mélange di disturbi sociali, personali e sogni («È il mio sogno sin da quando son bambino» è mantra che ricorre più volte tra i nostri, facendosi quasi alibi). Pensateci: lo Spazio. Marte. I Nuovi Pionieri. Una missione che offusca quel «piccolo passo per l’Umanità», stabilendo nuovi tempi e nuove misure. Il sogno del viaggio spaziale, l’incubo delle inevitabili avarie di bordo e dei problemi nell’atterraggio – tutte cose da risolvere per l’arrivo sul pianeta rosso, la loro nuova casa, che sarà più o meno così.

Arrivare su Marte sani e salvi per poi aspettare altre spedizioni, altre anime in fuga con cui inaugurare la colonizzazione del cielo. Ad attenderli ci saranno versioni giganti e mostruose di sentimenti come nostalgia, paura e noia. La giornalista scientifica Kate Greene ha raccontato su Aeon la sua esperienza presso l’Hawaii Space Exploration Analog and Simulation, un programma d’addestramento alla vita su Marte. Dopo quattro mesi di simulazione, l’inaspettata epifania:

All’epoca mi disgustava ammetterlo, perché faceva di me una persona molto lontana dalla vita avventurosa e dall’idea di classe esploratrice alla quale io e la mia squadra – comportandoci onestamente come astronauti – credevamo. Eppure, ripensandoci, non c’è alcun dubbio: ero annoiata e sono stata annoiata per la maggior parte del tempo.

Poco importa. Migliaia di volontari sembrano terribilmente sicuri della loro scelta: il progresso tecnologico potrà essere dalla loro parte, insieme alla fortuna, e certo gli allenamenti in stile Nasa faranno il resto. Ma il vuoto che vanno abbracciando richiede menti forti, folli, in grado di accettare una vita totalmente inedita per l’Umanità. Ma chi? Forse qualcuno come Cody Reeder, che nel documentario racconta di essere disposto a lasciare la «tutto sommato normale vita» sulla Terra: un lavoro come apicultore e un giro d’amici con cui trovarsi di tanto in tanto. Marte è però il sogno. Ha il retrogusto di suicidio ma crede di poterlo fare. C’è solo una cosa che gli mancherà, dice, qualora se ne andasse dal nostro pianeta: le sue api. Ed è a questo punto che ti viene il dubbio che sia proprio lui quello giusto.

Immagini: un momento della simulazione d’esplorazione del suolo marziano presso l’Hawai’i Space Exploration Analog and Simulation (via); Will Robbins in una scena del documentario “Mars One Way“; illustrazione della base marziana Mars One nel 2026 (via)

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