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Luigi Mangione, come un killer è diventato l’eroe di internet

Cosa significa la mania che si è scatenata intorno al caso del killer del Ceo di UnitedHealtcare.

di Davide Coppo e Francesco Gerardi

Non sapevamo che viso avesse e neppure come si chiamava. Questa ignoranza è durata 6 giorni, dalle prime ore del mattino di mercoledì 4 dicembre fino a un’altra mattina di quasi una settimana dopo, il 9 dicembre. Poi abbiamo saputo che il presunto killer del Ceo di UnitedHealthcare si chiamava Luigi Mangione, aveva 26 anni, era giovane e bello e uno studente modello. Queste ed altre ragioni hanno fatto diventare l’omicidio di un Chief executive officer relativamente sconosciuto in una delle storie più seguite da tutto il mondo su internet, e l’omicida una sorta di Robin Hood dei social media. Abbiamo provato a ragionarci su.

Francesco Gerardi: Mio malgrado, mi trovo a dover citare quello sketch di Louis C.K. Sicuramente ce l’hai presente: “Of course… But maybe…”. Of course, uccidere è sbagliato, anche uccidere lo spietatissimo amministratore delegato di una spietatissima compagnia di assicurazioni sanitarie. But maybe… In queste due parole, but maybe, sta tutta la storia di Luigi Mangione. Che è una storia di internet, da internet e per internet. Per giorni di questa persona non abbiamo saputo niente di niente, è bastata la sua silhouette ripresa nelle immagini delle telecamere di sorveglianza, un sorrisetto intravisto in foto sgranatissime per farne un personaggio, il protagonista di una storia tra leggenda metropolitana e mito popolare, una creazione tra il vendicatore e il liberatore. Internet ha riempito quella silhouette, ha interpretato quel sorrisetto rispondendo alle sue necessità: quando Luigi Mangione (il personaggio) ancora non aveva un nome aveva già compiuto il viaggio dell’eroe nella fantasia di internet. Il fatto è che questa storia ci ha fatto definitivamente capire come internet oggi coltivi quasi esclusivamente fantasie violente. Anche solo a guardarlo viene da pensare che non sia un freak, un misfit come Brian Azzarello o Thomas Matthew Crooks. Voglio dire, questo si è laureato da primo della classe in un’università della Ivy League! Faceva il data engineer! Non sarà semplice ridurlo al ruolo di “povero pazzo”.

Davide Coppo: Una storia completamente da internet, ma con una sua universalità. Foucault in Sorvegliare e punire racconta della natura dei supplizi pubblici nell’età moderna. Le pene corporali in quei secoli erano spettacolari e pubbliche, dovevano educare con il terrore. Poi, verso la metà del 1700, si iniziò a parlare di castighi più umani e, soprattutto, nascosti. Ci furono molti motivi per nascondere le pene (e creare quindi il sistema carcerario come lo conosciamo oggi: nascosto), ma uno dei più importanti fu l’empatia che spesso nasceva tra i popolani chiamati nelle piazze per assistere alle torture e alle uccisioni. A me sembra che certi passi di Foucault risuonino in modo incredibile nell’entusiasmo – nell’aura di leggenda, appunto – che Mangione ha creato intorno a sé in questa settimana di fuga. La rabbia contro un certo potere. Cito: «Se la folla preme intorno al patibolo, non è semplicemente per assistere alle sofferenze del condannato o eccitare la rabbia del boia: è anche per sentire colui che non ha più niente da perdere maledire i giudici, le leggi, il potere, la religione». Ancora: «C’è sempre, anche nella più estrema vendetta del sovrano, pretesto per una rivincita. A maggior ragione se la vendetta è considerata ingiusta. (…) Poiché i più poveri non hanno la possibilità di farsi ascoltare dalla giustizia, è là dove essa si manifesta pubblicamente, là dove sono chiamati a titolo di testimoni e quasi di coadiutori di questa giustizia, ch’essi possono intervenire, e fisicamente: entrare a viva forza nel meccanismo punitivo e redistribuirne gli effetti».

Francesco Gerardi: Sicuramente Mangione è per tanti versi una figura novecentesca, ottocentesca, pre-contemporanea, forse. Il giovane uomo arrabbiato, un archetipo, persino un cliché. Ci sono delle frasi che gli sono state attribuite, pronunciate a quanto pare subito dopo l’arresto e nel mezzo dell’interrogatorio, degne delle migliori autobiografie dei grandi rivoluzionari. «Questa gente se l’è cercata», pare sia stato il suo commento alla morte di Thompson. «Non ho dipendenze da nessuna droga e non soffro di nessuna psicopatologia», sembra abbia detto ai poliziotti che l’hanno catturato. Quindi sì, «maledire i giudici, le leggi, il potere, la religione». Ma Mangione è anche una figura quintessenzialmente internettiana, come dicevo: la sua supposta ideologia è un paciugo che mette assieme Peter Thiel e Bernie Sanders, la psicologia sociale, il fitness e la «legge della giungla» alla quale si vota in quella sua recensione di La società industriale e il suo futuro scritta su Goodreads. Da questo punto di vista, Mangione è fondamentalmente Gen Z: esposto a tali e tanti stimoli che la coerenza gli è impossibile. Prima di ribadire che Thompson quei tre proiettili se li è meritati tutti e tre, ha chiesto scusa per «i traumi» che potrebbe aver arrecato a chicchessia. Non riesco a immaginare niente di più Gen Z.

Davide Coppo: Un ulteriore parallelo tra l’eroe internettiano Mangione e gli eroi “del popolo”, gli anarchici e i regicidi, è la reazione del sistema davanti ai loro atti. Quando si sente in pericolo, il sistema si protegge con l’efficienza tipica dell’emergenza, in modo anche brutale. Meta e YouTube hanno chiuso tutti gli account riconducibili a Luigi Mangione, per nessun altro motivo se non la volontà di annichilire il sospetto assassino, ogni traccia della sua esistenza digitale. Mi ricorda le vicende dei documenti scomparsi su tutto ciò che riguardava il regicida Gaetano Bresci: non ci è rimasto nulla di scritto sullo status di ergastolano, sulle circostanze della morte, non c’è niente su di lui all’Archivio di Stato a Roma, non è mai stato trovato il dossier su di lui scritto da Giolitti. Però è più difficile, in questo caso, fermare l’idolatria: le decine di foto diffuse, la memificazione di Luigi Mangione, allora, diventa uno strumento scherzoso ma fondamentale per il popolo contro il sistema.

Francesco Gerardi: Tra l’altro questa storia per me dimostra come il potere nel senso in cui lo abbiamo inteso fin qui ha bisogno soprattutto di tempo e di spazio per esercitare la sua forza. Quello che hai detto sulla “cancellazione” di Bresci è vero ma è anche il racconto di un potere desuetissimo, che si articolava in una serie di “centrali” abbastanza grandi e importanti da permettere un quasi totale controllo della realtà. Questo potere poteva censurare l’articolo di un giornale, poteva far sparire dei documenti dall’Archivio di Stato, poteva persino piegare lo spazio e il tempo al suo volere: il film di Montaldo su Sacco e Vanzetti ebbe “problemi” di distribuzione 50 anni dopo la loro condanna a morte. Ma su internet il tempo e lo spazio semplicemente non esistono, è una dimensione in cui un potere, soprattutto uno non autoctono – uno che non sia quello delle piattaforme, quindi di internet stessa – è difficilissimo da esercitare. È vero che Meta e YouTube hanno chiuso tutti gli account riconducibili a Mangione, ma è anche vero che un secondo dopo la chiusura compariva almeno un account parodia, poi uno falso, poi uno di backup, poi uno di un copycat. Per buona parte della scorsa notte, migliaia e migliaia di persone – me compreso – sono rimaste in attesa di un video su quello che in quel momento pensavamo essere il vero canale YouTube di Mangione (alla fine è arrivato The Intercept a spezzare il sogno e a dimostrare che era tutta una burla). Un video – “Part 2”, il titolo – che era stato annunciato da una specie di teaser, intitolato “The Truth”, caricato sempre su quel canale YouTube. Nel thumbnail di “Part 2” si vedevano delle righe scritte in codice binario, degli impallinati hanno tradotto il binario in ASCII, da lì la versione nella lingua degli uomini: «La verità mi renderà libero». Ore e ore ad aspettare la spiegazione di tutto, poi il canale sparisce, e comincia un’altra attesa: quella per qualcuno che metta in piedi un altro canale e pubblichi i video, sia quelli già visti che quelli che ancora mancano. Nel frattempo YouTube continuava a chiudere tutti i profili anche solo lontanamente riconducibili a @PepMangione, solo per vederne spuntare altri dieci, cento, mille un attimo dopo. Far sparire davvero un’esistenza, in questa dimensione che chiamiamo internet, è difficilissimo. Impossibile, quando ad assistere all’impresa di quell’esistenza ci sono così tante persone. Che poi sono anche quelle che operano quella “mitizzazione secondaria” fatta di pagine di meme, stan account, partecipanti alle gare di sosia di Mangione, compratori della giacca Levi’s che indossava mentre sparava a Thompson, recensori che hanno scritto peste e corna del McDonald’s nel quale Mangione è stato arrestato, accusando clienti e personale di essere delle spie. Come si censura un fandom intero? E, soprattutto, ha senso sforzarsi o basta aspettare che anche questo, anche la violenza e la rivoluzione, vengano ridotti a un altro -core, a un’altra aesthetic, a un altro meme, significanti privati di ogni significato?

Davide Coppo: Per questo mi sembra super interessante non tanto dire quanto è legittimo o moralmente aberrante esultare per la morte di una persona come Brian Thompson, ma analizzare la trasformazione di Luigi Mangione da semplice omicida a eroe di internet. Prima ho citato il passato: prima gli Ancien Régime del 1700, poi le monarchie che erano riuscite a resistere fino al Novecento. È interessante notare come quelle forme di governo fossero sull’orlo del collasso, e immaginare un parallelismo con il sistema socio-economico che stiamo vivendo oggi come Occidente. Non soltanto il tremore che avvertiamo alle fondamenta del capitalismo, ma l’intero impianto democratico occidentale. Forse faccio un’ipotesi azzardata, ma nell’eroizzazione di Luigi Mangione vedo la trasfigurazione di un’esasperazione che nessun barometro politico, ancora, è riuscito a intercettare pienamente. Non è una rabbia per forza costruttiva. Ma questo non significa che non la si avverta, e che in parte contagi anche me, anche noi. Questo non significa che centinaia di migliaia di persone sono pronte a travestirsi da giustizieri della notte – internet è la patria del “dire qualcosa ma non farlo”, non a caso abbiamo inventato il termine slacktivism – ma questo entusiasmo è sintomatico di qualcosa. Non mi stupirei se il nome di Luigi Mangione, in qualche modo, entrasse nei libri di storia tra qualche decennio.

Francesco Gerardi: Sono d’accordo. Bisogna anche tenere conto di quanto americana sia questa storia, di quanto Mangione sia l’ennesima iterazione di una figura che in passato è stata Walden, poi Kaczynski, ora lui. Negli afflati rivoluzionari americani – se così vogliamo definire questa storia – c’è sempre un tratto solitario-suicidiario assai più marcato rispetto a quelli europei. Il rivoluzionario americano è una figura che tende a rinunciare alla vita, talvolta in senso figurato (l’abbandono della società/civiltà, quindi della vita stessa per l’uomo moderno), in altri casi letterale (la morte, del prossimo ma spesso e volentieri anche sua). Non è un caso che il più famoso “grido di protesta” americano sia e resti quello lanciato da Mario Savio durante le proteste studentesche di Berkeley: «There is a time when the operation of the machine becomes so odious, makes you so sick at heart, that you can’t take part! […] And you’ve got to put your bodies upon the gears and upon the wheels … upon the levers, upon all the apparatus, and you’ve got to make it stop!». La macchina americana è  così potente che di certo non basteranno i corpi di Brian Thompson e di Luigi Mangione a fermarla. Ma è certo anche che questi fatti, come dici tu, dicono tantissimo del pessimo stato delle cose.