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Il complottismo sta diventando la malattia del secolo

La morte di Max Azzarello, datosi fuoco a New York per protestare contro «il colpo di Stato fascista organizzato da Biden e Trump», ha riacceso il dibattito sull'altra pandemia che ci ha travolto in questi anni: quella complottista.

di Francesco Gerardi

Come tutti i fanatismi, il complottismo uccide. L’ultima vittima del complottismo si chiamava Max Azzarello, aveva 37 anni e venerdì 19 aprile, alle 13:35, si è dato fuoco a New York, davanti alla sede della Procura distrettuale dove si sta celebrando uno dei processi contro Donald Trump. Mentre si inzuppava i vestiti di liquido infiammabile, subito prima di dare fuoco alla sua stessa carne, Azzarello aveva lanciato in aria, tutto attorno a sé, dei volantini autoprodotti. Su tutti questi volantini era riportato un link alla newsletter Substack alla quale Azzarello si era dedicato nei mesi in cui la sua passione politica era degenerata in delirio: «Trump sta con Biden e stanno orchestrando un colpo di Stato fascista contro di noi», si legge sui volantini, nella newsletter Substack, sul cartello che portava in con sé il giorno prima di morire (aveva passato anche tutto il 18 aprile a “protestare” davanti alla stessa Procura distrettuale di New York). Il primo passante che ha chiamato i soccorsi dopo aver intuito cosa stesse succedendo ha detto che Azzarello è rimasto in perfetto silenzio mentre le fiamme lo uccidevano: a un certo punto si è accasciato al suolo, quando poliziotti e altri passanti sono riusciti a estinguere le fiamme di lui era rimasto soltanto un involucro carbonizzato. È morto poche ore dopo, nel reparto grande ustionati dell’ospedale più vicino. «Un atto estremo di protesta… per attirare l’attenzione su una scoperta urgente e importante», questo aveva scritto Azzarello sui suoi profili social poco prima di morire, annunciando quello che sarebbe successo.

La morte di Azzarello si potrebbe ridurre a un fatto di cronaca, al suicidio di una persona che «non ha ricevuto nessun aiuto da parte delle istituzioni», come ha raccontato Larry Altman, proprietario del modesto appartamento newyorchese in cui viveva. Si potrebbe risolvere la storia di Azzarello con la degenerazione di una psicopatologia mai diagnosticata e sempre ignorata, spiegarla come la stessa morte alla quale conducono tutte le malattie se lasciate a se stesse. Ma anche diagnosticassimo ad Azzarello una gravissima forma di paranoia, questo non toglierebbe nulla alla “peculiarità” delle forme nelle quali la malattia si è manifestata. Attorno al corpo carbonizzato di Azzarello sono stati ritrovati dei pamphlet intitolati The True History of the World (Haunted Carnival Edition), manifesto psicopolitico in cui l’uomo spiegava ai suoi concittadini la necessità di «abolire il nostro governo criminale e sostituirlo con uno che serva gli interessi di tutti». La ragione per la quale la storia di Azzarello ha stravolto così tante persone, soprattutto negli angoli di internet in cui ci si ritrova a discutere lo stato del complottismo internazionale, è che se decidiamo che lui era malato di paranoia, allora dovremmo estendere la stessa diagnosi a moltissime persone che ci circondano, che frequentiamo, che amiamo. Ad amici, parenti, conoscenti. Se decidiamo che Azzarello è morto perché nessuno lo ha aiutato a curare la paranoia, allora dovremmo usare la stessa preoccupazione per le moltissime persone che conosciamo e che sostengono le stesse tesi che Azzarello sosteneva sui suoi social, con la sua newsletter, nei suoi volantini. Se decidiamo che Azzarello è uno dei pazzi la cui spirale discendente è stata accelerata da internet, dobbiamo decidere come sopravvivere nel mondo in cui tutti usano la stessa internet di Azzarello, nella stessa maniera, per gli stessi scopi.

Nel momento in cui una persona evidentemente affetta da una psicosi dice, scrive, pensa quello che abbiamo già sentito, letto, discusso un’infinità di altre volte con un’infinità di altre persone, viene da chiedersi quale sia oggi la differenza tra un virus e un’idea, tra una malattia e un’ideologia, tra le tendenze suicide di un malato e le interpretazioni eccessive di un fanatico. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito all’evoluzione delle cosiddette conspiracy theories, all’espansione del dominio del complotto: da un insieme di galassie sì confinanti ma comunque distantissime, i complotti si sono pian piano avvicinati fino a fondersi tutti nello stesso universo, uno spazio immenso abbastanza da contenere tutti i fenomeni che si possano osservare e tutte le spiegazioni che a questi fenomeni si possano dare. Un’ideologia, appunto. Caratterizzata da quel tratto assolutistico, totalitario nel senso descritto da Hannah Arendt che tutte le ideologie tendono ad avere (e non è un caso che il complottismo per come lo conosciamo oggi sia cominciato con i totalitarismi, con il complotto del capitale con il quale l’Urss compensava tutte le sue mancanze e con i Savi di Sion che il Terzo Reich usava per giustificare le sue atrocità): il mondo intero può essere sia spiegato che aggiustato con gli strumenti che la stessa ideologia fornisce. Al di là del confine da essa stabilito e pattugliato, ci sono soltanto le forze nemiche. Si capisce perché la teoria del complotto di maggior successo nella storia recente sia quella di QAnon, in cui si sostiene che tutti sono il nemico, che il mondo e la vita stessa per come li abbiamo conosciuti fin qui sono una finzione a fini manipolatori, ingannatori, truffaldini.

Prima di diventare l’uomo di cui stiamo parlando in questi giorni, Azzarello era uno studente della Rutgers University definito dai suoi compagni di corso come «appassionato di giustizia sociale». Aveva contribuito da volontario alla campagna elettorale di due deputati democratici. Cosa sia successo tra la vita di quel ragazzo e la morte di quest’uomo, nessuno ancora è riuscito a capirlo. La cosa che ha colpito moltissimi, di questa storia, è che tutti quelli che lo conoscevano hanno descritto Azzarello come una persona estremamente intelligente e sensibile, il contrario del rozzo ignorante al quale subito pensiamo quando nella mente vogliamo fare il ritratto del complottista. Né si è capito come una persona interessata alla giustizia sociale sia finita a far causa alla Clinton Global Initiative perché convinto che questa fosse uno schema Ponzi per vendere criptovalute ai creduloni (il primo sintomo della malattia di Azzarello fu una scenata in un ristorante di St. Augustine, Florida, nel quale prenotò un tavolo appositamente per avere un’occasione di insozzare una foto di Bill Clinton con del vino rosso).

Un concetto fondamentale negli studi complottisti – se oggi DeLillo riscrivesse Rumore bianco, certamente farebbe di Jack Gladney un professore di studi complottisti – è quello del rabbit hole: uno strappo nel continuum spazio-temporale, un tunnel lungo le cui pareti i simboli del mondo reale sono esposti in una maniera che li priva di ogni significato originale e razionale: in una delle foto più osservate e studiate del profilo Instagram di Azzarello lo si vede con addosso una T-shirt da sanderista (“Bernie Sanders Eat the Rich”) abbracciato a Newt Gingrich, trumpiano duro e puro. Che senso può avere, il mondo in cui Bernie Sanders e Newt Gingrich sono una soluzione equivalente allo stesso problema? Come si fa a spiegare una teoria del tutto che tiene assieme la storia dalle guerre napoleoniche alla Striscia di Gaza, dal Covid-19 al Fentanyl, da Rothschild a Biden, dalle prossime presidenziali americane alla fondazione dell’Unione europea, avanti e indietro nel tempo, senza confini nello spazio. Come si raggiungono persone che si sono asserragliate nel mondo alternativo al quale si giunge alla fine del rabbit hole?

Durante lo scorso fine settimana, mentre leggevo di Max Azzarello, pensavo – speravo – che si tratta di una nuova forma di eccezionalismo americano: c’è sempre chi impazzisce mentre un impero crolla, e gli Stati Uniti sono l’unico impero ormai abbastanza antico da rischiare il crollo. Poi è successo quello che è successo con il monologo di Antonio Scurati su Rai3 per il 25 aprile, e mi sono messo a leggere di quello. Subito sui social ho visto comparire la spiegazione che temevo sarebbe comparsa, veloce e assoluta come sapevo sarebbe apparsa: non c’è stata nessuna censura, nessun dirigente Rai troppo zelante né editto governativo. È stato tutto organizzato da nemici astuti e spietati del governo Meloni, tutto realizzato al fine di danneggiare la Presidente del Consiglio. Scrivevano e dicevano tutti la stessa cosa: è stato un complotto.