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C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Averno e la poesia perfetta di Louise Glück, premio Nobel per la Letteratura

Dalla fine degli anni Sessanta la poetessa americana ha pubblicato una quindicina di raccolte, ma in Italia è quasi inedita.

08 Ottobre 2020

La prima volta che ho sentito parlare di Louise Glück è stato quando, casualmente, ho letto un paio di sue poesie su un blog. Leggo poco i blog, di solito distrattamente, ma la poesia, quando funziona veramente, ha il dono di rimanerti in testa. Le parole svaniscono insieme ai significati, ma lì dove si sono poggiate lasciano un’impronta, come quella della testa sul cuscino. Hanno un’altra importante caratteristica, le poesie che funzionano veramente: finita una, vuoi leggerne un’altra, e quando il libro è finito, vuoi leggere tutti i libri di quel poeta. Purtroppo, di Louise Glück, in commercio non c’era niente: in Italia i poeti stranieri vengono tradotti poco, perfino quelli, come Glück, che hanno vinto un Pulitzer e in patria sono considerati delle leggende che camminano.

Attualmente, di Glück troverete in commercio solo Averno, recentemente tradotto da Massimo Bacigalupo per Libreria Dante & Descartes, mentre il libro con cui ha vinto il Pulitzer nel 1993, L’iris selvatico, sempre tradotto da Bacigalupo e pubblicato da Giano, è ormai introvabile. Quindi, se da un lato mi dispero per le sorti della poesia non tradotta e mi dispiaccio per De Lillo, Pynchon e McCarthy che anche quest’anno l’Accademia di Svezia ha ignorato, dall’altro confido che l’editoria italiana si accorga di questa ex-oscura poeta newyorchese e le dia il destino editoriale che merita.

Nella motivazione del premio si citano la chiarezza, la severità e il desiderio di essere universale della poesia di Glück, con un ovvio riferimento a Emily Dickinson. In effetti, la poesia di Glück è oggettivamente severa, tesa com’è nello sforzo di raccontare l’io e la natura nella maniera più precisa possibile, senza sbavature. Nella sua opera non troverete nemmeno una parola fuori posto o superflua, solo un eccezionale senso della forma e un incredibile equilibrio compositivo. Da ex-anoressica, Glück tende alla perfezione, ma non per questo i suoi libri sono freddi o pretenziosi; non sono esperimenti a sangue freddo ma operazioni a cuore aperto in cui il chirurgo ha sapientemente occultato le tracce organiche.

In Averno troviamo spesso immagini dell’inverno. Si parla in effetti anche delle altre stagioni, perché Persefone, la protagonista del dramma, è figlia della dea della Terra e regola quindi l’avvicendarsi delle stagioni. È stata rapita da Ade; alcuni dicono vicino al lago Averno, poco lontano da Napoli, altri sulle rive del lago di Pergusa, vicino ad Enna. Nelle versioni che conosciamo del mito di Persefone il ruolo della fanciulla è poco chiaro; Glück la rappresenta come una ragazza che fatica a trovare il suo posto nel mondo e rischia di rimanere schiacciata da forze più grandi di lei. La voce poetica di Averno dice io, ma questo io potrebbe essere chiunque: Persefone, che non sa cosa desidera, Ade, che le costruisce una casa nel suo regno oscuro sperando che ci si trovi bene, il poeta, che desidera la vita ma sente che la morte è altrettanto vicina: «Una luce soffusa si alza sopra la distesa del prato, / dietro il letto. Egli la prende tra le braccia. / Vorrebbe dire ti amo, niente può farti del male // ma pensa / questa è una bugia, quindi alla fine dice / sei morta, niente può farti del male / che gli sembra / un inizio più promettente, più vero».

Il mito è materia dei poeti, ma è materia ostica; maneggiandolo male si finisce facilmente col fare una poesia di maniera, banale e poco sentita. Nel caso di Averno, invece, abbiamo due archetipi – la terra e Persefone – che sostengono un’architettura sapiente e potentissima. Persefone rappresenta, tra le altre cose, l’esperienza dell’incontro con l’altro, e specialmente l’esperienza amorosa, che è sempre un incontro al buio e un apprendimento del rischio. Nonostante il buio, Persefone, come il poeta, non si tira indietro, perché le esperienze del limite sono, in fondo, ciò di cui si nutre.

E poi c’è l’archetipo della terra, che è limite tra la terra e il cielo e terreno di battaglia tra uomini e uomini e tra uomini e dèi: nelle prime poesie di Averno si osserva il volo notturno degli uccelli migratori, si contempla il ritorno dell’inverno, del freddo che attanaglia di nuovo la terra, e le sue ferite ci ricordano quello che abbiamo perduto o sprecato. Ci ricordano anche che l’estate finisce sempre troppo presto, e che le tregue dalla morte sono sempre troppo brevi: «L’occhio si abitua alle sparizioni. / Non sarai risparmiata, né ciò che ami sarà risparmiato. // Un vento è venuto e passato, smontando la mente; / ha lasciato nella sua scia una strana lucidità. // Quanto sei privilegiata, ad aggrapparti ancora con passione / a ciò che ami; / la rinuncia alla speranza non ti ha distrutto. // Maestoso, doloroso: // Questa è la luce dell’autunno; si è volta su di noi. / Di certo è un privilegio avvicinarsi alla fine / credendo ancora in qualcosa». Niente, credo, è più universale di questo.

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