Almeno, secondo le più accreditate teorie elaborate sui social sarebbe il suo e la fotografia l'avrebbe scattata Talia Chetrit.
C’era grande attesa per questo nuovo album di Lorde (anche perché, a partire da Pure Heroine, uscito quando aveva 16 anni, nel 2013, ne sforna uno ogni quattro anni). Era da mesi che la saggia Lorde disseminava una serie di riuscitissime mosse che contribuivano ad aumentare l’hype. Prima la collaborazione con Charli XCX su una delle canzoni più amate e chiacchierate del remix di brat, “Girl, so confusing”, poi l’epica camminata insieme alla stessa Charli durante il Coachella (riguardiamocela per la centesima volta qui, che non fa mai male), diventata virale sui social anche per via del look di Lorde, così poco da esibizione al Coachella (i fan si sono convinti che fosse lì soltanto per assistere al concerto e che Charli l’abbia tirata sul palco all’ultimo) e proprio per questo molto cool.
Maestra di hype
Un mese prima, a maggio, il suo look Thom Browne sul red carpet del Met Gala spoilerava il video di “Man of The Year” (il rettangolo di tessuto argento che le copriva il seno anticipava, avremmo scoperto dopo, lo scotch con cui si copre il seno nel video). E poi il mini-concertino fatto per i fan accorsi a Washington Square Park dopo che lei aveva dato appuntamento con una storia Instagram, manco fosse un’artista indie con 10 mila follower (ne ha 11,2 milioni). O meglio, il concertino per i fan che sono riusciti a restare nonostante la polizia abbia tentato di disperderli per motivi di sicurezza (erano troppi, ovviamente, e poi a quanto pare c’era chi aveva iniziato ad arrampicarsi sugli alberi per essere sicuro di vederla meglio). E poi le bellissime foto di Talia Chetrit, in cui è sexy e attraente in quel modo così diverso dalle altre popstar – un modo tutto suo – con cui ci ha deliziato nelle settimane precedenti l’uscita dell’album.
Come scrive Alexis Petridis nella sua recensione sul Guardian, il suo disco precedente, Solar Power (2021), «suonava come una lettera di dimissioni spedita da una spiaggia della Nuova Zelanda». A quanto pare, però, «si è rivelato solo un messaggio di risposta automatica. Quattro anni dopo, Lorde non solo è tornata, ma pare proprio tornata nella modalità party girl di Melodrama del 2017». Crescere è cambiare e contraddirsi e ritrovarsi: si vede che questi anni – e l’influenza e il successo di brat, e il floppino di Solar Power con la sua utopia di una pace interiore raggiungibile soltanto gettando il cellulare nell’oceano, dicono i più cinici – sono bastati a Lorde per ritrovare la voglia di tornare a fumare (aveva smesso da dieci anni), sdrogazzarsi, scrollare i social, questa volta con una nuova consapevolezza su chi è e cosa vuole.
Tutta daccapo
L’album infatti si chiama Virgin, come a sottolineare questa idea di ricominciare daccapo, e fin dalla copertina si propone come una radiografia del corpo di Ella Yelich-O’Connor e della sua interiorità. In questi giorni sui social circola un’altra immagine del pube di Lorde (amorosamente soprannominato dai fan “Lordussy”: Lorde + pussy), questa volta non l’interno ma l’esterno, fasciato da un paio di pantaloni di plastica trasparente, una foto inclusa nel libretto del vinile che, come le altre che hanno accompagnato l’uscita dell’album e dei singoli, è stata scattata dall’artista fotografa Talia Chetrit (sicuramente ispirandosi a un suo autoritratto molto simile, ma anche, forse, a “L’Origine du monde” di Gustave Courbet).
Che in questa sua fase urbana Lorde sia o voglia essere percepita come una persona dotata di gran gusto artistico è più chiaro che mai: oltre all’intelligentissima scelta di farsi ritrarre da Talia Chetrit e di affidare a un’altra importante artista fotografa, Heji Shin, la copertina dell’album, nel video del singolo “Man of the Year” danza in modo animalesco col petto scotchato su un pavimento ricoperto di terra che richiama l’installazione artistica “New York Earth Room” di Walter De Maria, mentre nell’intervista uscita su Vogue America, in risposta a una domanda di Hari Nef, cita la scrittrice Rachel Cusk. In Virgin Lorde ci racconta la sua vita negli ultimi anni: ha comprato casa a New York, fatto amicizia con degli artisti e letto un sacco di libri, ha attraversato la fine di una relazione e la “morte dell’ego”, ha fatto i conti con un disturbo alimentare (già “spoilerato” nella canzone con Charli e qui ripreso in “Broken Glass”), ha iniziato a vivere un rapporto più fluido con il suo genere («Can’t believe I’ve become someone else / Someone more like myself», canta).
La vecchia Lorde
Musicalmente, siamo tornati al minimalismo di Pure Heroin, e alle atmosfere festaiole di Melodrama, anche se Jack Antonoff è sparito e al suo posto troviamo Jim-E Stack, uno che ha lavorato con Bon Iver e Caroline Polacheck, ma anche Daniel Nigro e l’amico e collaboratore Dev Hynes. Ci sono delle hit da ascoltare pedalando a tuono proprio come fa lei nel video di “What Was That” (che infatti è una di quelle) (lo dicevo anche nel pezzo su Addison Rae: è l’effetto di un album pop sulla pedalata di una ragazza a decretarne la qualità) ma anche delle ballad stranissime come “Man of The Year”, che sale sale sale poi si ferma, oppure come la canzone d’apertura “Hammer”, «an ode to city life and hornines», come ha spiegato lei stessa (bellissimo il video di Renell Medrano, un’altra artista fotografa, ambientato nel verde di Hampstead Heath a Londra), che sembra non iniziare mai, ma quando inizia regala una bella botta di purissima droga Lordesca.
Pur valutandolo “solo” 7.6 (meno di quello di Addison Rae!), nella sua bellissima recensione su Pitchfork Olivia Horn, paragona l’album a The Ballad of Sexual Dependency di Nan Goldin (altra artista fotografa): un collegamento che può sembrare un po’ ardito, ma a pensarci bene, in effetti, sia Goldin che Lorde, pur raccontando cose molto intime e specifiche e autobiografiche, sanno sempre mantenere, una nelle fotografie e l’altra nella musica e nei testi (che restano sempre il suo forte, non a caso è figlia di una poetessa), uno spazio che possiamo riempire con le nostre emozioni e le nostre storie.
La spirale
Nella controversa intervista di Rolling Stone, quella in cui senza motivo, e scioccando i suoi fan, dice che ha guardato e apprezzato molto il porno di Pamela Anderson e Tommy Lee (a quanto pare non le interessa che Anderson abbia sofferto moltissimo per il leak di quel video, come ha ripetuto anche recentemente), racconta anche che per lei la rivoluzione è stata smettere di prendere la pillola anticoncezionale dopo 10 anni: «È come se, smettendo di usare gli anticoncezionali, avessi tagliato una sorta di cordone ombelicale tra me e questa femminilità regolata. Sembra assurdo, ma ho sentito che all’improvviso ero fuori dagli schemi rigidi della femminilità». Dopo, però, le è stato diagnosticato un disturbo disforico premestruale (una forma di sindrome premestruale con dolori fortissimi e sbalzi d’umore debilitanti) e ha messo la spirale che si vede nella copertina dell’album.
E se ci troviamo qui a parlare della spirale di Lorde, e della sua ovulazione che non aveva da dieci anni, è perché ha descritto come questi cambiamenti abbiano influito sulla sua espressione di genere: «I’m a woman, except for the days when I’m a man», canta in “Hammer”, un po’ Orlando di Virginia Woolf. Una frase, e una confusione, in cui, a giudicare dai commenti che ho letto in giro, tantissime donne cisgender come lei si sono riconosciute.