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Shein ha usato un modello AI uguale a Luigi Mangione in una pubblicità ma è stata subito costretta a rimuoverla È durata poco, molto poco, la prima volta di Luigi Mangione come testimonial di una multinazionale (a sua insaputa).
Sulla Global Sumud Flotilla c’è anche la scrittrice Naoise Dolan «Qualunque cosa accada sulla barca non potrà causarmi più disperazione di quanta ne provocherebbe il non fare nulla», ha detto.
Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.
Il Ceo di Nestlé è stato licenziato per aver nascosto una relazione con una sua dipendente Una «undisclosed romantic relationship» costata carissimo a Laurent Freixe, che lavorava per l'azienda da 40 anni.
La turistificazione in Albania è stata così veloce che farci le vacanze è diventato già troppo costoso I turisti aumentano sempre di più, spendono sempre di più, e questo sta causando gli ormai soliti problemi ai residenti.
Nell’assurdo piano di Trump per costruire la cosiddetta Riviera di Gaza ci sono anche delle città “governate” dall’AI Lo ha rivelato il Washington Post, che ha pubblicato parti di questo piano di ricostruzione di Gaza che sembra un (brutto) racconto sci-fi.

Lo strano caso dei giornali femminili

Argomenti seri di fianco a "top list, pezzi hot, must-have": pur fra mille contraddizioni, sono quelli che vanno meglio e che più si adattano alle dinamiche del digitale.

24 Ottobre 2016

Non che sia d’interesse generale, ma la mia esperienza nella “moda” a Milano è iniziata in un piccolo giornale indipendente in lingua inglese, che si prefiggeva di raccontare la creatività italiana in tutti i campi. Io volevo scrivere di moda, e sul quel piccolo giornale, a volte bello, altre meno, ho iniziato a confrontarmi con l’editoria e a lavorare sulla mia idea di lettori, autori e giornalismo. Ho avuto la libertà di scrivere come e di cosa mi piaceva di più – si faceva tanto scouting di progetti e persone nuove – e per un po’ di tempo ho pensato che produrre contenuti per un pubblico ristretto, che si considerava colto e alternativo, con il quale evidentemente mi identificavo, fosse la cosa più vicina al modello di giornale in cui volevo lavorare. Insomma, scrivere di cose che avresti letto e condiviso, con un certo compiacimento da outsider.

Gli eventi, però, mi hanno portato a lavorare in un femminile mass-market di un grande gruppo editoriale italiano, e per il primo anno mi sono tenuta alla larga dal “canale” della moda (qui parliamo di web, badate bene). Mi limitavo a scuotere la testa da lontano di fronte all’ennesimo articolo su Come sembrare più magra, Come nascondere i fianchi larghi, Come abbinare i colori, Come vestirsi per conquistare il tuo lui finendo per stordire le mie più navigate colleghe con discorsi vaghi (e piuttosto inconcludenti, me ne rendo conto oggi) sull’editoria inglese, e The Gentlewoman, e Miuccia Prada, e AnOther Magazine, e il Corriere delle dame che era politico, e la rivoluzione di Helen Gurley Brown, e cose così. Per fortuna a un certo punto ho realizzato che avevo affrontato il problema dal lato sbagliato. D’altra parte, come la maggior parte delle trentenni di oggi (e di quelle prima di noi, andando a ritroso almeno fino alla metà del Settecento, quando le riviste di moda sono nate, in Francia) di femminili sono cresciuta e mi sono nutrita, così come di tutti quei consigli per gli acquisti, di stile, top list, pezzi hot, must-have di stagione e via dicendo. Fittissime liste di prodotti e didascalie scritte in font troppo piccoli da spulciare con attenzione per sentirsi aggiornate, gallery da scorrere sullo schermo del portatile o dello smartphone. Quello legato alla moda o ai temi cosiddetti femminili – beauty, cura del corpo, make-up, abbigliamento – è un enorme patrimonio Seo e di investimenti pubblicitari che non trova riscontri in altri settori. Se a questo patrimonio si aggiungono le problematiche legate alla genitorialità, alla coppia e più in generale al sesso e al ruolo della donna nella società, è lampante come di argomenti di discussione per fare la differenza ce ne sono, eccome.

Il problema è che, rispetto a questi temi, il giornalismo digitale ha prodotto un cortocircuito. Un sito per sopravvivere ha bisogno di fare traffico così come un giornale di carta deve vendere copie, e le cose che fanno traffico sono sempre le stesse (le diete, il kamasutra, le ricette), dicono i pedanti del web. Cosa fa allora il buon femminile del 2016? Continua a pubblicare articoli che invitano le sue lettrici a dimagrire, oppure cavalca l’onda della “body diversity” issando la bandiera Beyoncé e dei fianchi importanti, perché siamo tutte bellissime, perché grasse si può, beh non proprio grasse diciamo cicciottelle, o anzi no che non è corretto, meglio toniche, dai. Probabilmente li pubblicherà entrambi, anche nello stesso giorno, e li posterà sui social, in una sorta di schizofrenia non risolta che angoscerà le editor stressate e farà arrabbiare le commentatrici seriali su Facebook. C’è una direzione da seguire, un modello virtuoso a cui ispirarsi? Stiamo capendo tutti che un unico modello vincente, per il giornalismo su internet, non esiste. Nel frattempo, ho imparato che le cose di qualità e quelle di servizio non debbono per forza essere in contraddizione. Per fortuna.

Nella foto: H. Gurley Brown, storica direttrice di Cosmopolitan
Dal numero 28 di Studio, in edicola
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