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Diversi grandi hotel sono stati accusati di fare offerte ingannevoli e fuorvianti su Booking L’authority inglese che si occupa di pubblicità ha scoperto che quelle convenientissime offerte non sono mai davvero così convenienti.
Gli scienziati hanno scoperto che il primo bacio sulla bocca è stato dato 21 milioni di anni fa E quindi non se l'è inventato l'homo sapiens ma un ominide, un antenato comune di uomini, scimpanzé, gorilla e orango, animali che infatti si baciano.
Non si capisce bene perché ma Nicki Minaj è andata alle Nazioni Unite a parlare dei cristiani perseguitati in Nigeria Sembra che a volerla lì sia stato Trump in persona, dopo che in più occasioni Minaj gli ha espresso pubblico supporto sui social.
La nuova tendenza nell’industria del beauty è vendere prodotti di bellezza anche a bambine di 3 anni Da anni si parla di Sephora Kids, ma adesso ci sono storie che riguardano bambine addirittura più piccole.
Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.
Per la prima volta è stata pubblicata la colonna sonora di Una mamma per amica In occasione del 25esimo anniversario della serie, su tutte le piattaforme è arrivata una playlist contenente i migliori 18 brani della serie.
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.

Livelli di gioco

Partire da un campo di tennis per raccontare il '900 americano. Recensione dell'articolo capolavoro di John McPhee, uscito per Adelphi.

07 Giugno 2013

Nel 1968, mentre gran parte del giornalismo culturale americano era impegnata a seguire quello che accadeva dentro i campus universitari, dalla lotta per i diritti civili ai sit-in contro la guerra in Vietnam, John McPhee decise di raccontare una cosa successa dentro il rettangolo verde di un campo da tennis e neppure la più significativa: non una finale di Wimbledon ma “semplicemente” una semifinale del primo US Open della storia. La disputano a Forest Hills, nel Queens di New York, due tennisti venticinquenni non ancora passati tra i professionisti: Arthur Ashe e Clark Graebner. Sono diversi in tutto. Il primo è un nero smilzo e rapido, un democratico appassionato di donne e buone letture che pratica un tennis benedetto da una eleganza fuori dal comune. Il secondo è un bianco, grosso e potente, leggermente viziato e di buona famiglia, un conservatore convinto che sul comodino tiene un libro su Nixon, uno metodico come il suo gioco. Nonostante le divergenze, tra i due esiste del rispetto, quasi amicizia. Le loro racchette si sono incrociate infinite volte fin da quando erano poco più che bambini ed entrambi fanno parte del team americano di Davis. Fuori dal campo Ashe è un tenente dell’esercito che insegna tennis ai cadetti lasciandogli qualche set per alimentare la fiducia in loro stessi. Per lui la vittoria è un obiettivo subordinato alla volubilità delle sue spettacolari e azzardate demi-volée. Graebner «vende carta di altissima qualità, un lavoro a cui tiene moltissimo» e grazie al quale ambisce a diventare milionario prima dei quaranta. Per lui la vittoria è un traguardo minimo da strappare punto dopo punto grazie a dei servizi così potenti che McPhee li descrive semplicemente attraverso una onomatopea. Crac.

Sono questi i presupposti da cui parte Livelli di gioco di John McPhee (uno dei tre-quattro mammasantissima dell’età dell’oro del New Journalism americano) un leggendario e lunghissimo pezzo di giornalismo, sportivo e non solo, recentemente pubblicato da Adelphi in un libro curato da Matteo Codignola e intitolato semplicemente Tennis.

McPhee, Premio Pulitzer 1999, è stato staff writer del New Yorker per oltre trent’anni e quando ha scritto Livelli di gioco, originariamente apparso su quella rivista, lo era da tre. Aveva 37 anni e con questo pezzo raggiunse probabilmente l’apice del suo stile dell’epoca, realizzando un doppio profilo incrociato che è una delle esperienze più prossime alla sensazione di “guardare un documentario” mentre in realtà si sta leggendo un libro.

Per scrivere il pezzo McPhee si fece dare i nastri della partita da CBS, contattò i due protagonisti e la guardò insieme a loro infinite volte raccogliendo i loro commenti sulle varie fasi del gioco insieme a quelli di persone che gli erano vicine, secondo la tecnica che adottava all’epoca per tutti i suoi profili: collezionare più materiale possibile da più punti di vista possibili in una sorta di accerchiamento dell’oggetto della narrazione. Terminata questa fase si mise a scrivere ricostruendo il match praticamente punto per punto, seguendo la pallina da tennis da un lato all’altro del campo, da una prospettiva all’altra del racconto costruendo geometrie narrative di stupefacente simmetria.

Il risultato è una performance letteraria che, come un video di Douglas Gordon, dilata i gesti per studiare cosa si cela tra le loro fessure. McPhee comincia con due venticinquenni, un pomeriggio e un rettangolo verde del Queens e da lì fila un reticolo di storie che raccontano altre storie che raccontano altre storie ancora e finisce con l’attraversare gli Stati Uniti da costa a costa, di generazione in generazione come un ragno che da un minuscolo bozzolo pazientemente ingrandisce la sua tela fino ad avvolgere l’intero cespuglio. Campus e sit-in compresi, ovviamente.

Immagine: Arthur Ashe nel 1968

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