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00:39 lunedì 20 ottobre 2025
Hollywood non riesce a capire se Una battaglia dopo l’altra è un flop o un successo Il film di Anderson sta incassando molto più del previsto, ma per il produttore Warner Bros. resterà una perdita di 100 milioni di dollari. 
La Corte di giustizia europea ha stabilito che gli animali sono bagagli e quindi può capitare che le compagnie aeree li perdano Il risarcimento per il loro smarrimento è quindi lo stesso di quello per una valigia, dice una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.
È uscito il memoir postumo di Virginia Giuffre, la principale accusatrice di Jeffrey Epstein Si intitola Nobody’s Girl e racconta tutti gli abusi e le violenze subiti da Giuffré per mano di Epstein e dei suoi "clienti".
È morto Paul Daniel “Ace” Frehley, il fondatore e primo chitarrista dei KISS Spaceman, l'altro nome con cui era conosciuto, aveva 74 anni e fino all'ultimo ha continuato a suonare dal vivo.
Dell’attentato a Sigfrido Ranucci sta parlando molto anche la stampa estera La notizia è stata ripresa e approfondita da Le Monde, il New York Times, il Washington Post, Euronews e l’agenzia di stampa Reuters.
Oltre alle bandiere di One Piece, nelle proteste in Usa è spuntato un altro strano simbolo: i costumi gonfiabili da animale Costumi da rana, da dinosauro, da unicorno: se ne vedono diversi in tutte le città in cui si protesta con Trump e contro l'Ice.
Secondo Christopher Nolan, non c’è un attore che quest’anno abbia offerto un’interpretazione migliore di The Rock in The Smashing Machine Quello del regista è il più importante endorsement ricevuto da The Rock nella sua rincorsa all'Oscar per il Miglior attore protagonista.
Dopo 65 anni di pubblicazione, Il Vernacoliere chiude ma non esclude il ritorno Lo ha annunciato su Facebook il fondatore e direttore Mario Cardinali, che ha detto di essere «un po' stanchino» e spiegato la situazione di crisi del giornale.

L’Avana

La capitale cubana, gli zombi di Juan De Los Muertos, e la globalizzazione (buona) del cinema di genere

01 Novembre 2011

Fino a qualche tempo fa sembrava che il capitolare della nostra civiltà, lo sgretolarsi della realtà su cui la globalizzazione ci ha faticosamente messo (più o meno tutti) d’accordo, si sarebbe manifestata prima nei luoghi di eccellenza del nostro status quo. L’11 settembre 2001 ce l’aveva confermato, mettendo in scena quello che sembrava a tutti gli effetti la scena di un colossal catastrofico, uno di quelli che sempre più spesso ci mettono alla prova nel weekend, quando investiamo i nostri sudati euro in una catartica allucinazione collettiva. Sullo schermo, ci piace far finta che la fine sia vicina, che non ce n’è ancora per molto, ma ci piace anche vedere l’avvicinarsi dell’inevitabile attraverso il comodo filtro pop-culturale di Hollywood. E’ sempre la Statua della Libertà a galleggiare faccia in giù nell’Oceano, sono sempre le strade di New York a disintegrarsi sotto i piedoni palmati dell’ennesima creatura strisciante sollevatasi dal fondo del mare.

Un paio di anni fa l’uscita di District 9 aveva portato un po’ di freschezza da questo punto di vista, con il suo ritratto (sorprendentemente realistico) di uno scenario distopico in cui la fine della società come la conosciamo, nonostante la sua drasticità, non rappresenta che una transizione. L’arrivo dell’astronave aliena che si parcheggia indefinitamente a Johannesburg, e la conseguente situazione di emergenza demografica, alla lunga vengono assorbiti dal quotidiano. E anche l’effetto novità di District 9, film di genere globalizzato a tutti gli effetti (regista il sudafricano Neill Blomkamp, produttore il neozelandese Peter Jackson, distribuzione internazionale) sembra aver innescato un processo di rivendicazione dell’immaginario fantascientifico, con il fondamentale contributo di Internet. Così come il film di Blomkamp era nato da un corto pubblicato qualche anno prima su YouTube, anche il breve ma spettacolare Ataque de Pànico (in cui dei robottoni disintegrano i landmark di Montevideo) procura al suo giovane creatore uruguaiano, Fede Alvarez, un’offerta ghiottissima da parte di Ghost House, lo studio di produzione di Sam Raimi.

Non sempre, però, ci vuole lo zampino di giganti occasionalmente illuminati. L’ultima città ad aver rivendicato un punto di vista locale su un genere e un formato ampiamente globalizzato (questa volta l’horror) è infatti quanto di più lontano ci possa essere dagli studios di Hollywood: L’Avana. Il film in questione si intitola Juan de los Muertos (o Juan of the Dead, come è stato presentato al Fantastic Fest, il “più grande festival di genere degli Stati Uniti”) ed è una reinterpretazione in chiave cubana del classico zombie movie alla Romero. Un po’ più ironico, certo (già dal titolo si intuisce un riferimento poco velato a Shaun of the Dead, ma abbastanza serio per quanto riguarda il fattore  budget: poco più di un milioncino e mezzo di dollari. Non sembra granché, ma è abbastanza per rendere la produzione spagnolo-messicano-cubana il più costoso film recentemente prodotto a Cuba, nonché il primo indipendente. Il film è stato significativamente appoggiato dalla ICAIC (istituto cinematografico gestito dal governo) ed è stato prevedibilmente e giustamente spinto in patria. Chi l’ha visto dice che gli effetti speciali (del sano gore artigianale coadiuvato dalla giusta quantità di interventi digitali) sono abbastanza convincenti e, di conseguenza, c’è rischio di distribuzione e successo globale.

Dal punto di vista del contenuto, il regista Alejandro Brugués (che è argentino, non cubano) ci ha tenuto a dare qualche tocco locale alla trama, includendo anche della moderata satira verso il regime ospitante. Quando gli zombi iniziano a fare casino sull’isola, per esempio, le autorità cubane fanno in fretta ad additare il fenomeno come una congiura propagandistica statunitense. Il protagonista Juan, invece, essendo tipicamente fannullone ma pieno di risorse, si inventa un business: lui e qualche amico suo, dietro congruo compenso, si prestano a uccidere i parenti zombi che la gente si fa troppi scrupoli a liquidare in prima persona. E lo fanno a colpi di machete e remi, piuttosto che fucile a pompa (immancabile risorsa in ogni zombi movie che si rispetti), siccome a Cuba i civili non possono possedere armi da fuoco. Qualcosa si può vedere in diversi trailer e teaser su YouTube, con il lungomare cubano a fare da sfondo al solito massacro zombie, stavolta in versione demenziale.

Probabilmente la cubanità del film si fermerà qui, ma se tutto va bene forse lo vedremo presto anche noi. Solo allora potremo finalmente capire se tutto il parlare che se ne è fatto sui media di ogni tipo era giustificato, se si tratta solo di un filmetto postmoderno come tanti o di una piccola gemma (non al livello di District 9, ma a suo modo).

“A 50 anni dalla Rivoluzione Cubana, una nuova rivoluzione sta per cominciare…”, è la tagline del film. Forse una rivoluzione proprio non sarà, ma Juan de los Muertos potrebbe essere un altro passettino verso un futuro in cui la globalizzazione dei film di genere (che poi per certi versi sono il cinema più cinema) vorrà dire altro che non “distribuzione globale di blockbuster Hollywoodiani”. Staremo a guardare.

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