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Tutti i pianeti di Laila Al Habash

Metà romana e metà palestinese, ha pubblicato il primo album, Mystic Motel, che mescola R&B, carte astrali, Raffaella Carrà e Serge Gainsbourg.

di Francesca Faccani

Laila Al Habash, ritratto di Gianluca Moro

Puoi stare sicuro che a un certo punto, quando in un film americano si mette male, spunterà fuori la scritta al neon di un motel, e andrà tutto miracolosamente bene. Sono le tre di notte, c’è la nebbia, un protagonista che guida senza direzione e al lato della strada provinciale una scritta al neon che si profila promettendo un letto caldo e qualche avventura esoterica da raccontare quando tornerà a casa e avrà dimenticato la delusione d’amore che l’aveva gettato in strada. Questo luogo ora non esiste più solo nello schermo, ma è anche il Mystic Motel di Laila Al Habash, il suo primo disco che arriva dopo anni di singoli e un Ep, Moquette, uscito a febbraio. In realtà di America nella ventitreenne italo-palestinese c’è poco e niente, giusto il timbro sul passaporto del cartellone con la sua faccia affisso a Times Square quest’estate. 

C’è Roma, invece, dove è nata e che esce prepotentemente in alcune canzoni come il featuring con Coez, c’è Milano, dove vive ora, luogo di una serie di cuori infranti. Nel tempo va avanti e indietro tra gli anni Settanta, con la sua adorazione per Raffaella Carrà e le tutine scintillanti che si infila nei live, e il 2021, facendosi interprete dell’immaginario astrologico della Generazione Z. La carta astrale di Mystic Motel sarebbe incredibilmente arzigogolata, un po’ di aria, acqua di “Ponza” («Eri un’isola tropicale / Di quelle che quando arrivi dici “non ritorno più”»), e molto, tanto, fuoco. Mentre fuori è buio, c’è la nebbia, scoppiano conflitti geopolitici dalle dimensioni catastrofiche, la hall del suo motel è uno splendido luogo dove rifugiarsi, sotto lo scintillio del grande lampadario al centro, dove trovare conforto sul ritornello di una canzone romantica e amara il giusto. Dove la cosa peggiore che può succedere è Mercurio in posizione retrograda e che un uomo più grande, «dagli occhi sempre all’ingiù come Gainsbourg», finisca per spezzarti il cuore. 

Nonostante il contributo delle mani espertissime di Niccolò Contessa e Stabber, con cui collabora, la Laila Al Habash che abbiamo conosciuto sotto Bomba Dischi (“Come quella volta”) è rimasta sempre la stessa. Laila è la cosa più vicina a una stellina che abbiamo in Italia: pesanti orecchini a cerchio su un piccolo viso che sbuffa nelle storie di Instagram mentre propone di aprire un canale di OnlyFans in cui dà i voti alle merendine proteiche, commenta il palinsesto di Super 3 e condivide meme come “Unlike my country, my love for you is real”. Mentre in una canzone cerca di spiegare perché una storia d’amore è finita male usando l’astrologia («Sarà colpa della luna di fuoco che c’ho»), nell’altra ci registra sopra una nota vocale su Whatsapp dove legge la ricetta per fare il pollo al curry. Laila è una moltitudine preziosa. Se la provocazione del futuro dell’indie italiano adesso è sicuramente trovare una chiave per reinventarsi oltre il cortocircuito delle nuove canzoni d’autore, contaminarsi con altri generi, quelli di Laila sono l’R&B, l’hip hop di Princess Nokia, l’incastro ritmico del rap. Ma quando sale sul palco è indubbiamente Raffaella.

ⓢ Parcheggio al Mystic Motel, che luogo mi trovo davanti?
La mia testa. È un luogo colorato, pieno di tessuti particolari, eclettico, con oggetti diversi dentro, sicuramente molto accogliente. Mi piace immaginare che ogni stanza sia una mia canzone, una specie di esperienza. Il concetto di motel come casa mi è sempre stato molto caro, infatti sono partita dal mio primo Ep che si intitolava Moquette [uscito a marzo 2021, ndr], una parola molto musicale che porta in un ambiente morbido, attutito, anche sporco, piccolo proprio come un Ep, mentre ora ho deciso di accogliere l’ascoltatore nello spazio più grande e adulto che è quello del motel. Lo immagino provinciale, di strada, se vogliamo pure losco, c’è una hall colorata e di velluto, un tavolo con carte astrali e tarocchi.

ⓢ Da Roma, dove sei nata, ti sei trasferita da poco a Milano, quali sono le coordinate geografiche del Motel?
Possiamo dire che è un motel a metà strada. Ho scritto metà del disco quando abitavo ancora Roma e l’altra metà a Milano, dove vivo ora. C’è ad esempio “Sunshine” in cui dico: «So bene che non esiste / amore in questa città triste» e mi immagino chiaramente Milano, non perché abbia qualcosa contro, ma ho pensato a una citazione a «Sapessi quanto è strano / sentirsi innamorati a Milano», alla fine il mio disco è pieno di riferimenti agli anni Sessanta.

ⓢ Poi c’è “Sbronza” con Coez che sa molto di Roma.
Certo, mi parla del calore di Roma, che poi è l’ambiente che conosco meglio, dove sono cresciuta, è famiglia.

ⓢ A proposito della collaborazione con Coez, è l’unico featuring del disco, ed è una cosa rarissima da trovare oggi, con tutti che corrono dietro alla collaborazione perfetta e magari nel disco non c’è nemmeno un pezzo da soli. 
Per dirla molto semplicemente, non mi importa granché dei featuring, purtroppo. Dico purtroppo perché se tutti lo fanno sicuramente un motivo ci sarà. Ho ricevuto tantissime proposte di collaborazioni, ma perché devo proprio farli? Soprattutto perché sono ancora all’inizio della mia carriera, quindi prima permettetemi di farmi conoscere da sola, poi magari ci pensiamo. È una mentalità che non mi appartiene proprio, poi io sono un po’ romantica, nel senso che per lavorare con una persona devo prima stimarla tanto. Una cosa brutta dei featuring è che lo senti quando due persone non hanno nulla da dirsi e che si sono viste per la prima volta in studio, e io non voglio che succeda. 

ⓢ E con Coez è stato romantico?
Certo. Lo conosco da tantissimi anni e mi ricordo benissimo quando da piccola andavo ai suoi concerti e so bene che tipo di scrittura ha perché ho passato davvero tanto tempo ad ascoltarlo, so perfettamente che penna ha, e averlo nel mio disco è un onore, sono molto fiera che ci sia un solo featuring e che sia proprio con lui. La demo di “Sbronza” che gli avevo inviato gli è piaciuta e abbiamo finito per scrivere il testo in una notte.

ⓢ Una cosa che mi fa impazzire dei tuoi testi sono i continui riferimenti all’astrologia, che bello poter cantare finalmente di transiti retrogradi e di lune. Il tuo immaginario si rifà incredibilmente agli anni Settanta (penso al tuo amore per Raffaella Carrà) e allo stesso tempo è molto contemporaneo, rispecchia la riscoperta sensibilità New Age della Generazione Z.
Guarda, te lo spiego con i pianeti, da gennaio è ritornato Giove in Aquario, dove si trovava anche negli anni Settanta durante la famosa “Era dell’Aquario”, gli hippie, le comuni, quindi è coerente che ora stiano ritornando tutte quelle influenze lì, che si sia riacceso l’interesse nei confronti dell’esoterismo. Ormai tutti parlano di astrologia, è diventata così mainstream che viene usata anche come strategia di marketing. Pensa che l’altro giorno è uscita una serie su Netflix sull’astrologia [Guida astrologica per cuori infranti, ndr] e c’è anche una mia canzone. Devo dirti la verità, all’inizio rosicavo che tutti avessero scoperto un interesse da “rookie”, novellini, per una cosa che io coltivavo per anni, come se mi fossi riscoperta gelosa di questa mia passione. Poi dall’altra parte mi sono detta, che figata che sta diventando mainstream, così qualcuno capisce quello che canto, e in una canzone posso permettermi di dire “transito retrogrado”, “il mio tema astrale” perché la gente finalmente adesso mi capisce. 

ⓢ Da quando hai questa fissa per l’astrologia?
Non ho memoria del momento iniziale perché lo sono sempre stata, mi ricordo che da bambina a Capodanno c’era Paolo Fox in tv e io prendevo appunti, o che se mi piaceva uno alle elementari andavo a cercarmi di che segno era per calcolare la compatibilità. Mi ricordo invece il momento in cui ho chiesto a mia madre di che segno ero, avrò avuto 5 o 6 anni. 

ⓢ E di che segno sei?
Sagittario.

In effetti ci sono delle canzoni molto Sagittario nel disco.
“Gelosa” è decisamente Sagittario! «Sai che io mi faccio sempre avanti / che me ne frega dei rimpianti», andarsene, scappare… Anche “Abbagli”: «Quando mi sembrava di toccare il fondo / mi chiedevo in che parte del mondo / volevo scappare e partire».

ⓢ Laila, tu sei italo-palestinese, su Twitter e Instagram ti esponi spesso, con ironia e delicatezza, su cosa succede in Palestina (“Una cosa da non dirmi? Mi piace Israele”), però nelle tue canzoni non c’è nessun riferimento o influenza dal punto di vista musicale.
Io sono molto fiera delle mie origini palestinesi, è che nella mia famiglia è stato dato più spazio alla cultura italiana, alla fine ho fatto tutte le scuole italiane, mio padre è palestinese ma vive qui da 50 anni, quindi è normale che venga fuori di più quella parte. Però non escludo che in futuro possa mettere nelle mie canzoni qualche influenza palestinese, araba, ma voglio che succeda gradualmente, senza forzature. Alla fine è una cultura che conosco molto bene, ma semplicemente in questo momento della mia vita è più prepotente quell’altro lato, poi nel mio piccolo cerco di essere più informata possibile su cosa succede in Medio Oriente, è sempre un argomento in famiglia.

ⓢ Si sentono invece Contessa e Stabber, una reinvenzione del cantautorato indie con l’aggiunta di ritmi R&B e rap. 
Quello che mi fa dire che su Mystic Motel è stato fatto un buon lavoro è che non è né Niccolò né Stabber e sono stati così bravi da lasciare che la mia personalità venisse fuori senza contaminarla così tanto, sono stati capaci di bilanciare le loro capacità, ma anche il loro ego, perché alla fine la musica riguarda tanto l’ego. Io per lavoro sto su un palco, dimmi se non c’è dell’ego in questo. Il disco è molto emotivo, abbiamo orchestrato uno strano triangolo in modo tale che l’equilibrio fosse il più delicato possibile e che venissero fuori tre personalità ponderate nella maniera giusta. Ci sono i miei ascolti tanto diversi, da Serge Gainsbourg ad Amanda Lear.

ⓢ Mi ricorda una frase che dici in “Gelosa”, cioè che sei gelosa di te stessa, che cosa intendi?
“Gelosa” è uno statement: ho voluto parlare della parte che mi piace di più del mio carattere, che è il mio essere molto sfacciata, farmi avanti sempre in prima fila, del fatto che mi piaccia tanto parlare, io parlo tanto e con tutti, anche in modo molto chiaro. Anche in amore, se c’è uno che mi piace glielo dico subito, lo spiazzo, ma perché sono fatta così. Sono molto gelosa di essere così che non voglio mai cambiare. Penso che sia l’unica del disco a non essere una canzone d’amore, anzi, è una canzone d’amore per me stessa.