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03:17 lunedì 17 novembre 2025
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Kafkacomics

Intervista a Peter Kuper, fumettista e copertinista del New Yorker, che ci racconta il suo nuovo graphic novel, un adattamento a fumetti della Metamorfosi di Franz Kafka.

19 Dicembre 2023

Se mi chiedessero qual è il primo libro che mi viene in mente riguardo al tema della famiglia, della paternità, del lavoro, del tempo che passa, che scorre inesorabilmente, ecco, io direi La metamorfosi di Kafka, senza esitare. È incredibile come una sola persona, un essere umano tale e quale a me, abbia potuto scrivere questo piccolo grande racconto in cui dentro c’è tutta la storia del mondo, tutto quello che c’è sapere per viverci. E non sono l’unico a vederla così. Oltre a Philip Roth, Murakami, McEwan, c’è anche Peter Kuper, fumettista del New Yorker e autore di libri importanti come Rovine e Diario di New York, che è tornato in libreria con un adattamento della Metamorfosi kafkiana (pubblicato, come gli altri due citati, da Tunué, traduzione di Elena Dardano), in bianco e nero (come nel film Delitti e segreti, in cui Jeremy Irons interpretava Kafka), che è come un racconto di Kafka, ha qualcosa di familiare e insieme qualcosa di nuovo, capace di sorprenderti e di rimanerti impresso per sempre. La magia di questo adattamento, di questo omaggio, è sì quella di ritrovare un classico, uno dei racconti più importanti della storia della letteratura, ma è anche quella di tornarci con occhi diversi, di rimettere a fuoco le nostre impressioni, le nostre paure, le nostre angosce, di confrontarle con quelle di un altro lettore (come Kuper) per provare, poi, a trovare delle risposte o, chissà, delle nuove domande.

ⓢ Come mai ha scelto di raccontare, anche attraverso le immagini, La metamorfosi di Kafka?
Ho scelto di raccontarlo nel 2002, anche se la mia passione per Kafka è nata nel 1988, quando mi sono interessato al suo mondo per la prima volta. Mi sono accorto che lo stile di Kafka, come la struttura delle sue storie, si sposavano molto bene con il linguaggio del fumetto. Quindi combinare le due cose è stato naturale, ecco.

ⓢ Quali sono i modelli, letterari e non, a cui si è ispirato?
Oltre a Vonnegut (Mattatoio n. 5 su tutti) e Steinbeck, penso a Steve Ditko, co-creatore di Spider-Man, Woody Allen, Charlie Chaplin. Sono convinto che l’arte possa cambiare le persone, il mondo in generale, e la mia arte, in fondo, è una combinazione di tutti questi linguaggi.

ⓢ Quindi l’elemento comune di tutti questi autori qual è, l’ironia?
Sì, io mi sono formato leggendo Mad Magazine, l’ironia è un elemento politico fondamentale, la considero la mia arma migliore.

ⓢ Un conto è scrivere romanzi, un altro è scrivere romanzi grafici. Per chi, come lei, si serve di parole e immagini per raccontare le sue storie, esiste un metodo per lasciare al lettore un piccolo spazio per poter immaginare la sua storia?
Una delle cose migliori dei fumetti, per me, è proprio riuscire a far immaginare i lettori, pur avendo tutti questi strumenti a disposizione. Uno dei modi, per esempio, potrebbe essere quello di variare la tipologia di font a seconda delle voci, dei personaggi, oppure giocare molto con le lettere maiuscole e minuscole, o rendere fisica l’esperienza, obbligando il lettore a girare, a muovere il libro per comprendere il senso di quello che sta leggendo, come se ci fosse una sorta di spirale o di vortice. Con questo libro si aggiunge un altro aspetto, quello della lettura, dello sguardo, visto che non è altro che la mia interpretazione del racconto di Kafka, a cui si possono aggiungere, sovrapporre quelle dei lettori.

ⓢ Pensando a un suo libro che ha avuto molta fortuna, Diario di New York, come ha fatto a rendere così viva la città, a farla sembrare quasi un personaggio capace di muovere, di scegliere i destini dei suoi abitanti?
La mia visione della città di New York può essere racchiusa in quella di un famoso copertinista del New Yorker, Saul Steinberg, che è riuscito a vedere la città attraverso l’arte, a riscoprirla durante i suoi viaggi, a cogliere in un piccolo dettaglio l’anima della città. Un po’ come Warhol, che entra in un negozio di generi alimentari, vede una zuppa e pensa che possa diventare arte. Si tratta di identificare i simboli e gli aspetti della città, per creare poi un percorso creativo e rappresentarli.

ⓢ Lei vive a New York?
Sì, dal 1977.

ⓢ Com’è la sua giornata tipo a New York?
Io sono quello che molti chiamerebbero “warkaholic”, dipendente dal lavoro, non mi pesa. Ho una figlia e una moglie e questo aspetto non ha distrutto la relazione con loro, anche se ogni tanto, durante la serata film del venerdì sera, mi metto in soggiorno a lavorare. Comunque, la mia giornata tipo prevede che entro le 9 io mandi l’idea del giorno al New Yorker, se l’idea piace mi viene rimandata entro le 9 e mezza, e il lavoro poi va consegnato entro mezzogiorno. Ho uno studio, non lontano dal mio appartamento, dove lavoro diversi giorni a settimana ai miei progetti, almeno fino alle sei o alle sette di sera.

ⓢ Quindi New York è vivibile?
Sì e no, per fortuna possiedo un appartamento da molti anni, dagli anni Settanta, è un appartamento non molto grande, che è sostenibile in termine di costi. Sono riuscito, con il tempo, a creare il mio percorso, a vivere delle mie storie, e adesso ho un lavoro solido, stabile. Trasferirsi adesso a New York, per il costo degli affitti e della vita in generale, sarebbe molto complicato.

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