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È uscito il primo trailer del Frankestein di Guillermo Del Toro, in cui il mostro di Frankenstein però a malapena si intravede Il film arriverà nei cinema italiani in distribuzione limitata il 22 ottobre, per poi approdare su Netflix il 7 novembre.
Per i 25 anni di Una mamma per amica Warner Bros. costruirà nei suoi studi una vera Stars Hollow che i fan potranno visitare Una replica nei minimi dettagli della cittadina, a partire dalla casa delle protagoniste Rory e Lorelai Gilmore.
Una sentenza in India ha stabilito che i medici devono smettere di scrivere le ricette in una grafia illeggibile La Corte indiana ha anche imposto al governo di includere lezioni di calligrafia nel programma di studi delle facoltà di Medicina.
A vent’anni di distanza, la polizia è tornata a indagare sulla morte di Hunter S. Thompson La vedova Anita ha chiesto di far esaminare i verbali a una parte terza, per chiarire definitivamente le circostanze del suicidio del marito.
È morto Renato Casaro, il disegnatore che ha trasformato le locandine per il cinema in una forma d’arte Aveva 89 anni, è a lui che dobbiamo locandine memorabili come quelle di Per un pugno di dollari, C'era una volta in America e L’ultimo imperatore.
Tilly Norwood è la prima attrice generata dall’AI e Hollywood già la odia a morte Particle6, l'azienda che l'ha creata, dice che dovrebbe essere considerata come un'opera d'arte. Attori e attrici non sembrano condividere.
Dei narcotrafficanti hanno provato a far entrare tonnellate di cocaina in Europa fingendosi pellegrini sul cammino di Santiago Come se la storia non fosse già abbastanza strana, sulle coste spagnole, loro e la cocaina, ci sono arrivati a bordo di un sottomarino.
Bad Bunny ha deciso che il suo Halftime Show del Super Bowl sarà tutto in spagnolo Decisione che ha scatenato la prevedibile e orripilata reazione di politici e commentatori trumpiani.

Kafkacomics

Intervista a Peter Kuper, fumettista e copertinista del New Yorker, che ci racconta il suo nuovo graphic novel, un adattamento a fumetti della Metamorfosi di Franz Kafka.

19 Dicembre 2023

Se mi chiedessero qual è il primo libro che mi viene in mente riguardo al tema della famiglia, della paternità, del lavoro, del tempo che passa, che scorre inesorabilmente, ecco, io direi La metamorfosi di Kafka, senza esitare. È incredibile come una sola persona, un essere umano tale e quale a me, abbia potuto scrivere questo piccolo grande racconto in cui dentro c’è tutta la storia del mondo, tutto quello che c’è sapere per viverci. E non sono l’unico a vederla così. Oltre a Philip Roth, Murakami, McEwan, c’è anche Peter Kuper, fumettista del New Yorker e autore di libri importanti come Rovine e Diario di New York, che è tornato in libreria con un adattamento della Metamorfosi kafkiana (pubblicato, come gli altri due citati, da Tunué, traduzione di Elena Dardano), in bianco e nero (come nel film Delitti e segreti, in cui Jeremy Irons interpretava Kafka), che è come un racconto di Kafka, ha qualcosa di familiare e insieme qualcosa di nuovo, capace di sorprenderti e di rimanerti impresso per sempre. La magia di questo adattamento, di questo omaggio, è sì quella di ritrovare un classico, uno dei racconti più importanti della storia della letteratura, ma è anche quella di tornarci con occhi diversi, di rimettere a fuoco le nostre impressioni, le nostre paure, le nostre angosce, di confrontarle con quelle di un altro lettore (come Kuper) per provare, poi, a trovare delle risposte o, chissà, delle nuove domande.

ⓢ Come mai ha scelto di raccontare, anche attraverso le immagini, La metamorfosi di Kafka?
Ho scelto di raccontarlo nel 2002, anche se la mia passione per Kafka è nata nel 1988, quando mi sono interessato al suo mondo per la prima volta. Mi sono accorto che lo stile di Kafka, come la struttura delle sue storie, si sposavano molto bene con il linguaggio del fumetto. Quindi combinare le due cose è stato naturale, ecco.

ⓢ Quali sono i modelli, letterari e non, a cui si è ispirato?
Oltre a Vonnegut (Mattatoio n. 5 su tutti) e Steinbeck, penso a Steve Ditko, co-creatore di Spider-Man, Woody Allen, Charlie Chaplin. Sono convinto che l’arte possa cambiare le persone, il mondo in generale, e la mia arte, in fondo, è una combinazione di tutti questi linguaggi.

ⓢ Quindi l’elemento comune di tutti questi autori qual è, l’ironia?
Sì, io mi sono formato leggendo Mad Magazine, l’ironia è un elemento politico fondamentale, la considero la mia arma migliore.

ⓢ Un conto è scrivere romanzi, un altro è scrivere romanzi grafici. Per chi, come lei, si serve di parole e immagini per raccontare le sue storie, esiste un metodo per lasciare al lettore un piccolo spazio per poter immaginare la sua storia?
Una delle cose migliori dei fumetti, per me, è proprio riuscire a far immaginare i lettori, pur avendo tutti questi strumenti a disposizione. Uno dei modi, per esempio, potrebbe essere quello di variare la tipologia di font a seconda delle voci, dei personaggi, oppure giocare molto con le lettere maiuscole e minuscole, o rendere fisica l’esperienza, obbligando il lettore a girare, a muovere il libro per comprendere il senso di quello che sta leggendo, come se ci fosse una sorta di spirale o di vortice. Con questo libro si aggiunge un altro aspetto, quello della lettura, dello sguardo, visto che non è altro che la mia interpretazione del racconto di Kafka, a cui si possono aggiungere, sovrapporre quelle dei lettori.

ⓢ Pensando a un suo libro che ha avuto molta fortuna, Diario di New York, come ha fatto a rendere così viva la città, a farla sembrare quasi un personaggio capace di muovere, di scegliere i destini dei suoi abitanti?
La mia visione della città di New York può essere racchiusa in quella di un famoso copertinista del New Yorker, Saul Steinberg, che è riuscito a vedere la città attraverso l’arte, a riscoprirla durante i suoi viaggi, a cogliere in un piccolo dettaglio l’anima della città. Un po’ come Warhol, che entra in un negozio di generi alimentari, vede una zuppa e pensa che possa diventare arte. Si tratta di identificare i simboli e gli aspetti della città, per creare poi un percorso creativo e rappresentarli.

ⓢ Lei vive a New York?
Sì, dal 1977.

ⓢ Com’è la sua giornata tipo a New York?
Io sono quello che molti chiamerebbero “warkaholic”, dipendente dal lavoro, non mi pesa. Ho una figlia e una moglie e questo aspetto non ha distrutto la relazione con loro, anche se ogni tanto, durante la serata film del venerdì sera, mi metto in soggiorno a lavorare. Comunque, la mia giornata tipo prevede che entro le 9 io mandi l’idea del giorno al New Yorker, se l’idea piace mi viene rimandata entro le 9 e mezza, e il lavoro poi va consegnato entro mezzogiorno. Ho uno studio, non lontano dal mio appartamento, dove lavoro diversi giorni a settimana ai miei progetti, almeno fino alle sei o alle sette di sera.

ⓢ Quindi New York è vivibile?
Sì e no, per fortuna possiedo un appartamento da molti anni, dagli anni Settanta, è un appartamento non molto grande, che è sostenibile in termine di costi. Sono riuscito, con il tempo, a creare il mio percorso, a vivere delle mie storie, e adesso ho un lavoro solido, stabile. Trasferirsi adesso a New York, per il costo degli affitti e della vita in generale, sarebbe molto complicato.

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