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Jean Cocteau, l’artista che ha fatto tutto

Ha appena inaugurato a Venezia, grazie alla Collezione Peggy Guggenheim, La rivincita del giocoliere, la più grande retrospettiva mai dedicata all'artista, e poeta, e romanziere, e regista, e fotografo, e drammaturgo, e giornalista.

di Germano D'Acquisto

«Perché scrive delle commedie? Mi domanda il romanziere. Perché scrive dei romanzi? Mi domanda il drammaturgo. Perché fa dei film? Mi domanda il poeta. Perché disegna? Mi domanda il critico. Perché scrive? Mi domanda il disegnatore. Sì, perché? Me lo chiedo. Senza dubbio perché la mia semente voli un po’ dovunque…». Parole di Jean Cocteau, artista poliedrico, figura composita e punto di riferimento di un’intera generazione di artisti e creativi del dopoguerra. Poeta, romanziere, pittore, disegnatore, cineasta, fotografo, scultore, drammaturgo, giornalista: Cocteau è stato uno, nessuno e centomila. Ma anche milioni e miliardi. Quasi una figura rinascimentale. Una costellazione di creatività che ha toccato ogni sfumatura dell’arte, attraversando i decenni più fervidi del ‘900.

Ora le sue “sementi” volano fino alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia che ospita la mostra La rivincita del giocoliere. Curata da Kenneth E. Silver e allestita dal 13 aprile al 16 settembre nei leggendari spazi di Palazzo Venier dei Leoni, è la più grande retrospettiva mai dedicata al maestro francese in Italia. Nelle varie stanze, oltre centocinquanta lavori che spaziano dai disegni alle opere grafiche, dai gioielli agli arazzi, dai documenti storici ai libri, alle riviste, alle fotografie e ai film. «L’arte – afferma Cocteau – è un’arma caricata di futuro». E nel futuro sembra quasi di perdersi, chi decide di addentrarsi nelle sale della collezione, dove l’artista visivo è una sorta di sciamano che cambia pelle di continuo, trasformandosi di volta in volta in disegnatore, in grafico, in muralista, in regista e in designer di moda, di gioielli e di tessuti.

Nonostante fosse nato nel 1889 a Maisons-Laffitte, un piccolo centro ad una manciata di chilometri dalla capitale, Cocteau si è sempre definito parigino fino al midollo. Tanto che agli amici che frequenta nei locali più alla moda di Montmartre e Montparnasse durante i Ruggenti Anni Venti ama ripetere: «Sono nato parigino, parlo parigino, con pronuncia parigina». Chi sono quegli amici? Josephine Baker e Coco Chanel, Sergej Djagilev e Pablo Picasso, Tristan Tzara ed Edith Piaf, Guillaume Apollinaire e Roland Garros (che non era un tennista, ma un leggendario aviatore originario de La Réunion).

Jean Cocteau, “Edipo o l’incrocio delle tre strade”, 1951, Olio su tela, 97 x 129 cm, Collezione privata, © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 2024

Fra questi, c’è anche Peggy Guggenheim, che proprio con Cocteau decide di inaugurare la sua carriera nel mondo dell’arte: è il 1938 e su consiglio dell’amico Marcel Duchamp, la magnate americana tappezza gli ambienti della sua galleria londinese Guggenheim Jeune con i disegni dell’artista francese. «Uno di questi – scrive lei stessa nella sua autobiografia Una vita per l’arte – era un soggetto allegorico dal titolo “La paura dona le ali al coraggio” e includeva un ritratto dell’attore Jean Marais che compariva con i peli del pube scoperti». Un’opera scandalosa che viene sequestrata dalla dogana britannica e riconsegnata alla legittima proprietaria solo dopo una trattativa estenuante. Peggy deciderà di non mostrare mai più in pubblico quel disegno, ma solo privatamente nel suo ufficio presso la galleria. Oggi quel lavoro è a Venezia e si annuncia come una delle punte di diamante dell’intera esibizione. «Stupire – dice Cocteau – è l’inizio, non il finale».

Percorrere le sale del museo sul Canal Grande è un po’ come iniziare la lettura di un romanzo di cui non si conosce il finale. La storia è scandita da diversi capitoli, dove il surrealismo flirta col dadaismo e il cubismo, il teatro corteggia danza, moda e cinema. Al centro di questo racconto, i temi più cari all’artista: l’Orfeo e la poesia, l’eros, il classico nell’arte, Venezia e il rapporto con Peggy Guggenheim, il cinema e il design, che si esprime nella moda ma soprattutto nel gioiello e nelle arti applicate. A proposito di gioielli, uno dei più attesi è “La spada d’Accademico”, che Cartier forgerà basandosi su un disegno dello stesso Cocteau nel 1955. Realizzata in oro e argento, con smeraldi, rubini, diamanti, avorio, onice e smalto, verrà utilizzata il 20 ottobre 1955 quando verrà conferito all’artista il titolo di Accademico di Francia.

Cartier Paris, “La spada d’Accademico” di Jean Cocteau, 1955, Oro, argento, smeraldo, rubino, diamante, opale bianco (originariamente avorio), onice, smalto blu e lama in acciaio. Lunghezza: 87 cm. Cartier Collection, © Adagp/Comité Cocteau, Paris, by SIAE 2024.

Si tratta dell’ennesimo momento spiazzante nella vita del maestro, che è al tempo stesso uomo dell’establishment ma anche il suo più strenuo nemico. Un cortocircuito che coinvolge sia le istituzioni francesi che l’ambiente avanguardista del tempo. Entrambi non accettano la sua fluidità, la sua sessualità manifestata senza timori, la sua esplicita dipendenza dall’oppio, che definisce come «come una fata, una rosa che non sboccia, il più bello dei paradisi». Cocteau è stimato, ma è anche una figura talmente eversiva da incarnare in un solo corpo tutte le contraddizioni culturali, sociali e politiche della sua epoca. «Mi metterei a piangere – afferma l’artista poco prima di morire nel 1963, poche ore dopo aver appreso della scomparsa dell’amica Edith Piaf – Per aver detto troppo delle cose da dire e non abbastanza di quelle da non dire. In fin dei conti, tutto si aggiusta, salvo la difficoltà di essere. Quella non si aggiusta mai».

Foto in copertina: Philippe Halsman, “Jean Cocteau”, New York, USA. 1949 © Philippe Halsman / Magnum Photos