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Il corriere della droga preferito da Pablo Escobar ha fatto un podcast In Cocaine Air Tirso “TJ” Dominguez racconta com'è lavorare per il più famoso signore della droga della storia. Esce il 23 luglio su tutte le piattaforme.
A Hong Kong c’è un musical in cui Trump e Zelensky si massacrano a colpi di assoli Lo spettacolo Trump, The Twins President, ovviamente sold out, traspone in musica anche il litigio tra i due nello Studio Ovale.
È morto Enzo Staiola, il bambino dagli occhi tristi di Ladri di biciclette Interpretò il piccolo Bruno nel capolavoro neorealista di Vittorio De Sica. Da adulto non fece l'attore, ma l'impiegato del catasto.
Il dissing tra Elon Musk e Donald Trump è degenerato Come ampiamente previsto, i due hanno rotto, ma non si pensava sarebbero arrivati fino a questo punto.
Lo scrittore Kamel Daoud era stato invitato alla Milanesiana ma non potrà partecipare perché in Italia rischia l’arresto A causa di Urì, romanzo con cui ha vinto il premio Goncourt e che uscirà in Italia il 17 giugno.
Gli undici abitanti di una remota isola giapponese vogliono ripopolarla usando i manga Gli anziani di Takaikamishima hanno fondato una scuola di fumetto, nella speranza di salvare l’isola dallo spopolamento.
Il designer delle T-shirt più amate dalle celebrity è un bambino di 11 anni Si chiama Dylan e tra i suoi clienti può già vantare Elle Fanning, Michelle Pfeiffer, Pharrell, Jamie Lee Curtis e Pierpaolo Piccioli.
Uno dei massimi esperti di Caravaggio del mondo dice di aver finalmente trovato il suo primo dipinto Secondo Gianni Papi, "Ragazzo che monda un frutto" è l'opera prima dell'artista: ci sarebbe un dettaglio che lo conferma oltre ogni ragionevole dubbio.

Il centro non esiste

E chi lo compone politicamente è destinato all'irrilevanza. Serve un bipolarismo forte, inutile mettere bastoni fra le ruote a questo schema.

22 Luglio 2013

Roma – Scusate, avete per caso notizie di Mario Monti? Niente eh? E di Pier Ferdinando Casini? Nulla vero? E di Gianfranco Fini? Nada de nada. E di Francesco Rutelli? Zero. E di Lorenzo Cesa? E di Italo Bocchino? E di Luca Cordero di Montezemolo? E di Andrea Riccardi? Insomma, senza girarci attorno, avete per caso notizie di tutti i campioni del centrismo, e di tutti quegli eroi della politica italiana che con le loro gesta avrebbero dovuto far rivivere sotto mentite spoglie la vecchia Democrazia Cristiana? Niente, zero, nisba, puf.

La questione è semplice. Il grande Centro guidato alle ultime elezioni dal tridente Monti-Fini-Casini, nonostante il suo non disprezzabile 10 per cento, negli ultimi mesi è stato inghiottito dallo stesso buco nero in cui da anni, dagli inizi degli anni novanta, finiscono tutti quei politici che provano (e che hanno provato) a sfidare il bipolarismo italiano; e senza voler essere troppo severi, l’unico significativo segno di vita manifestato dai campioni del centro negli ultimi cento giorno è stato quello registrato alcuni giorni fa quando, con sprezzo del pericolo, l’ex Presidente del Consiglio Mario Monti ha chiesto, pescando nel vocabolario delle parole rimaste nei libri della prima Repubblica, una “cabina di regia del governo” e una “verifica” per onorare un “patto di legislatura”. Ecco. In buona sostanza, e crediamo di non sbagliarci, dopo tre mesi e mezzo di governo Letta – che tra l’altro, paradosso dei paradossi, è senz’altro il più democristiano tra i governi mai avuti dall’Italia negli ultimi vent’anni, elemento questo che peró non ha contribuito a rafforzare il balenottero dei moderati – il centro è sostanzialmente scomparso, non riesce a intestarsi una battaglia, finisce sui giornali solo quando i campioni del centrismo offrono ai cronisti materiale utile per riempire lo spazio che i direttori periodicamente dedicano al tema “scissione dell’atomo” e, nonostante all’interno dell’universo centrista ci siano perlopiù persone di buon senso (portatrici cioè di idee che potrebbero avere cittadinanza in qualsiasi e moderno partito sia di centrodestra sia di centrosinistra), oggi gli eredi della Dc sono costretti a fare i conti con una realtà culturale ormai difficile da negare.

Potremmo metterla così: il bipolarismo italiano, nonostante tutto, continua a uccidere i suoi nemici, e alla fine dei conti oggi è chiaro che per un non allineato del centrodestra o del centrosinistra è più facile (e costruttivo) affermare le proprie idee in un grande contenitore (anche a costo di vivere in un regime di dissenso permanente) piuttosto che vedere valorizzate le proprie policy in un piccolo contenitore che per alcuni giorni può darti sì l’illusione di farti sentire a casa tua, ma che dopo poco tempo non può che farti capire che per chi vuole fare politica e per chi vuole imporre alcuni temi è sempre preferibile – come si dice in questi casi – essere gli ultimi tra i primi che i primi tra gli ultimi. Bene. A voler seguire il filo di questo ragionamento la questione che si pone una volta completato il discorso è la seguente: ma il bipolarismo italiano può reggere o no alla (futura) uscita di scena di Berlusconi oppure in tutti questi anni è riuscito a doparsi degli antidoti e degli anticorpi necessari per esistere anche senza Berlusconi? In linea di massima bisogna riconoscere che dal 1994 a oggi la forte polarità generata dalla leadership del Cavaliere è senz’altro la ragione prima della sostanziale alternanza del nostro paese (grandi coalizioni a parte) – perché finora, inutile negarlo, il vero senso politico di tutte le ultime campagne elettorali è sempre stato quello di scegliere se stare con Berlusconi oppure no. In questo senso, è ovvio che una leadership forte è, naturalmente, una leadership che incentiva il bipolarismo, ma per entrare nel cuore del ragionamento bisogna cambiare prospettiva, bisogna puntare il proprio sguardo lontano dal dito e cominciare a osservare la luna per comprendere un concetto semplice: che la vita del bipolarismo non è legata alla sola presenza in campo di un leader molto forte ma è legata soprattutto a un sistema elettorale che, se fatto in un certo modo, dovrebbe essere in grado di semplificare la vita degli elettori e di garantire così al Paese una serena alternanza tra forze politiche.

In questo senso, il paradosso del nostro sistema politico è che la vita del bipolarismo invece viene messa ogni giorno in discussione dai tanti parassiti del centro i quali, solo per aver garantito un piccolo pezzo di terreno sicuro all’interno della cartina geografica della politica italiana, provano in tutti i modi a promuovere sistemi elettorali in grado di scomporre gli elettori, con la speranza di poter artificiosamente tornare ai fasti (?) della prima Repubblica. Naturalmente, c’è da scommetterci, nei prossimi mesi (soprattutto a destra e al centro e in una parte della sinistra) sarà forte la tentazione di voler trasformare in un partito vero l’esperienza del governo Letta. Ma se quei politici che dopo le ultime elezioni hanno capito sulla propria pelle che gli elettori hanno voglia di scegliere tra due grandi blocchi (Grillo, a meno di sorprese, è destinato a essere un fenomeno passeggero se la politica in questi mesi riuscirà a combattere come si deve l’anti politica dai banchi del governo); se i campioni del centrismo capiranno che per cambiare l’Italia (e combattere l’antipolitica) non servono spezzatini ma servono grandi partiti che si rafforzano anche grazie alle varie forme di dissenso presenti al loro interno; se insomma i furbetti del centro prenderanno un po’ di coraggio e sceglieranno (senza ipocrisie) da che parte stare senza incentivare la riesumazione di vita vecchi sistemi elettorali; se insomma tutto questo dovesse capitare, il nostro Paese potrebbe fare un salto nella famosa modernità, potrebbe cambiare davvero i suoi connotati e potrebbe realizzare un sogno degli elettori. Un sogno ovvio: scegliere da che parte stare, e rottamare una volta per tutte quegli spezzatini che hanno intossicato per troppo tempo la vita della politica italiana.

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