Il baracchino, BoJack Horseman all’italiana

È una delle serie italiane più interessanti uscite nel 2025: per il cast composto da alcuni dei nostri migliori comici, per il modo in cui mescola diverse tecniche d'animazione e perché fa ridere ma pure deprimere.

19 Giugno 2025

È uscita da qualche giorno su Prime Il Baracchino, la prima serie animata italiana prodotta da Amazon, ambientata nel sottobosco dei comici di professione, ideata e diretta da Nicolò Cuccì e Salvo Di Paola. È un prodotto unico, coraggioso, che sta piacendo al pubblico – se ci si può fidare dei dati forniti dalla piattaforma che lo distribuisce. A differenza delle serie Netflix di Zerocalcare, precursore del genere, molto italiane come trama e ambientazione e con disegni nello stile tradizionale del fumettista romano, Il Baracchino è una serie più ambiziosa, sperimentale, realizzata in tecnica mista, alternando stili diversi: animazione 2D, quella in 3D, stop-motion , pupazzi e marionette. Tecniche miste, ma coerenti fra loro. È girata in bianco e nero, tranne i flashback a colori. Amici professionisti del settore hanno commentato: “una bomba”, “che geni”, “preferisco non parlare, sono troppo invidioso”.

Stand up comedy

La lista dei doppiatori che hanno partecipato al progetto è un mezzo the best of dei giovani comici italiani, con l’aiuto di qualche vecchia gloria tipo Lillo e Pietro Sermonti. C’è Frank Matano, ci sono Raponi e Tinti dal podcast Tintoria e ci sono anche Luca Ravenna e Michela Giraud, il principe e la principessa dei comici della nuova generazione, solida gavetta e centomila progetti in curriculum, usciti dalla palestra della stand up comedy per consacrarsi alla notorietà nazionale con i reel di Instagram e le ospitate a Sanremo.

La comicità italiana, addestrata negli scorsi decenni dalle accademie di Renzo Arbore e della Gialappa’s, ormai non nasce quasi mai dalla televisione. Oggi vanno di moda le stand up comedy, in armonia con lo spirito del tempo, narcisista a livelli patologici: adesso ti racconto i fatti miei, ridiamone insieme, se una clip diventa virale sui social ho fatto bingo. A Milano si moltiplicano le serate a microfono aperto, anzi open mic. Parecchi trentenni creativi passano da un podcast ai palchi di qualche bar. La data di Ricky Gervais al Forum di Assago è andata sold out in poche ore. Visto il periodo storico, d’altronde, è difficile biasimare chi esce di casa per andare a farsi una birra e quattro risate.

Storia di un locale che sta per chiudere

Considerando però il caldo di questo giugno, e i moderni sistemi di refrigerazione domestica, anche due ore sul divano a guardare Il Baracchino non sono da buttare via, anzi. Un po’ di trama: la scena si svolge quasi interamente al Baracchino, un locale (di Roma, coerentemente con l’accento dell’ottanta percento dei personaggi) decaduto, sporco e impolverato, che nei suoi anni d’oro era il tempio della comicità dal vivo. Maurizio, il proprietario, è un unicorno antropomorfo carismatico e beffardo, amante dei drink con l’oliva infilzata da uno stuzzicadenti, che va per i sessanta e che ha già vissuto i suoi giorni migliori, come le sue giacche in velluto impolverate e con le toppe sui gomiti. Claudia (Pilar Fogliati, bravissima) è un’art director sulla trentina, perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, crede per moltissimi motivi che il Baracchino non sia ancora da liquidare e convince Maurizio a tentare l’ultima volta, una serata di stand up per ridare slancio al locale.

Claudia riunisce un cast di comici da bar di Guerre Stellari: c’è un piccione ribelle, un alieno vestito da marionetta, Leonardo da Vinci in versione toscano di mezza età con senso dell’umorismo deludente, una ciambella isterica, un’altra ciambella ansiosa, la Morte, una triceratopa e un tucano fantasma erotomane, doppiato da un Pietro Sermonti in forma smagliante. Sono tutti accomunati da una mestizia di fondo – il topos ricorrente del clown tiste – e dalla scarsissima capacità di tenere un palco. Insomma sono comici scadenti, o meglio dei pagliacci, come li definisce Maurizio. A osservare e mettere in ordine questo circo c’è Gerri, il tuttofare del Baracchino, dove vive nel ripostiglio delle scope, 33 anni, divorziato, incapace di mantenere un’erezione e di offendersi, insultato da tutti, personaggio memorabile, della stessa classe di Marvin l’androide paranoico della Guida galattica per gli autostoppisti.

I clown tristi

Cuccì e Di Paola, i due creatori, classe ’97 e ’95, guidano questa collezione di personaggi in sei puntate buffe e tenere che ti lasciano con un sorriso amaro, e che non sembrano prodotte dalla periferia culturale del mondo creativo: gli autori hanno detto di essersi ispirati a The Office e Fleabag ma ci sta anche la definizione di Bojack Horseman all’italiana, senza il glamour di Los Angeles ma con la stessa malinconia dietro le quinte della società dello spettacolo, tanto cinismo e tanta nostalgia per gli anni d’oro ormai alle spalle, che non torneranno più. I personaggi del Baracchino sono scritti bene, il giochetto di svelare le depressioni esistenziali di chi deve far ridere per lavoro funziona sempre, e si sente che i doppiatori se la sono spassata a lavorare insieme. Menzione speciale per l’idea di ridare vita a battute logore, del filone “un uomo entra in un caffè. Splash”.

Vecchi tormentoni, malinconie universali, tecniche visuali innovative. Il Baracchino è l’ennesima dimostrazione che quando ci sono le idee, anche nel mondo creativo italiano, spesso limitato dalla paura di offendere un amico, dalla scarsità di mezzi e intuizioni e – soprattutto – dal tracollo generalizzato del modello economico che lo sorregge, è possibile produrre buoni lavori senza conformismi e torpori provinciali, che guardino oltreconfine verso Chiasso, come suggeriva già Arbasino.

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