Cultura | Cinema
Hollywood è un paese per vecchi
Mentre a Cannes i film americani più attesi sono quelli diretti o interpretati da ultraottantenni, in America si celebra il funerale della gioventù hollywoodiana: lo young star power, a quanto pare, non esiste più.
In una recente intervista concessa a Deadline, Martin Scorsese ha detto di sentirsi ormai troppo vecchio. «Vorrei potermi prendere una pausa di otto settimane e allo stesso tempo girare un film. Davanti a me c’è il mondo intero ma ormai è troppo tardi. È troppo tardi. […] Sono vecchio. Leggo tanto. Vedo tante cose. Voglio raccontare storie ma non c’è più tempo», ha spiegato il regista, che in questi giorni ha presentato a Cannes il suo ultimo, apprezzatissimo film – nove minuti di applausi – Killers of the Flower Moon. Ormai ottantenne, Scorsese si è iscritto al club fondato dall’allora ottantatreenne Akira Kurosawa («Solo ora comincio a capire quel che il cinema può essere, e ormai è troppo tardi», disse), quello dei cineasti convinti che una vera e profonda comprensione della Settima arte arrivi soltanto con la terza età.
Un club al quale negli ultimi anni sembra essersi iscritta tutta Hollywood, però. Tanto che tra gli addetti ai lavori e sulle riviste specializzate si è cominciato a parlare di una tendenza ormai tanto evidente quanto preoccupante. «La sempre più palese identità geriatrica dello star system la possiamo apprezzare appieno seguendo il Festival di Cannes», hanno scritto Brent Lang e Tatiana Siegel su Variety. Che, nello stesso pezzo, riportano la dichiarazione di un intermediario cinematografico – uno di quei professionisti che si occupano di “vendere” le sceneggiature interessanti ai produttori interessati – convinto che il più grave dei problemi che oggi affliggono Hollywood è la mancanza di una nuova, prossima generazione di star capaci di prolungare l’egemonia del cinema americano.
È difficile dar torto ai due giornalisti seguendo le più attese star americane sfilare sul red carpet di Cannes: Martin Scorsese, come detto, 80 anni; Harrison Ford, 80 anni anche lui; Robert De Niro, 79 anni; Johnny Depp, 59 anni; Wes Anderson, 54 anni; il più giovane di questa lista è Leonardo DiCaprio, che di anni ne ha 48 e il mestiere di attore lo pratica della metà degli anni Novanta. Il problema, ovviamente, non finisce sul tappeto rosso di Cannes ma riguarda i modi, le ragioni, gli obiettivi per i quali oggi Hollywood produce i film che produce. Secondo le statistiche fornite dalla Writers Guild of America, ogni anno negli Stati Uniti si scrivono più o meno 50 mila nuove sceneggiature. Di queste, solo 150 convincono un produttore a metterci dei soldi per farne un film. Dice molto dello stato del cinema americano il fatto che, a detta di tutti gli esperti del settore, di quelle 50 mila nuove sceneggiature quella che tutti i produttori in questo momento stanno cercando di accaparrarsi l’abbia scritta il 76enne Sylvester Stallone. Non è nemmeno un’idea nuova, tra l’altro: si tratta del remake di Cliffhanger, film che riscosse un discreto successo nel 1993. Remake che avrà lo stesso protagonista dell’originale: a 76 anni Stallone dunque tornerà a scalare le Montagne Rocciose. Per rendere il tutto un minimo più credibile, la produzione ha annunciato che è in corso il casting per scegliere una specie di sidekick di Stallone, il cui ruolo sarà probabilmente quello di scalatore-accompagnatore-badante.
Si dirà: è un caso, una sceneggiatura soltanto, di sicuro non può bastare a provare la gerontocrazia strisciante che sta prendendo il potere a Hollywood. Breve lista di alcuni dei film più attesi – e, secondo gli analisti, più promettenti dal punto di vista degli incassi – dei prossimi mesi: Breakout, action thriller con protagonista il 75enne Arnold Schwarzenegger, fresco anche di nomina a Chief of Action di Netflix (con tanto di video di presentazione su YouTube in cui arriva presso la sede di Los Gatos schiacciando automobili con un carroarmato); That’s Amore, commedia romantica presumibilmente sull’amore nella terza età data la scelta nel ruolo di protagonista del 69enne John Travolta; Lords of War, che si differenzia dal precedente capitolo della saga – Lord of War – per quella s finale in più che indica che ora i signori della guerra sono tanti ma tra questi il più tosto resti sempre Nicolas Cage, nonostante dalla prima volta nel ruolo di Yuri Orlov siano passati più di vent’anni; The Rivals of Amziah King, un thriller con protagonista il 53enne Matthew McConaughey. E così via: la lista è abbastanza lunga che a Hollywood si comincia già a piangere la morte dello “young star power”.
Chi ha ucciso le giovani celebrity del cinema? Come quasi tutto quello che riguarda cinema e serie tv in questa epoca, secondo molti la colpa è della nostalgia e delle piattaforme streaming. Se tutto quello che si produce sono ritorni all’infanzia, alle storie e agli eroi di quando eravamo bambini noi che ora siamo o dovremmo essere adulti, è evidente che non arriveranno eroi nuovi. E poi, le piattaforme. C’è infatti una ragione se Hollywood, nonostante tutto, continua ad affidarsi al suo equivalente dei Baby Boomer: tutti questi attori, tutti questi registi, appartengono – nel senso di: sono diventati famosi – a un’epoca del cinema nella quale la rilevanza “commerciale” di un nome era una quantità esattamente misurabile. Non solo i biglietti strappati all’ingresso delle sale, ma anche le vendite-i noleggi prima delle videocassette e poi dei dvd. Oggi, queste misurazioni sono praticamente impossibili. Il merito degli incassi di un film viene ormai attribuito quasi esclusivamente alla forza della proprietà intellettuale: il pubblico non va a vedere gli attori che interpretano i supereroi Marvel ma va a vedere i supereroi Marvel, per capirci. Per quanto riguarda i film prodotti e distribuiti dalle piattaforme streaming, un calcolo è impossibile perché mancano i numeri necessari a svolgerlo. Per scelta delle stesse piattaforme, le cifre dei loro prodotti sono protette come fossero segreti di Stato, cosa che rende impossibile capire se un film o una serie tv siano davvero dei successi di pubblico.
Le nuove forme che il cosiddetto successo di pubblico ha assunto nell’epoca dei franchise infiniti e del dominio delle piattaforme di streaming ha originato un corto circuito che ha “spento” lo star system hollywoodiano. Di fronte all’erosione del loro potere contrattuale, i giovani attori più promettenti – almeno da un punto di vista commerciale – hanno cominciato a firmare contratti che li legavano a una saga, a un franchise, a un personaggio per più film e diversi anni. Questo, se da un lato ha garantito loro, per usare un eufemismo, una certa sicurezza economica, ha rafforzato la convinzione che ad attirare il pubblico non fossero loro ma le proprietà intellettuali di cui avevano deciso di essere interpreti. Per spiegare il fenomeno, viene spesso portato come esempio chiarificatore quello di Tom Holland: protagonista di una delle saghe cinematografiche di maggior successo della storia del cinema (quella di Spider-Man), protagonista pure di alcuni dei peggiori fiaschi della storia recente di Hollywood (Le strade del male, Chaos Walking, Uncharted). È partendo da case study come questo che i produttori deciderebbero che, se ci sono da scommettere centinaia di milioni di dollari, meglio scommetterli su una certezza di quasi ottanta anni che su una promessa di poco più di trenta. Un altro caso esemplificativo è quello dell’attore Cillian Murphy: considerato da anni uno dei più grandi talenti della sua generazione, prima di ottenere un ruolo da protagonista in una grandissima produzione hollywoodiana – Oppenheimer – ha dovuto aspettare il 46esimo compleanno, recitare in una serie tv di grandissimo successo (Peaky Blinders) e contare sull’ossessione sviluppata nei suoi confronti da Christopher Nolan.
Si potrebbe dire che ci sono anche casi di giovani, talvolta giovanissimi, attori e attrici che smentiscono la teoria della morte dello young star power. I nomi che si sentono quasi sempre a sostegno di questa contro-teoria sono quelli di Timothée Chalamet e di Margot Robbie. Purtroppo per coloro che credono ancora negli eroi giovani e belli di Hollywood, sia Chalamet che Robbie sono più utili in realtà a provare la teoria della parte avversa. Il film di maggior successo con protagonista Chalamet – che finora non ha interpretato supereroi solo perché ha deciso di seguire il consiglio che gli diede DiCaprio: «Niente droghe, niente alcol, niente supereroi» – è Dune, una delle più importanti proprietà intellettuali nella storia del cinema americano: difficile sostenere che se Paul Atreides fosse stato qualcun altro, il pubblico avrebbe snobbato l’opera di Denis Villeneuve. Il film con Margot Robbie andato meglio al botteghino è un cinecomic, il Suicide Squad di David Ayer. E, tra l’altro, Robbie è diventata la star che è oggi grazie all’interpretazione di Naomi Lapaglia in The Wolf of Wall Street. Che è un film di Martin Scorsese, che all’epoca aveva 70 anni.